Manovra: manca la fiducia di investitori e risparmiatori

Chiusa la trattativa tra governo Conte e Commissione europea, per il successo del rilancio economico non basta la fiducia del Parlamento e neanche quella dei cittadini-elettori: occorre riguadagnare quella dei cittadini-investitori, dei cittadini-risparmiatori, e poi delle imprese italiane e degli operatori esteri
EPA/OLIVIER HOSLET

La lunga trattativa tra il governo italiano e la Commissione europea si è conclusa grazie alla ragionevolezza che al momento della stretta finale è stata dimostrata da ambedue le parti. L’aver chiuso questa partita, che aveva quasi monopolizzato l’attenzione mediatica, sgombra finalmente il campo da un malinteso: che l’economia italiana non possa ripartire per colpa dei vincoli alla spesa pubblica che la Commissione ci impone (commento personale: sono vincoli benemeriti, che frenano la tentazione di tutti i governi di spendere troppo generosamente i soldi delle prossime generazioni).

I veri ostacoli alla ripresa italiana sono altri due. Il primo è l’enorme debito pubblico che abbiamo ereditato dal passato, ulteriormente aggravato dalla crisi iniziata nel 2008 e faticosamente rallentato nella sua crescita dalle manovre economiche degli ultimi governi. Come se ne va fuori? La linea seguita negli ultimi anni è stata la riduzione del disavanzo (o “deficit”) tra entrate e uscite pubbliche, puntando a far calare il debito un po’ alla volta, con santa pazienza, in modo che la palla al piede pian piano si alleggerisca, e solo allora l’economia potrà correre di più. L’attuale governo ha scelto invece una linea alternativa: aumentare il disavanzo, puntando così a dare subito una spinta all’attività economica, cosa che dovrebbe portare maggiori entrate fiscali e così rimettere a posto i conti.

Può funzionare questa seconda alternativa? No, secondo la gran parte degli economisti. O, meglio, a certe condizioni potrebbe anche funzionare, ma qui entra in gioco il secondo ostacolo: per funzionare dovrebbe essere fortemente supportata da una forte fiducia da parte di tutti i “giocatori” di questa complessa partita: un primo gruppo di “giocatori” sono gli operatori finanziari internazionali e anche i risparmiatori italiani, che, se vedessero in questa strategia una valida via di uscita dal problema del debito pubblico, sarebbero pronti a prestare – e a tassi vantaggiosi – quanto necessario per portarla a termine.

Il secondo gruppo di “giocatori” sono le imprese italiane ed estere, che, se si convincessero che in questo modo l’economia italiana avrà una forte ripresa, sarebbero incoraggiate ad investire in ampliamenti e miglioramenti degli impianti produttivi e ad assumere nuovi lavoratori.

Il terzo gruppo di “giocatori” sono le famiglie consumatrici, che, se respirassero un clima di ottimismo, sarebbero incoraggiate a spendere di più (speriamo anche in modo lungimirante, come potrebbero essere migliori infissi o pannelli solari).

Questo purtroppo le forze politiche di maggioranza non lo hanno capito. Troppe dichiarazioni imprudenti hanno invece spaventato gli altri “giocatori” della partita: prima di tutto gli operatori finanziari, che hanno iniziato a chiedere tassi di interesse molto più alti per finanziare il nostro debito pubblico, come si fa quando si avverte un maggior rischio di non essere ripagati; e poi anche le imprese e le famiglie che, vedendo una guida inesperta e al tempo stesso velleitaria, hanno cominciato a vedere nero anziché rosa (non stupisce allora se i dati economici del terzo trimestre parlano di una riduzione degli investimenti fissi e dei consumi, interrompendo bruscamente la lenta risalita e distaccandosi dalla tendenza ancora positiva del resto dell’area euro).

Insomma, la prima battaglia economica del nuovo governo ha lasciato un bel po’ di macerie: tassi di interessi più pesanti sui titoli pubblici emessi negli ultimi mesi e in qualche misura anche nei prossimi, da pagare a seconda dei casi per 2, 5 o 10 anni (ce n’è quindi anche per i prossimi governi), per un totale per un totale di vari miliardi; rilevanti perdite, che non svaniranno molto presto, sul valore dei titoli detenuti dai risparmiatori e dalle nostre banche, che per questo sono oggi più fragili; opportunità di investimento sfumate in questi lunghi mesi; ulteriore tempo perso per le speranze dei nostri giovani.

Ma non possiamo fermarci qui. Ora che l’attenzione non sarà più distratta dalla trattativa con la Commissione europea, la politica economica deve riaccendere le speranze nel futuro del Paese di tutti i suddetti “giocatori”.

Qui la parola chiave è: credibilità. Una cosa – come si sa – molto facile da perdere, ma molto più difficile da riguadagnare. Tuttavia ci si può riuscire se ci saranno costanza, ragionevolezza e serietà. Questo richiede di cambiare decisamente registro: basta promesse demagogiche, basta annunci improvvisati destinati ad essere presto smentiti, basta parole insolenti contro istituzioni e governi amici (penso che non serva citare i singoli episodi). Se ci sarà questo netto cambio di rotta allora si potrà anche sottoscrivere in fatto di economia quella frase che sento spesso dire: «Diamo a questo governo la possibilità di mostrare cosa sa fare».

 

 

I più letti della settimana

Chiara D’Urbano nella APP di CN

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons