Ma a che serve il cristianesimo?

Centosessant’anni fa Kierkegaard scriveva: il mondo vuole che il cristianesimo venga abolito, ma furbo com’è, per riuscirci, mantiene l’apparenza che vi sia. Oggi, ancora più furbo, il mondo lascia cadere le apparenze e fa direttamente spallucce al cristianesimo. Che bisogno c’è oggi, infatti, del cristianesimo? C’è la scienza, c’è il divorzio, c’è l’aborto, l’avvenire sconfinato della medicina genetica e non, ci sono le libertà civili da estendere illimitatamente. E poi c’è la morte; ma se riusciamo a considerarci solo animali, solo un po’ più evoluti del1’ornitorinco (o come si dice adesso, solo diversamente evoluto), non facciamo poi tanti drammi; è così: e il mondo li avvia, nel mare piatto del pensierounicoetollerante/ indifferente, a diventare un’immensa tautologia: è così perché è così perché è così… Solo l’ipotesi, il desiderio, il rimpianto di una salvezza potrebbero disturbare la tautologia. Ma no: come dichiarò quel tale filosofo in un preordinato, riverente consesso televisivo, io non ho bisogno di essere salvato: così lui affrontava la sua trionfale sventura, il suo scacco matto a Dio. Io ho in me stesso la mia sufficienza mi disse il più caro amico della mia adolescenza, morto suicida. Ora, dice la pubblicità, la risposta alla tua sete è nel succo esotico, per la fame c’è lo snack, se poi vuoi amore è predisposto in porzioni single surgelate, anche l’amore di tua madre è in una granita da supermercato. Sempre più sicura di sé, la pubblicità sta inoltre saccheggiando Bibbia e Vangelo alla ricerca di slogan compatibili e adattabi1i: Non si vive di solo pane; e qui il gioco si fa più pesante e pericoloso, nonostante la disinvoltura, come sanno gli adepti delle sette sataniche, che il gioco lo giocano purtroppo fino in fondo. La distanza non è poi molta, c’è l’alcol (ci siamo), la droga (ci siamo), e poco più. Alla fine, in una setta o in una normale vita consumista, tutto si dissecca, diventa arido, con le ossa destinate alla polvere e la polvere al nulla. Ma l’anello che non tiene, anche nel nichilismo più arcigno, o più oblioso, è l’incapacità di rispondere a questa esortazione: Niente ti turbi, niente ti spaventi. Chi può dire, senza mentire a se stesso: niente mi turba, niente mi spaventa? Lo stoico? Ma lo stoico trovava pace nel Logos universale, il divino che tutto pervade. Il nichilista non ha questo conforto. Può alzare le spalle ma non al dolore. L’autrice delle parole sopra citate, Teresa Cepeda y Ahumada, più nota come Teresa d’Avila, continua così: Chi ha Dio, niente gli manca, parole che grandiosamente, e in forma immediata, distillano il salmo 23°. Ma dice qualcosa di più grande ancora, Teresa: Solo Dio basta. Qui, insieme e oltre la solennità biblica attualizzata nel Nuovo Testamento (Signore, mostraci il Padre e ci basta, Gv 14,8, e Ti basta la mia grazia, 2Cor 12,9), si sente la vibrazione Spirituale/esistenziale della modernità, al tempo di Amleto e di Don Chisciotte, cioè già nel nostro. Il problema è proprio questo, cosa, chi basta? E si scopre, tanto più nell’epoca dello spreco e dello sfrenato consumo, che niente basta, per fortuna.

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