L’Utopia di Campanella

Tommaso Campanella venne arrestato il 6 settembre 1599. Da tre giorni si era rifugiato in un casolare a Roccella Jonica, nell’attesa di un imbarco; l’ennesimo tradimento, invece, lo consegnò nelle mani degli spagnoli. Tutto era partito dalla denuncia, presentata in agosto, che accusava il Campanella di essersi messo a capo di una rivolta tesa a liberare il “feudo della chiesa” dall’occupazione spagnola, al fine di “togliere la sozzura di tanta tirannia e servitù” e rimettere i popoli “nella pristina libertà di repubblica”. Il frate domenicano si difese sempre sostenendo che egli aveva fatto opera di congettura e di teoria, non certo di organizzazione pratica della rivolta. Fin dalla prima Dichiarazione rilasciata poco dopo l’arresto, parlando di se stesso, precisava di essersi dedicato a “diverse professioni di scienza e in particolare alla profezia”, cioè alla capacità di raccogliere indizi sul futuro; in particolare, essendo giunto alla conclusione che, a partire dal 1600, si sarebbero prodotti fenomeni astrali di grande rilevanza, egli ne aveva dedotto che anche nel Regno di Napoli, storicamente soggetto sovente a rivolgimenti violenti, si sarebbe prodotto un grande cambiamento sociale e politico. In realtà, dopo le ricerche condotte da Luigi Amabile nella seconda metà dell’Ottocento, si sa per certo che Campanella si adoperò concretamente per la rivolta, se non altro predicando al popolo, in giro per le campagne. Numerosi testimoni sono concordi nel sottolineare la sua grande capacità di convincere le folle, disponendole al mutamento di regime. In breve, Campanella si rende conto di essere precipitato in una situazione senza via di uscita, e si convince che solo la simulazione della pazzia avrebbe potuto salvargli la vita; si riteneva allora infatti che, poiché i pazzi non avevano la possibilità di pentirsi, se giustiziati i loro peccati sarebbero ricaduti su coloro che avessero eseguito la sentenza. Campanella resse la parte per ventisei anni; ma, certamente, il periodo più duro fu quello iniziale, nel quale fu sottoposto più volte a tortura. La peggiore incominciò il 4 giugno 1601: il prigioniero, con le braccia legate e tirate indietro, doveva rimanere sveglio, per non ferirsi, scendendo con la schiena, sopra un palo acuminato posto sotto di lui. L’inventore di questa “tortura della veglia”, il bolognese Ippolito de Marsiliis, garantiva che “non si era trovato nessuno così feroce da poter resistere a tale tormento”. Campanella, nonostante le ferite, resistette, lasciando convinti della sua pazzia i carnefici, che lo tolsero, mezzo morto, dopo 37 ore. La finzione gli valse il carcere a vita, al posto dell’esecuzione. E gli permise, nel chiuso della cella, di scrivere, seppure in condizioni di estrema difficoltà, la gran parte delle sue opere. Opere che, il più delle volte – quando non riusciva a farle pervenire nascostamente ad amici -, gli venivano sequestrate e distrutte o, nel migliore dei casi, trattenute e non restituite. E allora frate Tommaso le riscriveva, introducendo varianti e modifiche che tenevano conto delle obiezioni ricevute nel frattempo, o dei timori che crescevano in lui e lo inducevano a mutare pensiero, o dell’approfondimento che genuinamente maturava col passare del tempo e l’affinarsi dello spirito. E in queste scritture e riscritture sta l’origine del guazzabuglio nella bibliografia di Campanella. Alla Città del Sole il frate si dedicò non appena ristabilito dalla tortura; gli ci vollero sei mesi, e un grande medico, per rimettersi in piedi. Possiamo considerare questo breve scritto utopico come il modello della città ideale al quale Campanella si ispirò nel progettare il rovesciamento del Regno di Napoli. La struttura della città del sole è piramidale: avvolge una montagna innalzandosi con cerchie murarie concentriche fino al tempio che domina la sommità. L’organizzazione sociale e politica è una combinazione di uguaglianza e partecipazione, da una parte, e di forte gerarchia, dall’altra. I “solari” non sono mai soli: vivono in gruppo, partecipano a molte decisioni pubbliche in maniera diretta, l’organizzazione economica è rigidamente comunistica. Ma hanno dei capi le cui funzioni sono ben precisate, e i cui poteri sono forti. La condizione di uguaglianza consente, attraverso la competizione che mette in luce le doti naturali, di costruire, in parte per elezione e in parte per cooptazione, la gerarchia sociale e politica. Al vertice è posto il “Metafisico”, re-sacerdote che conosce tutte le scienze e orienta la vita della città in armonia con la vita del cosmo; grande spazio, nelle sue decisioni, hanno i segni celesti. Sull’altare del tempio non ci sono i simboli di alcuna religione rivelata, ma un globo che rappresenta il sole, considerato come il principio materiale dell’universo; i “solari” lo onorano, ma lo distinguono da Dio, che è invece adorato e riconosciuto come il padre dell’universo. Per Campanella Dio può essere oggetto di un sentimento naturale, che il cristianesimo, con la sua rivelazione, arricchisce e illumina. I solari, infatti, non conoscono il cristianesimo ma, specifica il Campanella, lo accoglierebbero volentieri perché vi sono disposti da ciò che la natura, da essi rettamente ascoltata, ha già operato in loro. Non afferma, dunque, il panteismo che fu di Giordano Bruno, anche se intuisce che ogni cosa è in rapporto ordinato con ogni altra: “Il Mondo – scrive nell’Epilogismo – dunque tutto è senso e vita e anima e corpo, statua dell’Altissimo, fatta a sua gloria con potestà, senno e amore… Si fanno in lui tante morti e vite che servono alla sua gran vita. Muore in noi il pane, e si fa chilo, poi questo muore e si fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne, nervo, ossa, spirito… Così a tutto il mondo tutte le cose son gaudio e servono, e ogni cosa è fatta per lo tutto e il tutto per Dio”. L’universo, per il frate calabre- se, ed una delle sue intuizioni più profonde, è mosso da un dinamismo interno che esprime, analogamente, il dinamismo trinitario di Dio. Quel che Campanella vuol mostrare, con la sua città ideale, è ciò a cui può arrivare la ragione nel comprendere i princìpi dell’organizzazione sociale: è dunque un testo critico, perché si contrappone all’organizzazione politica esistente ai tempi di Campanella. Questi accoglie la lezione di Tommaso d’Aquino, che riconosceva alla retta ragione degli uomini la capacità di organizzare le cose di questo mondo nel rispetto della legge eterna di Dio, anche quando questa, in assenza della rivelazione, non fosse conosciuta. Ed ecco che, in base a questa “retta ragione”, Campanella, nella città del sole, dona una sostanziale uguaglianza di diritti e doveri agli uomini e alle donne, conferisce dignità ad ogni mestiere che sia utile, in contrapposizione alla mentalità aristocratica del tempo: “È tenuto di più gran nobiltà, che più arti impara, e meglio le fa. Onde si ridono di noi che gli artefici appellamo ignobili, e diciamo nobili quelli, che null’arte imparano e stanno oziosi e tengono in ozio e lascivia tanti servitori con roina della republica”. In conclusione, Campanella si è trovato a vivere in un’epoca nella quale tanti fenomeni e correnti culturali si intersecano turbinosamente, dando vita ad una battaglia culturale complessa, nella quale si muovono molti attori. Da una parte, il pensiero antico, pre-cristiano, che si presenta con vesti diverse, ma sempre esoteriche e gnostiche; dall’altra, la nuova scienza che esprime in quegli anni, con Galileo, la sua figura più esemplare; e, ancora, la galassia del pensiero cristiano, nella quale convivono il tribunale dell’Inquisizione e le innovazioni spirituali e culturali portate dai nuovi ordini religiosi che si dedicano allo studio, all’insegnamento, alle opere sociali. La battaglia non ha solo l’aspetto culturale: le diverse posizioni teoriche portano con sé conseguenze pratiche, di natura sociale e politica. Gli stati entrano nel dibattito con i loro tribunali; non esiste infatti libertà di ricerca: nella valutazione delle idee molto dipende dal fatto che rafforzino o indeboliscano l’ordine costituito. Campanella vive una situazione paradossale: invoca la libertà di pensare e di esprimere la propria opinione, dunque afferma un’esigenza nuova; ma il suo pensiero è vecchio: “vecchio” – cioè non antico, non classico – perché ormai in ritardo nei confronti della ricerca scientifica; egli, più che astronomo, è astrologo; non ricercatore, bensì mago. La sua visione politica nasce dall’esigenza di affermare la libertà, ma la esprime attraverso uno stato teocratico che conserva ancora tutta la struttura dell’autoritarismo antico e medievale. Nella sua stessa vicenda giudiziaria Campanella ha incontrato queste diverse mentalità che si intrecciavano anche all’interno della chiesa: riconosciuto eretico da un tribunale ecclesiastico, viene liberato da un papa che lo tiene in conto di consigliere. La nostra chiesa di oggi, specialmente col pontificato di Giovanni Paolo II, ha avviato un esame di coscienza sul proprio comportamento in questo periodo di svolta tra Medioevo e Modernità, giungendo a chiedere perdono per gli errori. Errori che, spesso, non stavano tanto nei giudizi che consideravano eretiche certe dottrine, perché in molti casi eresia ci fu; ma nel modo con il quale le vicende giudiziarie furono condotte, affidandosi al potere secolare e accettando i suoi strumenti per condurre i processi. Tutto questo rappresenta il passato. Ma anche nel giudizio sui fatti di quel tempo, dobbiamo ricordare che ci fu anche chi, pur dovendo subire, non volle mai venire meno alla fedeltà ecclesiale. Campanella fu tra questi. Morì infatti a Parigi, finalmente libero, nel convento domenicano di rue St. Honoré: non volle mai lasciare l’abito, proclamandosi sempre “vero figlio di san Domenico ” e sempre proclamando la propria fedeltà ai dogmi della chiesa, dalla quale aveva ricevuto tanta ingiustizia, ma anche, insieme, la forza per superarla. Errata corrige – Nell’intervista a Giovanni Casoli apparsa nel n. 19/2002, a p.55, prima riga, la corretta citazione di Hölderlin è “non segno, noi siamo, senza significato”. Ce ne scusiamo col prof. Casoli e con i lettori.

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