L’utilità civile degli “enti inutili”

Che fine faranno i cosiddetti 232 “enti inutili” che la finanziaria ha deciso di tagliare? A distanza di qualche giorno dall’annuncio del provvedimento il quadro appare ancora molto confuso e richiede qualche riflessione.
Scuola normale di Pisa

La manovra finanziaria nell’articolo 7 (comma 22) del “Decreto legge recante misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica” prevede che a decreto approvato «lo Stato cessa di concorrere al finanziamento degli enti, istituti, fondazioni e altri organismi» che fino ad ora hanno legato la propria sopravvivenza alle sovvenzioni statali.

Le reazioni della politica e della società civile sono state tempestive e bipartisan. Le voci più autorevoli del mondo della ricerca e della cultura si sono levate per difendere il valore civile degli enti culturali. Il presidente della Repubblica ha ritenuto opportuno chiedere «approfondimenti e chiarimenti» e lo stesso ministro della Cultura Bondi non ha potuto che riconoscere con rammarico che «la lista degli istituti tagliati dal finanziamento pubblico contiene eccellenze italiane riconosciute nel mondo».

 

Tre questioni richiedono in questi giorni particolare attenzione. Primo: il controllo della spesa pubblica non può avvenire mediante tagli indiscriminati che colpiscono un intero comparto della cultura italiana. Nell’elenco degli enti su cui intervenire compaiono decine di fondazioni culturali come la Triennale di Milano e la Quadriennale di Roma, l’associazione musicale Giovanile (Agimus), la società Geografica italiana, le fondazioni Adriano Olivetti di Roma, le fondazioni Mondadori e Feltrinelli di Milano, il museo Poldi Pezzoli, le fondazione Arena di Verona e festival dei Due mondi di Spoleto, il Centro sperimentale di cinematografia di Roma, l’Istituto Gramsci di Roma. Troviamo poi strutture d’eccellenza nel campo scientifico, come il Centro italiano di ricerche aerospaziali, l’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), la Stazione zoologica “A. Dohrn”, per citare solo le più note e accreditate nel panorama scientifico. È necessario individuare criteri di valutazione e procedure per distinguere e valorizzare gli enti di eccellenza – il cui valore civile è irrinunciabile per la collettività – gli enti legati alla memoria della storia locale, gli enti che generano cultura e sviluppo da quelli che invece hanno perso la propria funzione civile e coltivano solo rendite di posizione.

 

Secondo: scorrendo la lista dei 232 nomi si ha modo di ripercorrere pagine straordinarie della cultura italiana nelle sue più alte espressioni, dalla musica all’arte, dal cinema alla politica, dalla scienza alla letteratura. Questo elenco è un indicatore formidabile del capitale sociale del nostro Paese, del suo grado di civilizzazione e di sviluppo. Un esempio per tutti. L’Istituto nazionale di astrofisica è stato valutato sia in Italia che all’estero come il miglior ente di ricerca in fisica italiana. Stando alle indicazioni date dal decreto, i ricercatori, i tecnici e gli amministrativi non verrebbero licenziati ma accorpati ad altri enti di ricerca o pagati con fondi pubblici da altre amministrazioni. L’effetto di una tale riorganizzazione del personale sarebbe disastrosa: il valore di questi ricercatori non risiede unicamente nella loro personale preparazione e attitudine, ma nell’appartenenza ad una specifica comunità scientifica, che se abolita, disperderebbe quella capacità di produrre saperi, conoscenze e innovazione che è il valore aggiunto del fare ricerca insieme.

 

Terzo: ricerca, istruzione e formazione, non sono un corollario dello sviluppo di un Paese ma la sua condizione fondamentale. Coltivare «la cultura della cultura» – ha osservato Salvatore Settis, direttore della Scuola Normale di Pisa – vuole dire «sapere che le attività artistiche, la creazione letteraria, la ricerca scientifica, la scuola hanno una funzione alta e insostituibile nella società. Sono, anzi in Italia furono, luoghi di consapevolezza e di educazione alla creatività, alla democrazia e ai valori civici», stimoli potenti all’innovazione della società nel suo insieme. La cultura è sviluppo, dimenticarsene potrebbe costarci molto caro.

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