Lo plasmò dalla terra

La parola umiltà viene dal latino humilitas, cioè poca elevatezza da terra, bassezza, piccolezza; bassa condizione; abbattimento morale; abbassamento morale; il sentire umilmente di sé. Essa esprime il carattere di chi è humilis, da humus, cioè terra: appartenente alla terra, basso, sottomesso, spregevole. Humilitas contiene i concetti di ignobilitas, afflictio, infirmitas intesi come miseria, debolezza, assenza di gloria e anche modestia. Humilis traduce il greco tapeinòs che significa basso, piccolo, misero, servile, spregevole. L’antichità pagana greca e romana non ha conosciuto il significato di umiltà quale si manifesta nella letteratura cristiana a cominciare da san Paolo, anche se conosceva una certa umiltà creaturale, temeva gli eccessi dell’arroganza ed esigeva la virtù della temperanza. Nell’antichità pagana, in genere, viene sottolineata la superba autonomia dell’uomo che conquista da sé stesso la virtù e si ritiene degno di grandi cose. Nel latino cristiano la parola humilitas acquista un significato propriamente morale e religioso. Fondamentalmente esprime l’intenzione del servizio che si vuol rendere a Dio e agli uomini. Nella lingua ebraica dell’Antico Testamento, che esprime una cultura teocentrica, la parola umiltà indica una condizione di vita priva di ogni diritto, dalla quale Dio libererà l’uomo abbattendo i superbi. Il significato cristiano di humilitas ha un significato sconfinato se visto in Gesù, il quale, da Dio che era, si fece uomo, per amore di Dio e degli uomini, per servire entrambi. Si potrebbe fare subito una presentazione teologica dell’umiltà, tenendo conto soprattutto della sintesi elaborata da san Tommaso d’Aquino; ma, in realtà, anche la sintesi tomista non esaurisce tutte le ricchezze che questo aspetto della vita cristiana ha portato con sé nella storia della salvezza. Penso di procedere, quindi, ad elaborare brevi sintesi, seguendo il significato che questo vocabolo ha assunto nell’Antico e nel Nuovo Testamento, e indicando alcune particolari enunciazioni dell’umiltà espresse lungo la storia della spiritualità cattolica da san Benedetto, san Bernardo, sant’Ignazio di Loyola, per fermarmi alla sintesi teologica che ne ha delineato san Tommaso d’Aquino e che oggi appare densa di approfondimenti interessanti. Umiltà creaturale Nell’Antico Testamento possiamo distinguere un primo significato dell’umiltà: l’umiltà creaturale, propria della creatura, il riconoscimento della totale dipendenza da Dio. Il Genesi dice come l’uomo fu creato: Allora il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente (2, 7); e il libro di Giobbe dichiara la sua finitezza: L’uomo, nato da donna, breve di giorni e sazio d’inquietudine, come un fiore spunta ed avvizzisce, fugge come l’ombra e mai si ferma (14, 1-2); mentre Isaia afferma contemporaneamente che Dio è tutto: Ogni uomo è come l’erba e tutta la sua gloria è come un fiore del campo. Secca l’erba, il fiore appassisce quando il soffio del Signore spira su di essi. Secca l’erba, appassisce il fiore, ma la parola del nostro Dio dura sempre. Veramente il popolo è come l’erba (40, 6-8). Il non riconoscere questa dipendenza è suggerito dal serpente alla donna nel paradiso terrestre, e sarà la causa del primo peccato di superbia e di disubbidienza: Anzi, Dio sa che, quando voi ne mangiaste, si aprirebbero i vostri occhi e diventereste come Dio, conoscendo il bene e il male (Gn 3, 5). Andranno in rovina coloro che si ritengono un dio, come racconta Ezechiele riguardo al re di Tiro: Poiché hai uguagliato la tua mente a quella di Dio, ecco, io manderò contro di te i più feroci stranieri… e morirai… Ripeterai ancora: Io sono un dio, di fronte ai tuoi uccisori? Ma sei un uomo e non un dio, in balìa di chi uccide… Oracolo del Signore (Ez 28, 6-10). Povertà spirituale = umiltà Dall’esperienza della povertà, matura nell’Antico Testamento un secondo senso, più spirituale, dell’umiltà. È da Sofonia in poi che la povertà ha il significato anche di umiltà, e la parola povero viene tradotta spesso con umile. Attraverso l’esperienza collettiva della disfatta, della umiliazione nazionale davanti ai vincitori e della miseria materiale, la povertà tende ad acquistare un significato morale, spirituale, escatologico: Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini; cercate la giustizia, cercate l’umiltà, per trovarvi al riparo nel giorno dell’ira del Signore (Sof 2, 3). Questa povertàumiltà di cui parla il profeta è fonte di fede e di confidenza in Dio, di sottomissione alla sua volontà, ed è opposta all’orgoglio. Dio manifesterà la sua misericordia verso il popolo quando, spogliato dell’orgoglio, cercherà rifugio nel Signore: Eliminerò da te tutti i superbi millantatori e tu cesserai di inorgoglirti sopra il mio monte santo. Farò restare in mezzo a te un popolo umile e povero, confiderà nel nome del Signore il resto d’Israele. Non commetteranno più iniquità e non proferiranno menzogna; non si troverà più nella loro bocca una lingua fraudolenta. Potranno pascolare e riposare senza che alcuno li molesti (Sof 3, 11-13). E a questi poveri che il Messia sarà inviato a portare la buona novella: Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai poveri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri (Is 61, 1). Questa povertà-umiltà sarà la caratteristica del Messia stesso. Il profeta Zaccaria descriverà il Messia come re povero: Esulta grandemente figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina. Farà sparire i carri da Efraim e i cavalli da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annunzierà la pace alle genti, il suo dominio sarà da mare a mare e dal fiume ai confini della terra (Zac 9, 9-10). Il profeta posteriore a Isaia che viene chiamato Deutero-Isaia, descrive come mediatore di salvezza un misterioso servo di Jhwh, senza bellezza né splendore, disprezzato, oppresso e umiliato come tutti gli altri poveri di Jhwh: Non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per potercene compiacere. Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità. Il castigo che ci da salvezza si è abbattuto su di lui; per le sue piaghe noi siamo stati guariti. Noi tutti eravamo sperduti come un gregge, Ognuno di noi seguiva la sua strada; il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non apri la sua bocca; era come un agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori, e non apri la sua bocca (Is 53, 27). I Salmi Di fronte ai cattivi, agli empi, ai ricchi, ai potenti e soprattutto agli orgogliosi, i poveri, gli umili dicono nei Salmi le loro invocazioni di fede, di confidenza in Dio e di sottomissione alla sua volontà, esprimendo l’impotenza dell’uomo, la sua totale dipendenza da Dio, l’assoluto bisogno del suo soccorso: l’umiltà domina il loro atteggiamento religioso. Leggiamo dal Sal 34: Benedirò il Signore in ogni tempo, sulla mia bocca sempre la sua lode. Io mi glorio nel Signore, ascoltino gli umili e si rallegrino. Celebrate con me il Signore, esaltiamo insieme il suo nome. Ho cercato il Signore e mi ha risposto e da ogni timore mi ha liberato. Guardate a lui e sarete raggianti, non saranno confusi i vostri volti. Questo povero grida e il Signore lo ascolta lo libera da tutte le sue angosce (Sal 34, 1-7). Nel Salterio, i poveri e gli umili sono sullo stesso piano dei giusti: So che il Signore difende la causa dei miseri, il diritto dei poveri. Si, i giusti loderanno il tuo nome, i retti abiteranno alla tua presenza (Sal 139, 13-14). Ad essi sono rivolte le promesse: I poveri mangeranno e saranno saziati (Sal 21, 27); II Signore… incorona gli umili di vittoria (Sai 149, 4). Il Sal 131 ci parla di una povertà felice, che è attesa del dono nella fede e nell’umiltà, con uno spirito che prelude al vangelo: Signore, non si inorgoglisce il mio cuore e non si leva con superbia il mio sguardo; non vado in cerca di cose grandi, superiori alle mie forze. Io sono tranquillo e sereno come un bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è l’anima mia. Speri Israele nel Signore ora e sempre (Sal 131, 1-3). L’umiltà nei libri sapienziali Negli ultimi testi sapienziali il significato della parola umiltà si spoglia di connotazioni sociali e si relaziona al timore di Dio. Il timore di Dio è una scuola di sapienza, prima della gloria c’è l’umiltà (Prov 15, 33); Frutti dell’umiltà sono il timore di Dio, la ricchezza, l’onore e la vita (Prov 22, 4); Prima della caduta il cuore dell’uomo si esalta, ma l’umiltà viene prima della gloria (Prov 18, 12); L’orgoglio dell’uomo ne provoca l’umiliazione, l’umile di cuore ottiene onori (Prov 29, 23). Il Siracide, nel II secolo a.C., adopera la parola umiltà come una delle chiavi della saggezza che egli vuole comunicare a tutti: Figlio, nella tua attività sii modesto, sarai amato dall’uomo, gradito a Dio. Quanto più sei grande tanto più umiliati; cosi troverai grazia davanti al Signore, perché grande è la potenza del Signore e dagli umili egli è glorificato (Sir 3, 17-20).

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