L’Europa bene comune da salvare

Il braccio di ferro con le istituzioni europee sta andando oltre il confronto critico rischiando di infrangere un equilibrio che è il frutto di un lungo percorso e resta l’unico punto di rifermento per incidere a livello mondiale davanti alle grandi potenze e ai poteri finanziari
A little girl's hair is raised by static electricity as she sits under a European Union flag waved by demonstrators during a protest outside the government headquarters in Bucharest, Romania, Saturday, May 12, 2018. Thousands gathered in the Romanian capital to demonstrate against a contentious judicial overhaul they say will make it harder to prosecute senior officials for graft, in a protest called "We want Europe, not a dictatorship". (AP Photo/Vadim Ghirda)

Una delle difficoltà a fare impresa in certi contesti culturali, mi raccontò una volta una studentessa venuta da lontano, è che quando c’è un funerale (un evento che può durare giorni ed è molto costoso) ci si aspetta che i parenti più benestanti trovino i soldi, magari anche, se sono proprietari di un’azienda, vendendo qualche macchinario.

«Ma possibile che non capiscano quanto difficile sarà stato metter su quell’azienda e quanto sia vitale per il futuro dell’intero clan familiare che la funzionalità di quell’azienda resti integra, anziché essere sacrificata ad un obiettivo immediato, con tutto il rispetto». Questa la reazione mia e di altri a cui ho raccontato l’episodio. E ancora: «Se ragionano così, si capisce che non faranno molta strada»

Purtroppo quando leggo o ascolto i grossolani attacchi alle istituzioni europee di alcuni nostri politici, vedo altrettanta incapacità nel capire quanto prezioso sia ciò che si rischia di buttare alle ortiche in cambio di qualche passeggero vantaggio elettorale, e penso con preoccupazione che procedendo in questo modo anche il nostro Paese non farà molta strada.

Ma ci rendiamo conto di quanto arduo, prezioso, eccezionale, quasi miracoloso nel panorama storico degli ultimi 2 mila  anni (se non più) sia stato questo convergere verso comuni e pacifiche istituzioni di un gruppetto di Paesi lacerati da secoli di guerre tanto sanguinose quanto inutili; guerre combattute in nome di ambiziose case reali o di identità nazionali costruite in modo più o meno artificiale e poi usate per creare quella separazione tra amico e nemico che è necessaria per spingere la gente alle armi?

E non è evidente che, di fronte a poteri economici di dimensione inusitata (Apple viaggia verso i mille miliardi di dollari di valutazione azionaria, più di metà del nostro prodotto interno lordo di un anno), anche la Germania è troppo piccola per poter imporre il rispetto di regole di corretta concorrenza e per riuscire a far pagar loro le tasse, mentre su questo l’Unione Europea, ha mostrato comunque di disporre della massa d’urto per poter spuntare delle vittorie?

O anche, più banalmente, essendo abituati fin da piccoli a viaggiare nel nostro continente senza il fastidio e il costo di visti, controlli di frontiera e cambi di denaro, pensiamo davvero che questo sia uno stato di cose naturale di cui gode gratuitamente la gran parte dei cittadini del pianeta?

E se siamo preoccupati di mantenere una certa sovranità in un mondo globalizzato, pensiamo davvero che sia meglio, invece di unirci tra europei attorno ad istituzioni condivise, andare a chiedere favori a russi, cinesi o americani perché ci comprino qualche pacchetto dei nostri traballanti titoli del debito pubblico o ci accordino qualche modesto favore commerciale?

Se non avessero studiato con cura la storia italiana dei secoli scorsi, vadano a rileggere quanta sovranità ottennero i territori italiani in continua lotta fratricida quando, piuttosto che accordarsi tra di loro, preferirono appoggiarsi a Francia, Austria o Spagna e finendo per essere da quelle dominate.

Oggi l’Europa viene additata al popolo come nemico perché ci chiede di rispettare le regole di equilibrio di bilancio sottoscritte da tutti i Paesi membri, Italia compresa, e la si accusa di allearsi con i grandi poteri finanziari per strangolarci con lo “spread”.

In realtà, Europa o non Europa, la vera ragione per tenere sotto controllo la spesa pubblica a debito è la sempre maggiore difficoltà di trovare finanziatori che vogliano comprare i titoli del debito pubblico italiano, titoli che già erano rischiosi per l’enormità del debito, ma che oggi lo sono ancora di più dopo la ripetuta rivendicazione da parte del governo del diritto di spendere oltre i limiti prudenziali. E spero che i fatti non ce lo dimostrino troppo presto.

Tra le forze di maggioranza qualcuno forse non si rende conto dell’enormità del danno che l’azzoppamento del progetto europeo (pur imperfetto e incompleto) arrecherà ai nostri figli, e di quanto appaiano piccini i piccoli benefici che si possono sperare di ottenere dallo sventolare un malinteso orgoglio nazionale. Qualcun altro magari se ne rende conto ma non riesce a trovare un modo elegante per fare marcia indietro, dopo aver concesso troppo alla demagogia antieuropea. Qualcun altro – e questo è il caso peggiore – lo scontro con l’Europa lo cerca di proposito, perché lo sfascio della cooperazione europea è quello che davvero interessa a chi da fuori lo supporta. Ma voglio credere che questa non sia l’ultima parola di chi opera all’interno di queste forze e di chi le ha votate.

 

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