Lettera da Berlino

Dalla Berlino divisa in zone di occupazione il quadro gelido non solo per la stagione invernale, ma perché gravido di preoccupazioni per il futuro incerto di tante famiglie divise. Nella foto il cartello annuncia:«Attenzione! State per uscire da Berlino ovest».
Berlino

II 1960 ha registrato la quota di un milione e mezzo di passeggeri nel corridoio aereo fra Berlino ovest e il territorio della Repubblica di Bonn. Di questi, 150 mila hanno preso solo il biglietto di andata e si sono aggiunti ai tredici milioni di profughi nella Bundesrepublik. Complessivamente lo scorso anno hanno abbandonato la zona orientale 200 mila persone: un terzo di più che nel 1959.

 

Nel campo di raccolta di Marienfelde, nella Berlino occidentale, nei giorni 25, 26 dicembre sono affluiti 1500 nuovi rifugiati, lasciando la casa, la famiglia e la gelida atmosfera natalizia dell’Est. Negli stessi giorni dell’anno precedente 600 persone avevano chiesto asilo all’Ovest. Quest’anno i controlli della Vo-Po (Volkspolizei) sono stati meno serrati nelle ferrovie sotterranee della ex capitale tedesca: si era alla vigilia di un nuovo accordo tra il governo di Pankow e quello di Bonn per il traffico interzonale e Krusciov non aveva piacere che il satellite tedesco creasse delle grane a Berlino, proprio ora che sta cercando l’occasione propizia di intavolare un colloquio con Kennedy.

 

È giusto domandarsi cosa succeda a Berlino in questi giorni. I berlinesi come tutti i cittadini della Germania libera hanno trovato un mezzo pacifico e significativo per esprimere i loro sentimenti: la notte di Natale innumerevoli candele accese sui davanzali delle finestre sono state una silenziosa manifestazione di ricordo per i fratelli tagliati dalla cortina.

 

Più crudo, amaro e straziante è lo spettacolo che si ripete ogni giorno all’aeroporto di Berlino. I figli che studiano o lavorano all’Ovest, i padri e le madri che rimangono all’Est: per aver un’idea della barriera che viene a crearsi fra di loro non v’è che il linguaggio eloquente delle scene di Tempelhof. Tanto più commovente, quanto più tutto deve apparire normale, contenuto nei limiti di un patetico commiato, mentre è un lacerarsi di brandelli vivi. Poi l’aereo parte verso il mondo libero e una figura curva, con abiti dimessi, imbuca il sottopassaggio dell’UBahn che la riporterà all’Est. Se un Vo-Po la ferma per il controllo, potrà solo dire che ha fatto una visita di dovere ai suoi parenti di Berlino ovest e le lacrime finiranno d’asciugarsi sul treno per Lipsia, Magdeburgo o Rostock.

Stefano Gioia

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