L’eterno mistero afghano

Costernati dinanzi alle immagini che arrivano dall'Afghanistan e agli appelli mediatizzati di tanti afghani, non si può non ritornare ad un intervento sbagliato nei suoi presupposti

Quel che sta accadendo in Afghanistan era annunciato sin dall’inizio dell’operazione lanciata dagli Stati Uniti e dai suoi alleati all’indomani delle Torri gemelle. Vediamo perché.

Terrorismo. La ragione prima dell’intervento del 7 ottobre 2001 era lottare contro al-Qaeda e il terrorismo di natura islamista. Gli Stati Uniti sostengono, anche con l’attuale presidente Biden, che tale scopo è stato in gran parte raggiunto, con

Osama Bin Laden

l’eliminazione di Osama Bin Laden, in Pakistan, ad Abbottabad, il 2 maggio del 2011, e soprattutto con il prosciugamento della palude nella quale sguazzavano migliaia di potenziali terroristi, che approfittavano della libertà di movimento in Afghanistan e nelle zone tribali del Pakistan, in mano a milizie terroristiche. Difficile dare un giudizio finale sulla vicenda. L’attuale situazione di stanca del terrorismo internazionale, dopo la nascita del Daesh, dopo la stagione degli attentati in Europa, in particolare del 13 novembre 2015 in Francia, è difficile da interpretare, perché c’è di mezzo una pandemia, la guerra di Siria continua, mentre la situazione nel deserto del Sahara è fuori controllo. Sapremo nei prossimi anni se l’intervento in Afghanistan è veramente riuscito sotto questo punto di vista.

Popolo fiero. Come i russi nella guerra 1979-1989, anche gli Stati Uniti e i suoi alleati hanno sbagliato clamorosamente nel pensare che il popolo afghano fosse malleabile. Se si esclude Kabul, e in parte le grandi città come Herat dove era di stanza il contingente italiano, in cui una parte della popolazione ha aderito alla way of life all’Occidentale, la grande maggioranza della popolazione afghana, che è rurale, non ha accettato tali principi di vita, ed è rimasta ancorata a un modo di vivere proprio (arretrato? Per certi versi sì, per altri no) e alle tradizioni locali. Gli Occidentali non sono nuovi a questi errori: basti vedere la situazione iraniana, dove si ritiene che la molto pubblicizzata minoranza “occidentalizzata” sia maggioranza. Non lo è. La stragrande maggioranza degli afghani ha ritenuto l’intervento Usa un’occupazione in piena forma.

Papaveri. Mai dimenticare che l’economia afghana si basa in buona parte, circa il 40 per cento del reddito nazionale, sull’oppio. Chi ha in mano la produzione della pianta da cui si estrae la droga sale prima o poi le scale dei palazzi del potere a Kabul. Le truppe d’occupazione hanno speso miliardi di dollari per convertire la cultura dell’oppio in altre culture – non semplici dal punto di vista climatico – o in altre attività, senza però riuscire a controllare quelle parti di territorio dove più è intensa la produzione, appunto, lontano dalle città. Non si cambiano le inveterate tradizioni, anche agricole, di una popolazione a forza, ma facendo opera di educazione e generando sviluppo endemico, in ogni caso attenti alla redditività delle produzioni.

Islam. È questa la questione più discussa. L’approccio diciamo religioso. Si pensava che con la forza potessero essere diminuite le tendenze più retrive e fondamentaliste dell’Islam della regione, incarcerando imam e mullah, chiudendo moschee e controllando l’attività di quelle rimaste aperte. Qualche risultato è stato ottenuto, ripeto, nelle grandi città, ma un’operazione del genere non poteva andare in porto nelle zone rurali. Perché la religione è per sua natura refrattaria a chi vuole eliminarla o mutarla, i cambiamenti religiosi hanno bisogno di educazione (di nuovo) e di consonanza col sentire profondo del popolo. Cosa che l’occupazione degli Usa e dei suoi alleati non avrebbe mai e poi mai potuto raggiungere.

Eserciti. Inoltre, mi sembra che l’esperienza afghana abbia confermato che le operazioni militari troppo lontane geograficamente e culturalmente dalla propria nazione ormai non servano più a nulla, producendo risultati contrari alle attese. Non pochi generali Usa avevano espresso a suo tempo, e anche più tardi, le loro perplessità su un modo di intervento che domanda enormi sforzi logistici, quindi spese enormi, e troppi morti. 2312 bare rientrate negli Usa sono state troppe per l’opinione pubblica statunitense, come sono stati troppi i 250 mila morti afghani. Troppi funerali in Afghanistan e fuori. Soprattutto, è difficile ormai fare guerre senza una conoscenza più che profonda delle tradizioni locali. Su questo il deficit delle truppe Usa era notorio.

Educazione. Ricordo di aver intervistato a suo tempo, era il 2005, il direttore di una scuola in un campo profughi a Peshawar, in Pakistan. Con altri colleghi, afghani e pakistani, aveva convinto non poche famiglie, alcune migliaia, a far studiare i loro bambini in una scuola “laica”, non in mano ai talebani o ad altri gruppi religiosi fanatici. Mi disse: «Servono 15-20 anni di formazione dei bambini e dei ragazzi per estirpare tradizioni poco umane e superstiziose dal cuore di una popolazione. Bisogna trovare il consenso della gente. Come fai ad ottenerlo quando ti presenti con un mitra in mano?».

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