Le donne in Italia, protagoniste della migrazione

È stato pubblicato il primo rapporto sulla condizione delle donne migranti in Italia. I curatori: «“Migrazione” si scrive in senso neutro ma si legge in ottica maschile. La ricerca squarcia il velo di oblio che è calato nel nostro Paese»
Foto Pexels

Il Centro Studi e Ricerche IDOS, in collaborazione con l’Istituto di Studi Politici S. Pio V, ha presentato il rapporto “Le migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità”. Si tratta di uno studio inedito che analizza il fenomeno migratorio dalla prospettiva delle donne, individuandone le caratteristiche e le differenze che ci sono riguardo alla migrazione degli uomini.

Il volume osserva le difficoltà che comporta il fatto di essere donna e migrante per l’integrazione, l’accesso all’occupazione, e per lo sviluppo umano integrale, dovute ad un meccanismo di doppia discriminazione esistente nelle nostre società. Per questo l’obiettivo del rapporto è quello di dare voce alle donne migranti, immedesimarsi nel loro sguardo e raccontare con i numeri il vissuto delle protagoniste delle migrazioni femminili in Italia durante gli ultimi decenni.

Durante la presentazione all’Auditorium Carlo Donat-Cattín di Roma le curatrici del rapporto, Maria Paola Nanni e Ginevra Demaio, e il curatore Benedetto Coccia, hanno evidenziato che il fenomeno migratorio in Italia è stato da sempre caratterizzato dal protagonismo delle donne. Secondo lo studio, le donne sono arrivate per prima nel nostro Paese e hanno rappresentato – come tuttora accade – un numero maggiore rispetto agli uomini, situandosi attualmente leggermente al di sopra del 50% della popolazione straniera.

Le donne sono state dunque «le pioniere della migrazione», spiegano gli esperti; e questa presenza storicamente prevalente è stata partecipativa, spinta dal desiderio di emancipazione e autonomia, dalla voglia di riscatto da regole non più condivise, basata su tutto un progetto migratorio. Tuttavia la doppia condizione specifica di donne e migranti è stata a lungo trascurata, trattandola senza fare differenze con l’analisi della migrazione maschile, che presenta dei tratti alquanto diversi e più vantaggiosi – pur nella complessità del fenomeno migratorio e dell’integrazione sociale e lavorativa.

Secondo lo studio le donne trovano degli ostacoli maggiori nell’accesso al mondo del lavoro, specie se migranti. Infatti soltanto il 45,4% delle donne straniere presenti in Italia ha un contratto di lavoro, a fronte del 71,7% degli uomini. In più sono state fondamentalmente relegate a tre sole occupazioni: lavori domestici, attività di cura, e impiego nelle pulizie di uffici ed esercizi commerciali. Essendo attività che non hanno una ripercussione diretta sul mercato, questo lavoro non produce valore di scambio e dunque non viene contabilizzato. Da questo trattamento ne deriva un fenomeno caratterizzato dalla sovra istruzione e dalla svalorizzazione delle donne nella società e nel mercato del lavoro. Infatti questo gruppo sociale rientra tra il 20% più povero della popolazione, come ha segnalato Letizia Palumbo, ricercatrice dell’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Inoltre esistono delle dinamiche socioeconomiche come l’isolamento, la ghettizzazione o la mancanza di separazione tra lo spazio abitativo e quello lavorativo, che favoriscono lo sfruttamento delle donne migranti e aumentano la loro vulnerabilità. Non di rado sono sottomesse a diverse forme di schiavitù, con la tratta di esseri umani e la prostituzione tra quelle più frequenti.

Presentazione del volume “Le migrazioni femminili in Italia. Percorsi di affermazione oltre le vulnerabilità”. Da sinistra a destra, Benedetto Coccia, Letizia Palumbo, Maria Adelaide Massimi, Pilar Saravia, Paolo De Nardis, Stefania Congia, Luca Di Sciullo, Maria Paola Nanni e Ginevra Demaio. Foto: Candela Copparoni

Tra i presenti alla conferenza c’era Maria Adelaide Massimi, membro dell’Associazione per gli Studi Giuridici sull’Immigrazione, che ha denunciato come le politiche di esternalizzazione delle frontiere creino blocchi e percorsi di mobilità forzata che non permettono l’accesso alla protezione, erodendo il diritto di asilo e colpendo in modo particolare la vita delle donne migranti. È l’esempio della rotta del Mediterraneo centrale, dove Paesi come il Niger o la Libia non offrono nessun tipo di protezione alle persone in transito, clandestinizzando la presenza dei migranti nel Paese terzo. L’unica alternativa che viene offerta è il respingimento mascherato da “ritorno volontario”, come ha spiegato Massimi. Come conseguenza vi è un impedimento della mobilità e uno sfruttamento dei corpi delle donne, che vengono comprate e schiavizzate nella logica del business e del profitto.

«L’Italia e l’Ue hanno la responsabilità giuridica e politica di quello che sta accadendo come conseguenza del blocco delle migrazioni», ha ribadito Massimi; che al tempo stesso che ha criticato il finanziamento di progetti che mirano piuttosto all’addestramento di forze di sicurezza, e la visione individualista e miope della situazione.

In sala vi erano anche dei testimoni vivi di quelle prime immigrazioni femminili. È il caso di Pilar Saravia, antropologa peruviana e mediatrice interculturale, che ha condiviso con il pubblico parte del suo vissuto migratorio: «La vita ti travolge e ti trovi a fare un’esperienza che non avevi mai considerato. Noi abbiamo trovato una società che ci guardava con curiosità, non con disprezzo. […] Lottavamo per la legalità, perché non c’era una legislazione, e l’Europa ci ha dato una forte mano; è stato frutto di una lotta. Le società cambiano, oggi i giovani lottano per la cittadinanza; io ritengo che le lotte dei nostri figli siano anche le nostre lotte».

A chiudere l’evento è stata Stefania Congia, della Dg Immigrazione del ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, che con un discorso piuttosto emotivo ma lontano dal sentimentalismo ha esortato a non voltarci dall’altra parte e a «non lasciarci trascinare dalla logica dell’indifferenza». «Sono intollerabili affermazioni come “La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”», ha sentenziato in allusione alle parole del ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, e ha aggiunto in risposta che «servono corridoi umanitari», ricevendo l’ovazione del pubblico.

Come ha ben sottolineato Benedetto Coccia, «“migrazione” si scrive in senso neutro ma si legge in ottica maschile». Perciò, «la ricerca squarcia il velo di oblio che è calato nel nostro Paese –continua Coccia. Il nostro compito è quello di diffondere questi risultati con un linguaggio semplice al quale tutti possano accedere […], per aiutare la società a riconsiderare le migrazioni femminili […] e spalancare delle finestre a nuovi scenari». Con questo scopo è stato più volte reiterato l’invito a pensare e a mettere in atto politiche sociali e pratiche concrete rivolte a sostenere e accompagnare le donne migranti, per favorire uno sviluppo sostenibile che crei società più coese.

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