Le difficoltà tra il Canton Ticino e l’Italia

Pubblichiamo la terza e ultima parte dell'intervista a Luca Crivelli, professore di Economia politica presso l’Università della Svizzera italiana, dopo il referendum che ha visto prevalere la volontà di limitare i permessi di dimora per stranieri con l'applicazione di «tetti massimi e contingenti annuali»
Sede del governo del Canton Ticino a Bellinzona

La lunga intervista con il professor Crivelli ci permete di cogliere un aspetto dei rapporti tra il nostro Paese e il confinante Cantone di lingua italiana che sfugge a troppe semplificazioni e ci invita a cogliere le consuguenze che derivano dalla diffusione di certi modi di fare impresa che rivelano uno dei volti della crisi non solo economica dell'italia (leggi anche La Svizzera, gli stranieri e il referendum. Cosa sta accadendo? e Più chiusura se gli svizzeri si lasciano frenare dalla paura).

Che tipo di effetto provoca nel Canton Ticino l’arrivo giornaliero di migliaia di lavoratori italiani transfrontalieri che accettano condizioni di lavoro e di retribuzione inferiori a quelli dei residenti?
«Il dato del Ticino merita un commento a parte. Perché è proprio qui che si è decisa la votazione. La differenza tra i favorevoli ed i contrari in Ticino è stata di 40 mila schede. Sarebbe bastato che 10 mila ticinesi si schierassero dall’altra parte per cambiare l’esito della votazione (se invece del 68 per cento i favorevoli all’iniziativa in Ticino fossero stati “solo” il 62 per cento, avrebbe infatti vinto il fronte del no). Non a caso Toni Brunner, presidente dell’Udc nazionale, parafrasando il discorso di John Kennedy a Berlino nel 1963, ha esclamato: “Ich bin ein Tessiner” (“Sono un ticinese”). Il Ticino è una regione di frontiera ed il suo mercato del lavoro interno, così come le vie di transito quotidianamente paralizzate dal traffico, sono state messe sotto pressione dall’afflusso massiccio di frontalieri dall’Italia. Ma questa situazione è analoga anche a Basilea ed a Ginevra, due cantoni che confinano rispettivamente con la Germania e la Francia e che hanno chiaramente respinto l’iniziativa. Non è solo una questione di “quanto” (il numero assoluto dei frontalieri), ma anche e soprattutto una questione di “come” avviene l’afflusso dei frontalieri. La vicinanza con la Germania e la Francia non sembrerebbe produrre gli stessi effetti come la vicinanza con l’Italia».

In cosa consiste la difficoltà di tale vicinanza con l’Italia?
«È evidente che i rapporti di vicinato tra Canton Ticino ed Italia sono in crisi da almeno un decennio, determinando per i ticinesi una sindrome da abbandono nei confronti del governo federale, che in questi anni non avrebbe saputo sostenere adeguatamente il Ticino nelle sue rivendicazioni nei confronti dell’Italia (scudi fiscali, black list, finanziamento delle infrastrutture ferroviarie, traffico, ecc.). La crisi italiana, che non è solo crisi economica, ma anche e soprattutto crisi di valori, sta pesando molto sull’economia locale del Ticino, portando dei costumi che qui erano del tutto sconosciuti».

Ci faccia un esempio…
«Il dumping salariale (accettazione di condizioni contrattuali dimezzate rispetto ai salari d’uso) è una realtà che non tocca solo i settori del lavoro manuale (come le costruzioni, dove si assiste all’odioso fenomeno del caporalato, con lo sfruttamento della manovalanza frontaliera da parte di ditte estere che, vinta una commessa pubblica, danno il via a lunghe catene di subappalti che generano rendite di posizione per chi sta sopra e sfruttamento di chi lavora), ma anche nel settore delle banche e del terziario avanzato. Sono arrivate in Ticino alcune pratiche incivili, molto frequenti in Lombardia: un giovane che si è appena laureato non viene più assunto in azienda perché gli viene proposto uno stage con rimborso spese per alcuni mesi, prima di vedersi offrire (forse) un contratto di lavoro. Detto in altri termini, si è prodotta negli ultimi anni una sostanziale riduzione del costo del lavoro che, non avendo avuto ripercussioni visibili sul livello dei prezzi, si è trasformata in un aumento dei margini di profitto (un trasferimento di rendita dal fattore lavoro al capitale, direbbe Marx). E rieccoci al tema della disuguaglianza. Non è un caso che fra qualche mese gli svizzeri saranno richiamati alle urne per esprimersi su un’iniziativa che propone l’introduzione di un salario minimo! I vantaggi economici o sono condivisi tra tutti o creano insoddisfazione e portano a sterzate come l'esito di questo referendum, che sono destinate a mettere a repentaglio la competitività del sistema economico elvetico».

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