Lavoratori introvabili

Per alcune professioni è diventato difficile reperire personale.
Operai in un cantiere edile

Che il mercato funzioni quando domanda e offerta si incontrano e la prima è corrispondente alla seconda è cosa ovvia; meno ovvio è sapere “come” far sì che s’incontrino e soprattutto capire i motivi per i quali a volte questo non succede. Sembra proprio quest’ultimo il dato che emerge da uno studio della Confartigianato elaborato su dati Istat e dal  rapporto Excelsior di Unioncamere e ministero del Lavoro. A fronte, infatti, di un tasso di disoccupazione che continua a crescere, e mentre il precariato va acquisendo stabilità, lo studio ci dice che per ben 68 professioni non si trovano lavoratori disponibili alle attuali condizioni.

Insomma, accanto alla figura del disoccupato e del precario va purtroppo facendosi strada un’altra tipologia, quella del lavoratore introvabile.

 

Al primo posto di questa lunga lista sono gli installatori di infissi e serramenta, irreperibili nella misura dell’83 per cento; seguono i panettieri col 39,4 per cento, tessitori, addetti all’edilizia, pasticceri, sarti, parrucchieri, falegnami, cuochi, meccanici, camerieri…

«Quello dell’occupazione è diventato il problema principale per molte famiglie e va affrontato con strumenti efficaci e moderni», ha sottolineato il presidente di Unioncamere, Ferruccio Dardanello che ha poi indicato qualche pista da seguire: «Una politica di formazione e qualificazione continua delle risorse umane che guardi alla scuola pensando all’impresa. La strada giusta è quella di integrare la formazione scolastica e universitaria con quella in ambiente produttivo, che occorre sviluppare anche in collaborazione con le province, monitorando i fabbisogni professionali del territorio». 

 

Sull’importanza del percorso scolastico e universitario concorda anche Stefano Biondi, sindacalista della Cisl. «C’è una frattura evidente tra mondo del lavoro e mondo della scuola non più attenta alla manualità. Talvolta, poi, il ciclo di studi universitari è talmente lungo da trovare, nel momento del completamento, un sistema produttivo già completamente cambiato rispetto a quando si è operata la scelta di una facoltà, con conseguenze facilmente immaginabili». Ci sono poi altri aspetti, sottolinea il sindacalista: «Il fatto che non esistano più gli uffici di collocamento che pur con tutti i loro limiti svolgevano comunque una funzione di censimento globale della domanda e dell’offerta, e la scarsa valorizzazione sociale dei mestieri artigianali una volta trasmessi di generazione in generazione. A volte, infine, le persone disponibili vivono in un’altra regione e i costi del trasferimento non giustificano lo spostamento da un posto all’altro: è molto più conveniente guadagnare meno, ma a casa propria».

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