L’America Latina al “mercato” della Cop28

Fortemente castigati da fenomeni meteorologici estremi, i Paesi dell’America Latina cercano di fare squadra alla Cop28 in corso a Dubai. Il ruolo di Brasile e Colombia  
I leader delle nazioni sudamericane posano per una foto di gruppo durante il vertice dell'Amazzonia (AP Photo/Eraldo Peres)

Il rischio di un’altra fiera delle buone intenzioni è reale, in una conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop28) ospitata e presieduta dagli Emirati Arabi Uniti, un Paese grande produttore di petrolio. Tanto più che la molteplicità di attori presenti e gli interessi nazionali, regionali, pubblici e privati in gioco la fanno sembrare un mercato, in cui si offrono e si cercano affari in base a proclami ed annunci.

Tuttavia, la coscienza di vivere tutti sullo stesso martoriato pianeta, che possiamo preservare o rendere inabitabile, ha mosso appelli all’azione immediata e a decisioni radicali e coraggiose da parte di capi di Stato, rappresentanti della società civile e, per la prima volta, anche delle religioni, unite in un inedito “padiglione della fede”.

Nei primi giorni hanno risuonato i moniti e i rimproveri dei Paesi in via di sviluppo, che poco contribuiscono al problema e molto ne patiscono le conseguenze, rivolti alle grandi potenze economiche.
I Paesi del Sud del mondo si fanno forti dei loro attivi, tra i quali il fatto che ospitano ancora la maggior parte delle aree boschive “riciclatrici” naturali di carbonio in ossigeno.

Incoraggiati dall’anelato accordo sul funzionamento del fondo di riparazione di danni e perdite causati dal climate change e dal consenso sulla necessaria accelerazione degli investimenti sulle energie rinnovabili, l’America Latina si sforza di dare l’esempio.

Nell’area socioeconomicamene più diseguale del mondo è unanime il riconoscimento della minaccia che il cambiamento climatico rappresenta per la lotta alla povertà. Ogni nuovo evento estremo produce nuovi poveri.

Per questo, le banche multilaterali regionali di sviluppo si danno da fare. La Coalizione verde di banche di sviluppo promossa dalla Bid (Banca interamericana di sviluppo) riunisce 20 istituti finanziari uniti nel fomentare iniziative produttive socioambientalmente ed economicamente sostenibili, privilegiando l’Amazzonia che sta vivendo la peggiore siccità mai registrata.

Allo stesso modo, l’istituto bancario nato dalla Corporación Andina de Fomento (Caf), allargatosi a tutta la regione, ha realizzato a Dubai un padiglione dove pubblicizza eventi e soluzioni proposte dai 22 Paesi soci, facendo leva sulle risorse costituite dai biomi locali.

Dal canto loro, due potenze come il Brasile e la Colombia si affannano a dare l’esempio ed a spronare all’azione tutti quelli che possono. Sebbene proprio a Dubai si sia confermato l’adesione del Brasile alla versione allargata dell’organizzazione di Paesi esportatori di Petrolio (Opep+), il presidente Lula ha riaffermato l’impegno brasiliano di “deforestazione zero” per 2030, affermando però che “il futuro dell’Amazzonia non dipende solo dagli amazzonici” (vedi le alterazioni climatiche attuali).

Il Brasile propone un sistema di fondi internazionali per premiare la preservazione monitorata e vigilata delle foreste tropicali in un’ottantina di Paesi. Internamente, Lula ha assicurato che, grazie “ai progressi della genetica e dell’ingegneria”, la produzione agricola aumenterà senza toccare le foreste.

La Colombia ha invece aderito al Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili (Tnpcf), promosso da nazioni insulari minacciate dall’elevazione dei mari. “È un paradosso”, ha segnalato il presidente Petro, che vi aderisca ora “un Paese che vive di petrolio” (la Colombia è il quarto produttore latinoamericano dopo Brasile, Messico e Venezuela). Nell’annunciare che non approverà nuove concessioni petrolifere né per l’estrazione di gas, il presidente colombiano ha sottolineato che quello che alcuni potrebbero definire “un suicidio economico” è in realtà un atto dovuto per la prevenzione di un “omnicidio”. Nel mercato dell’energia pulita, Petro cerca 34 miliardi di dollari per prescindere dall’ex oro nero e investire in una produzione sostenibile.
Ciò che accomuna due leader così dissimili come Lula e Petro è la parola “transizione”.

Per Lula, occorre per ora “influire” sulle petroeconomie per promuovere una progressiva decarbonizzazione. Per Petro, la ricetta è vendere crediti di carbonio per compensare la produzione di CO2. Entrambi puntano a poter dire presto “si può fare”, mostrando l’esempio delle proprie buone pratiche. Si vedrà.

Il mercato della Cop28 chiude il 12 dicembre. Annunci, denunce, proposte ed impegni non vincolanti si succedono ogni giorno. Si tratta comunque di un mercato in gran parte “di piazza”. E nelle piazze quello che succede è di dominio pubblico. La società è più attenta che mai. Speriamo che ciò inviti a prendere impegni in coscienza.

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Il rischio di un’altra fiera delle buone intenzioni è reale, in una conferenza delle Nazioni Unite sul clima (Cop28) ospitata e presieduta dagli Emirati Arabi Uniti, un Paese grande produttore di petrolio. Tanto più che la molteplicità di attori presenti e gli interessi nazionali, regionali, pubblici e privati in gioco la fanno sembrare un mercato, in cui si offrono e si cercano affari in base a proclami ed annunci. Tuttavia, la coscienza di vivere tutti sullo stesso martoriato pianeta, che possiamo preservare o rendere inabitabile, ha mosso appelli all’azione immediata e a decisioni radicali e coraggiose da parte di capi di Stato, rappresentanti della società civile e, per la prima volta, anche delle religioni, unite in un inedito “padiglione della fede”. Nei primi giorni hanno risuonato i moniti e i rimproveri dei Paesi in via di sviluppo, che poco contribuiscono al problema e molto ne patiscono le conseguenze, rivolti alle grandi potenze economiche. I Paesi del Sud del mondo si fanno forti dei loro attivi, tra i quali il fatto che ospitano ancora la maggior parte delle aree boschive “riciclatrici” naturali di carbonio in ossigeno. Incoraggiati dall’anelato accordo sul funzionamento del fondo di riparazione di danni e perdite causati dal climate change e dal consenso sulla necessaria accelerazione degli investimenti sulle energie rinnovabili, l’America Latina si sforza di dare l’esempio. Nell’area socioeconomicamene più diseguale del mondo è unanime il riconoscimento della minaccia che il cambiamento climatico rappresenta per la lotta alla povertà. Ogni nuovo evento estremo produce nuovi poveri. Per questo, le banche multilaterali regionali di sviluppo si danno da fare. La Coalizione verde di banche di sviluppo promossa dalla Bid (Banca interamericana di sviluppo) riunisce 20 istituti finanziari uniti nel fomentare iniziative produttive socioambientalmente ed economicamente sostenibili, privilegiando l’Amazzonia che sta vivendo la peggiore siccità mai registrata. Allo stesso modo, l’istituto bancario nato dalla Corporación Andina de Fomento (Caf), allargatosi a tutta la regione, ha realizzato a Dubai un padiglione dove pubblicizza eventi e soluzioni proposte dai 22 Paesi soci, facendo leva sulle risorse costituite dai biomi locali. Dal canto loro, due potenze come il Brasile e la Colombia si affannano a dare l’esempio ed a spronare all’azione tutti quelli che possono. Sebbene proprio a Dubai si sia confermato l’adesione del Brasile alla versione allargata dell’organizzazione di Paesi esportatori di Petrolio (Opep+), il presidente Lula ha riaffermato l’impegno brasiliano di “deforestazione zero” per 2030, affermando però che “il futuro dell’Amazzonia non dipende solo dagli amazzonici” (vedi le alterazioni climatiche attuali). Il Brasile propone un sistema di fondi internazionali per premiare la preservazione monitorata e vigilata delle foreste tropicali in un’ottantina di Paesi. Internamente, Lula ha assicurato che, grazie “ai progressi della genetica e dell’ingegneria”, la produzione agricola aumenterà senza toccare le foreste. La Colombia ha invece aderito al Trattato di non proliferazione dei combustibili fossili (Tnpcf)), promosso da nazioni insulari minacciate dall’elevazione dei mari. “È un paradosso”, ha segnalato il presidente Petro, che vi aderisca ora “un Paese che vive di petrolio” (la Colombia è il quarto produttore latinoamericano dopo Brasile, Messico e Venezuela). Nell’annunciare che non approverà nuove concessioni petrolifere né per l’estrazione di gas, il presidente colombiano ha sottolineato che quello che alcuni potrebbero definire “un suicidio economico” è in realtà un atto dovuto per la prevenzione di un “omnicidio”. Nel mercato dell’energia pulita, Petro cerca 34 miliardi di dollari per prescindere dall’ex oro nero e investire in una produzione sostenibile. Ciò che accomuna due leader così dissimili come Lula e Petro è la parola “transizione”.  Per Lula, occorre per ora “influire” sulle petroeconomie per promuovere una progressiva decarbonizzazione. Per Petro, la ricetta è vendere crediti di carbonio per compensare la produzione di CO2. Entrambi puntano a poter dire presto “si può fare”, mostrando l’esempio delle proprie buone pratiche. Si vedrà. Il mercato della Cop28 chiude il 12 dicembre. Annunci, denunce, proposte ed impegni non vincolanti si succedono ogni giorno. Si tratta comunque di un mercato in gran parte “di piazza”. E nelle piazze quello che succede è di dominio pubblico. La società è più attenta che mai. Speriamo che ciò inviti a prendere impegni in coscienza.

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