L’accordo sul nucleare iraniano di nuovo bloccato

Sembrava imminente la ripresa dell’accordo Jcpoa sul nucleare iraniano, quando la Russia si è tirata fuori per pretendere assicurazioni sul commercio con l’Iran esente da sanzioni Usa. Lo stop coivolge indirettamente anche la Cina che, appoggiando l’Iran, senza dirlo sembra ridimensionare in certo modo le pretese russe.
Negoziati per il nucleare iraniano, foto Ap.

Siamo molto vicini… Ora dobbiamo percorrere gli ultimi passi”. Era il 17 febbraio scorso, solo un mese fa, quando Stephanie Al-Qaq, capo delegazione britannica ai colloqui per la ripresa degli accordi sul nucleare iraniano (Jcpoa, Joint Comprehensive Plan of Action), in corso a Vienna, ha twittato queste parole. C’erano volute 8 difficili sessioni di trattative tra il cosiddetto gruppo dei “Cinque più uno” allargato: i 5 membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’Onu (Usa, Gran Bretagna, Francia, Russia e Cina) più la Germania, l’Ue e naturalmente l’Iran, dopo la ripresa dei colloqui nel 2021, 3 anni dopo l’uscita unilaterale degli Usa voluta dal presidente Trump (8 maggio 2018). Uscita che aveva comportato da un lato l’incremento di pesanti sanzioni, e dall’altro la risposta iraniana di un forte aumento dell’arricchimento di uranio, ben oltre le quote concordate nel precedente accordo.

La posizione intransigente dell’amministrazione trumpiana non si era fermata neppure davanti alla pandemia di Covid-19, anzi aveva approfittato dell’iniziale debolezza iraniana, dovuta alla mancanza di presidi medici e vaccini, per sperare in un collasso del regime di Teheran o almeno nella sua capitolazione in relazione al programma nucleare. Ma gli iraniani si erano industriati e, partendo dai vaccini russo, indiano e dai due cinesi, avevano messo a punto e prodotto su larga scala un loro vaccino, il Barekat, con il quale, a inizio 2022, erano riusciti a vaccinare oltre il 70% della popolazione (85 milioni di abitanti). Certo i ritardi iniziali nelle vaccinazioni dovuti al blocco statunitense sono costati la vita a migliaia di iraniani, ma alla fine la campagna vaccinale ha ottenuto ottimi risultati, tra i migliori dell’intero Medio Oriente.

Passata l’era dell’intransigenza con la fine ingloriosa di Trump (nell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021), i colloqui sul nucleare iraniano erano ripresi tre mesi dopo, ad aprile 2021. Fino ad arrivare, a febbraio scorso, in vista di una soluzione diplomatica condivisa e imminente.

Finchè l’invasione russa dell’Ucraina ha di nuovo bloccato tutto. A tempo indeterminato.

Perché la Russia di Putin, essendo uno dei partner del gruppo “Cinque più uno”, adesso pone una pesante condizione per dare il suo assenso al nuovo Jcpoa: chiede garanzie scritte dagli Usa per essere esentata da ogni sanzione che blocchi i futuri rapporti commerciali Russia-Iran.

Sarebbe praticamente un modo, anche se parziale, di aggirare le sanzioni che i paesi della Nato e dell’Occidente hanno decretato alla Russia per l’invasione dell’Ucraina. Anche l’Iran, che sperava con la firma dell’accordo di liberarsi delle dure sanzioni internazionali che ne condizionano pesantemente l’economia, si trova in difficoltà. Tanto da chiedere a Washington di agire, e da inviare a Mosca, il 15 marzo, il ministro degli Esteri Hossein Amir-Abdollahian, per cercare di sbloccare la nuova impasse.

E dire che l’Iran si era impegnato a sottoporsi anche ai controlli dell’Aiea (l’Agenzia internazionale per l’energia atomica) pur di uscire dalle sanzioni e di recuperare i suoi 10 miliardi di petrodollari bloccati nelle banche centrali estere. E a mostrare che intende usare il nucleare per scopi civili: naturalmente c’è chi non crede che sia vero, ma in qualche modo bisognava uscire dall’ostinazione sanzionatoria che tutto nega.

Da parte sua, l’Amministrazione statunitense chiede a Mosca di rinunciare alla sua richiesta, e minaccia di escludere la Russia dai negoziati Jcpoa in corso per cercare un’intesa alternativa e diretta con gli iraniani.

Ma al di là dei due principali contendenti che fanno la voce più o meno grossa, non bisogna dimenticare la Cina che, con i suoi modi apparentemente ambigui, sa comunque molto bene cosa vuole. I cinesi, per diversi motivi, non ultimo la stabilità della regione, sono decisamente favorevoli al nuovo Jcpoa, che darebbe spessore anche alle molte iniziative di collaborazione e commercio con gli iraniani che sono di fatto già in atto.

E in questo momento la Russia conta proprio sulla Cina per non implodere sotto il peso delle sanzioni imposte dall’Occidente a motivo dell’Ucraina. Il governo cinese questo lo sa molto bene, per cui, se da un lato non contraddice formalmente l’alleato russo, dall’altro sembra portare avanti la sua linea multilaterale, senza esporsi ma con decisione. I colloqui di Roma, appena conclusi, fra il consigliere statunitense per la sicurezza nazionale, Jake Sullivan, e il direttore dell’Ufficio della Commissione centrale degli Affari esteri cinese, Yang Jiechi, lasciano intendere, al di là delle minacce-illazioni statunitensi, che i cinesi non intendono schierarsi: “La Cina non è parte della crisi (ucraina) e ancor meno vuole essere colpita dalle sanzioni”, hanno detto i dirigenti di Pechino.

Più di così non è dato sapere, ma ci deve bastare, secondo i cinesi. Per quanto riguarda i nuovi accordi Jcpoa, il 15 marzo il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha ribadito l’auspicio di un aumento degli “sforzi diplomatici per un consenso sulle questioni in sospeso in tempi brevi… In quanto iniziatori della crisi nucleare iraniana, gli Usa dovrebbero prendere una decisione politica quanto prima e rispondere alle legittime preoccupazioni dell’Iran”.

 

 

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