La vocazione. Esperienza di radicale bellezza

Nell’ Elogio dell’auto-sovversione, Luigino Bruni spiega la nascita di una vocazione. Un evento straordinario e sconvolgente nella vita di una persona. Un incontro capace di cambiarci per sempre. È la chiamata a svolgere un compito, una missione, a trovare un posto nel mondo. Ma quali sono i rischi ai quali va incontro? Quali condizioni deve avere per poter fiorire?
Luigino Bruni

Ogni vocazione è un’esperienza di radicale bellezza, è prima di ogni altra cosa un incontro meraviglioso. […]

È un incontro che accade una sola volta, ma è talmente forte e radicale da cambiarci per sempre. In quel momento la persona fa l’esperienza umana più sublime: capisce chi è veramente, che è qualcosa di bellissimo e grande. Si sente un tabernacolo d’infinito, piccolissimo ma immenso. Per questa ragione, queste vocazioni e queste “promesse” sono irrevocabili. Si può uscire da un convento o smettere di dipingere per il troppo dolore, ma da quella bellezza prima non si esce mai, perché, semplicemente, quella vocazione siamo noi, è la nostra parte più viva e più vera.

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La qualità di una esistenza e dei suoi frutti dipende totalmente da questo incontro. Sta quasi tutto lì. Queste epifanie di bellezza sono particolarmente forti e pure nelle vocazioni artistiche e religiose, ma è la stessa esperienza che si ripete, in varie forme, anche nelle autentiche vocazioni lavorative e scientifiche, o in quell’incontro decisivo con chi diventerà nostra moglie o nostro marito. È una chiamata a svolgere una missione, un compito, un destino, a occupare il proprio posto nel mondo.

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E quando la vocazione si svolge dentro una comunità, decisivo diventa allora il rapporto tra la nostra vocazione, quella degli altri con cui viviamo e l’istituzione nella quale essa nasce e cresce. Ed è qui che si gioca molto, quasi tutto, della fioritura di una vocazione.

Molte appassiscono o si spengono perché a un certo punto si guasta la dinamica individuo-comunità, per la cattiva gestione della distanza che si viene a creare nel tempo tra lo sviluppo della propria vocazione e quello della comunità. Questa distanza crescente è inevitabile, perché ogni vocazione è unica e irrepetibile, e quindi le sue forme e i suoi tempi di sviluppo non possono mai coincidere con le forme e i modi della comunità, perché quando coincidono si ferma lo sviluppo della persona e della comunità. È negli scarti, negli spacchi, nei non allineamenti che si genera e rigenera la vita.

Il blocco della fioritura della vocazione non dipende allora da questa distanza, che è molto buona, ma dal suo esercizio. Ed è proprio qui che si commettono gli errori più gravi.

Quello di gran lunga più comune lo commettono i responsabili della comunità, quando di fronte al disagio e alla difficoltà di gestire l’allontanamento tra le forme e i modi con cui la singola persona vive la propria vocazione e quelli “normali”, credono di eliminare disagio e difficoltà semplicemente chiedendo alla persona di uniformarsi ai tempi e ai modi della comunità, perdendo ciò che costituiva la sua nota originale. Si perde così di vista quella che i filosofi medievali chiamavano l’ecceità, cioè quella dimensione della vita per la quale la margherita che sto vedendo ora è questa margherita, e non soltanto una margherita. Che mi fa vedere Giovanna, non soltanto la suora francescana, che pure è. Le persone sono concrete, mai astratte, e la dimensione più concreta di ogni esistenza è proprio la sua vocazione. La prima astrazione sbagliata è quindi la stessa idea di comunità. Si dimentica che le comunità sono fatte di persone tutte diverse, e si calcola una specie di media che diventa un “noi” astrattissimo in rapporto al quale si misurano gli scostamenti e gli errori degli itinerari delle singole persone concrete. Operazione comunissima e pericolosissima, perché in nome di un astratto bene comune si spengono le persone concrete. E magari si riesce anche a costruire persone che coincidono con la media – peccato che nel processo di trasformazione si perda proprio la parte migliore della persona e presto della comunità. La tentazione-errore di dimenticare l’ecceità è molto frequente, perché le comunità hanno nel proprio repertorio gli strumenti per ottenere questa conformazione. Le costituzioni, gli statuti, i regolamenti, le decisioni e le delibere dei consigli direttivi hanno anche lo scopo di conservare nel tempo l’unità delle comunità e di consentire il governo di un corpo senza che si disperda e sfilacci nelle molte interpretazioni diverse e spesso discordi dei vari membri. Ma i saggi governi sanno soprattutto un’altra cosa: che l’esercizio effettivo di questo potere deve essere molto raro, perché quasi sempre una vocazione ridotta alla conformità finisce per perdere il suo splendore e la sua libertà, la sua bellezza più sublime. […]

La saggezza più preziosa, e molto rara, dei responsabili di comunità vocazionali sta allora nell’impedire questi processi auto-distruttivi, anche quando provengono dalle stesse persone, che, soprattutto nei primi anni, traggono un certo benessere dal conformarsi alla cultura media.

Da ELOGIO DELL’AUTO-SOVVERSIONE di Luigino Bruni (Città Nuova, 2017)

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