La Svizzera pone un freno agli stipendi d’oro dei manager

Intervista a Luca Crivelli, professore di economia dell'università svizzera italiana, sul referendum del 3 marzo vinto con la maggioranza del 68 per cento
Economia e finanza

Nonostante la forte campagna di pressione esercitata dalla Confindustria svizzera, il Paese elvetico ha visto la vittoria, nel referendum svoltosi domenica 3 marzo, della proposta di modifica costituzionale promossa dall'imprenditore Thomas Minder, intesa a «rafforzare il controllo degli azionisti sulle retribuzioni degli alti dirigenti delle società quotate in borsa per porre un freno agli stipendi dorati». La crescente divaricazione tra i compensi dei lavoratori e le astronomiche cifre riconosciute agli amministratori delegati (ceo) e manager di società e banche è un dato accertato e analizzato da scaffali di volumi e dossier senza suscitare grandi scandali. La Svizzera, come si ricorderà luogo di residenza del ceo Fiat, Sergio Marchionne, potrebbe rappresentare un'inversione di tendenza.

Per cercare di comprendere il risultato della competizione referendaria, abbiamo sentito Luca Crivelli, professore di economia politica presso l'università svizzera italiana. Crivelli è, tra l'altro, codirettore del Master in economia e gestione sanitaria e sociosanitaria, direttore della Summer school in public health policy, Economics and Management, vicedirettore della Swiss school of public health.   
 
Mentre in Italia, con l'affermazione del Movimento 5 stelle, diventa attuale il dibattito sulla democrazia diretta, dalla Svizzera arriva un risultato referendario espressione di questa forma di partecipazione politica. Ma si può abolire la ricchezza estrema per legge? Si tratta di una misura applicabile in un solo Paese o è tale da essere facilmente aggirabile?
«Il popolo svizzero ha approvato un'iniziativa popolare lanciata sei anni fa da un piccolo imprenditore della Svizzera tedesca, all'epoca persona poco nota al grande pubblico: Thomas Minder. È lui il grande vincitore dello scorso fine settimana, per essersi dimostrato capace di vincere uno scontro impari come quello di Davide contro Golia. Nel 2011, sull'onda della popolarità conquistata con il dibattito nato attorno a questa iniziativa, Minder è stato eletto in Senato (ogni cantone elegge due senatori nella Camera alta del Parlamento federale), un risultato davvero sorprendente se si pensa che l'imprenditore del cantone di Schaffhausen, al momento della candidatura, era ancora un neofita in campo politico e soprattutto non aveva un partito alle spalle. Oggi Minder è attivo in Parlamento quale politico indipendente, benché abbia scelto di aderire al gruppo parlamentare democentrista, ossia al partito della destra borghese».

Ma in cosa consiste la proposta accolta dal referendum?  
«L'iniziativa Minder non propone di limitare per legge i salari dei manager, poiché non intende esplicitare nella legge quale sia il tetto massimo delle remunerazioni consentite. Essa cerca piuttosto di restituire il legittimo potere decisionale agli azionisti. Grazie all'esito della votazione di ieri, l'importo globale delle remunerazioni del consiglio di amministrazione e della direzione generale di tutte le società svizzere quotate in borsa dovrà essere approvato dall'assemblea generale degli azionisti; eventuali infrazioni a questa norma saranno punite con pene detentive e pecuniarie. Il Parlamento ha opposto all'iniziativa un controprogetto piuttosto blando, mettendo in evidenza una certa complicità tra mondo politico e dirigenti di azienda.  Il sistema politico proponeva di lasciare la competenza sulle retribuzioni ai Consigli di amministrazione, rendendo necessaria solo l'approvazione da parte degli azionisti di un generico regolamento sulle retribuzioni e costringendo le società a pubblicare in modo più trasparente i compensi versati ai manager. Questo controprogetto, e i fantasmi di una massiccia perdita di posti di lavoro in Svizzera in caso di approvazione, come sostenuto dagli ambienti economici, evidentemente non hanno convinto la popolazione, che con una schiacciante maggioranza (68 per cento dei voti) e con l'adesione di tutti i propri cantoni ha preferito accogliere il testo dell'iniziativa».

Perché parla di sistema politico e non di partiti?
«A livello legislativo la Svizzera non ha politici professionisti, ma si fonda su un sistema che si potrebbe definire di militanza: i deputati di Camera e Senato rivestono la funzione di politico per circa 120 giorni all'anno, mentre nel resto del tempo svolgono altre attività professionali, tra cui una particolarmente gettonata è proprio quella di consigliere di amministrazione».

La necessità di arrivare alla decisione tramite referendum non evidenzia il fallimento della responsabilità sociale d'impresa e cioè di confidare nella scelta volontaria dei vertici aziendali?
«La soluzione proposta da Minder non prevede una rinuncia all'autodeterminazione aziendale, poiché anche in futuro questa rimarrà appannaggio della proprietà e più precisamente dell'insieme degli investitori. Il problema è che oggi nelle grandi società per azioni non viene più rispettata neppure la "democrazia economica", sebbene quest'ultima sia fondata sul principio "un'azione, un voto", decisamente meno esigente ed egualitario rispetto alla regola decisionale del sistema politico o della cooperazione ("una testa, un voto"). Nelle società quotate in borsa percentuali consistenti di azioni sono detenute da investitori istituzionali (come le casse pensioni) o da un numero molto elevato di piccoli azionisti che non partecipano attivamente alla vita della società, ma delegano il proprio voto ad altri. Finisce così che le decisioni importanti non siano, di fatto, più prese in sede di assemblea generale, ma delegate ai consigli di amministrazione, i cui membri rappresentano oggi una vera e propria nuova casta (molti consiglieri collezionano un numero incredibile di mandati ed è una consuetudine che si assista ad uno scambio di consiglieri di amministrazione tra grandi corporate)».
 

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