La retorica della pace con le armi. Dialogo con Luigino Bruni

Se davvero si vuole fermare la guerra in Ucraina occorre sostenere chi rifiuta la violenza. La logica delle armi provoca più danni di quelli che vuole combattere e le sanzioni economiche sono inutili e dannose. Le riflessioni del referente del progetto Economia di Francesco come contributo al dibattito del Focus di Città Nuova
Pace per l'Ucraina (AP Photo/Alexei Alexandrov)

Luigino Bruni si è espresso pubblicamente contro l’invio di armi in Ucraina da parte della UE affrontando molte critiche sui social e non solo. Da economista non ha mai nascosto le proprie idee fino a criticare anche alcune decisioni di Mario Draghi.

Bruni, esponente dell’economia civile e di comunione, non è solo uno studioso riconosciuto del pensiero economico, ma è anche il punto di riferimento del progetto di Economia di Francesco promosso direttamente da papa Francesco.

Che tipo di dibattito esiste oggi in Italia sulla guerra?
Si respira un clima preoccupante nel nostro Paese, perché chi esprime dubbi sulla linea ufficiale di dare armi al governo ucraino viene considerato un ingenuo idealista irresponsabile o un putiniano. Il termine pacifista è diventato un insulto.

Certo che è difficile parlare di nonviolenza con una guerra ormai in atto …
La vera scelta nonviolenta, infatti, andava fatta prima del inizio del conflitto perché si potevano adottare mezzi di resistenza civile nei confronti degli invasori, diversi dalla risposta armata. Ma anche davanti alla tragica realtà di quanto sta avvenendo non possiamo smettere di pensare ad un altro modo per uscire dalla guerra che non sia alimentarla con le armi. Non si può smettere di pensare e di coltivare un’altra idea e un altro mondo. Non si fanno le guerre, ma si usano altri strumenti per uscire dalle crisi. Per questo motivo è molto importante far valere la critica che arriva dal pensiero nonviolento.

Ma di fronte alla domanda secca sulla proposta politica alternativa come si risponde?
Prima di tutto mettendo in evidenza che la risposta politica attuata, con le orribili carneficine in corso, ha fallito. Non è continuando ad alimentare con nuove armi e uccisioni che si esce dalla crisi. Io mi sento di sostenere chi, come il movimento nonviolento, cerca di dare voce e aiuto a chi in Russia e in Ucraina decide di obiettare alla guerra. Ho da sempre una grande stima per il pensiero e l’opera di Aldo Capitini. Dal punto di vista economico poi ci sono molti dubbi su questa guerra.

In che senso?
Non credo che ci sia una vera intenzione di porre fine al conflitto da parte dei decisori politici perché ci sono troppi interessi coinvolti, a partire dai grandi produttori di armi. Non è un caso che si sia fatto passare l’aumento della spesa militare sotto la pressione emotiva del conflitto in Ucraina. Da economisti sappiamo che dalla crisi del 1929 si uscì con la Seconda guerra mondiale e la grande ricostruzione che ne è seguita. Mi pare evidente che non ci sia, da parte occidentale, l’intenzione di fermare la distruzione dell’Ucraina  per sfruttare l’errore di Putin e indebolirlo sempre di più ed estrometterlo dal potere. Non dobbiamo dare per scontata la retorica della pace che viene usata a larghe mani sul caso ucraino. Se si voleva davvero la pace, non si dovevano fare delle telefonate, ma tutti i capi di governo dovevano andare a Mosca per cercare un accordo.

E le sanzioni economiche? Non sono uno strumento di pressione efficace?
Niente affatto, perché aumentano il consenso dei dittatori, impoveriscono ancora di più i poveri e non durano nel tempo perché anche gli Stati che le applicano hanno effetti negativi che non riescono a mantenere. Le sanzioni hanno effetto per chi le pone come per chi le subisce, ma i russi sono in guerra e hanno capacità di resilienza infinita.

La ricerca della pace attraverso le sanzioni fa parte di una retorica bugiarda. Le sanzioni sul carbone decise dalla Ue andranno in vigore tra 4 mesi se tutto va bene. Quindi sono inutili. E poi gas, petrolio e carbone non erano da eliminare con la transizione ecologica? È evidente che non si è voluto investire seriamente in questa direzione, come la guerra mette in evidenza. Questa tragedia ci fa capire la distanza tra politica raccontata e quella reale. Le sanzioni non hanno detronizzato alcun dittatore negli ultimi 50 anni. Solo le bombe hanno cacciato Saddam Hussein e Gheddafi provocando danni maggiori di quello che volevano combattere.

 

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