La leggerezza del web

L'identità ai tempi di Internet: chi siamo, dove andiamo? Considerazioni semiserie su un mondo che corre verso il futuro.
Web

Si parla sempre più di Internet, forse perché riflette il positivo, il negativo e la complessità della nostra società. Quasi un amplificatore delle contraddizioni, ma anche delle speranze dei nostri tempi. Sicuramente comunque, tra rischi e distorsioni, la Rete ha il grande pregio di permettere a tutti, grandi e piccoli, di essere protagonisti in prima persona. Si può, se lo vogliamo, e pur nelle difficoltà della vita, vivere la Rete in modo positivo ed equilibrato, come navigatori che hanno in cuore l’aspirazione a renderla migliore. Per darne un saggio, nel riquadro “In Rete” riportiamo alcune testimonianze di persone di età diverse che usano Internet in modo creativo e intelligente.

Per far questo, però, è indispensabile continuare a riflettere ed interrogarsi sull’evoluzione di questo mezzo, e del mondo virtuale che ad esso si accompagna, in modo da guidare, per quanto possibile insieme, questa evoluzione.

 

Omogeneizzazione

 

La storia clinica di ognuno è contenuta negli archivi informatici di ospedali e medici (Google health sta cercando di creare uno standard mondiale). I nostri libri li possiamo trovare, gratis, in formato digitale su Internet (Google book è ormai unmonopolio mondiale de facto). La geografia? Roba da vecchi; in ogni macchina c’è il navigatore che cerca la strada migliore e, se serve, anche il ristorante con i cibi che ci piacciono. Gli amici? Sono su Facebook o Twitter.

La cultura? Niente fatica, ci pensa Wikipedia, l’enciclopedia gratis, sempre al primo posto nei risultati di Google. Chi va mai oltre la prima pagina? Pochi. La maggior parte degli studenti (e degli adulti) del mondo ha ormai la stessa cultura, si accontenta di Wikipedia, l’enciclopedia in Rete a cui tutti possono contribuire, esperti e somari. I controllori, pochi, fanno quello che possono. Si chiama “dittatura della massa”: un professore e un ignorante hanno la stessa importanza, un voto a testa.

 

Corpo

 

Davanti a questo eccesso di digitale, potremmo pensare che il corpo sia ormai rimasto l’ultimo baluardo “solido” per affermare la nostra identità. Ma tutto è in movimento anche qui. I ricordi di una vita? Si possono cancellare con apposita pillola. Falsi ricordi inseriti nella mente delle persone? Ci stiamo lavorando. Le emozioni? Semplice, se la mia migliore amica si è messa col mio ex e sono arrabbiatissima, vado subito su Facebook e mi iscrivo al gruppo di quelle che odiano il proprio ex. Così mi sfogo e lascio il mio sentimento in Rete. Indelebile.

Sono un tipo intelligente? Sì, ma perché accontentarsi, visto che ci sono farmaci per potenziare le capacità mentali? Recentemente, una falsa inserzione ricercava per l’assunzione manager disposti a farsi impiantare nel cervello “potenziatori mnemonici”: si sono offerti in tanti. Doping del corpo e della mente.

È rimasto qualcosa di vero ed originale? Quasi tutti gli organi si possono ormai sostituire con protesi artificiali. Nel frattempo qualcuno promette di poter presto scaricare la mente in un computer, per assicurare l’immortalità. La felicità arriverà dalla tecnologia?

 

Io digitale

 

Questa tendenza a manipolare tutto, a confondere originale e copie, vero e falso, nel mondo virtuale è molto accentuata. Mentre, infatti, farsi una plastica facciale per assomigliare ad un’altra persona non è facile, falsificare l’identità digitale è semplice: basta rubare in Rete nome, password, foto, contatti e spacciarsi per un’altra persona presso i suoi amici ignari (Facebook è infestato di falsi individui).

Ma il vero rischio oggi è un altro: sono i profili costruiti sulla base delle tracce trovate in Rete. Software automatici “stupidi” mettono insieme le mie preferenze, viaggi, contatti, foto, video e decidono che sono un certo tipo di persona. A mia insaputa. Questi profili vengono scambiati in Rete e utilizzati magari da assicurazioni, banche, organi di sicurezza, pubblicitari, enti e privati.

Continuamente aggiornati con nuovi dati, sempre frammentari, “evolvono” automaticamente, con vita propria. Diventano autonomi da me. In Rete dunque io sono una persona diversa, non controllabile, non autorizzata, costruita da algoritmi “stupidi” come quelli che hanno causato la recente crisi finanziaria. Ma se qualcuno mi cerca in Internet, chi troverà? Che opinione si farà di me?

 

Contromisure

 

Mi fermo qui, anche perché non vorrei dare un’impressione troppo negativa di Internet, visto che, per ogni guaio potenziale, c’è in Rete chi si preoccupa di trovare gli antidoti.

Qualche esempio: Google map non mostra certi luoghi perché non hanno interesse commerciale? Ecco i 200 mila volontari di Open street map che pubblicano le mappe (libere) di tutte le zone.

La nostra attività in Rete lascia troppe tracce? Qualcuno inventa il software per cancellare le informazioni che ci sono in giro su una persona (“diritto all’oblio”).

Contemporaneamente, si preparano leggi per rendere anonimi e riservati i dati sanitari.

E finalmente si comincia a parlare di Costituzione di Internet e di “diritto a spegnere i chip”, cioè i microcomputer contenuti negli oggetti di uso quotidiano, che memorizzano informazioni su di noi.

Piccoli esempi di un dibattito vivo nelle migliaia di forum di discussione che impegnano gran parte del popolo della Rete.

 

Futuro

 

Sembra comunque che il concetto di identità stia effettivamente evolvendo. Una parte crescente delle caratteristiche che ci contraddistinguono si sta spostando in Rete, nell’intelligenza distribuita di oggetti e computer. Per cui dobbiamo riconsiderare chi siamo, quale uomo e quale società vogliamo per il futuro, visto che potremo sempre più facilmente “manipolare” noi stessi.

Probabilmente non avremo mai robot capaci di scegliere tra bene e male, come giura qualche futurologo, né l’intelligenza collettiva promessa dalla fantascienza, né una coscienza umana staccata dal corpo.

Se però il trend attuale sarà confermato, saremo più “potenti” come individui e, allo stesso tempo, più connessi (interdipendenti?) gli uni agli altri. I rapporti insomma diventeranno sempre più decisivi nel dare senso alla nostra identità e alla nostra vita, singolarmente come persone e insieme come famiglia umana.

Anche la solitudine dell’uomo tecnologico è in fondo una spia di questo bisogno crescente di relazione, di ricevere dagli altri conferme all’importanza e senso della propria vita. Ma allora, su quali basi costruire la propria identità? E che tipo di rapporti vogliamo nel terzo millennio? Cominciamo a cercare una buona risposta.

Giulio Meazzini

 

In Rete

 

Sì, si può usare Internet in modo creativo e intelligente. Ad esempio…

 

Coraggio «Mio fratello da sei anni è malato e ha trovato nei forum di quelli che hanno la sua stessa malattia un senso nella vita. Lui è tra i veterani e molte persone gli scrivono dicendogli: “Tu ci dai coraggio” e mandandogli messaggi bellissimi. Bisogna potenziare il positivo in Internet». Valeria

 

Tagliati fuori «Siamo stati indirizzati ad un blog in cui scriveva nostra figlia, con espressioni personali che rivelavano la sua grande solitudine interiore. È stato l’anno della crisi, della voglia di lasciar perdere tutto, culminato con la perdita dell’anno scolastico. Per noi genitori tutto quel tempo al computer a chattare con pseudo-amiche che però lei riteneva sue vere confidenti era diventato un incubo. La comunicazione in casa s’era fatta difficile, ci sentivamo tagliati fuori da ogni comunione e comunicazione, il malumore aveva preso il sopravvento e non sapevamo più che pesci pigliare.

«Solo un amore costante fatto di silenzio e piccoli continui gesti di accoglienza ha pian piano sbloccato la situazione. Lei ha sentito che non la giudicavamo, neanche per l’anno perso a scuola, ma che partecipavamo al suo dolore ed alla sua inquietudine, finché ha potuto constatare che le sue cyborg-amiche non potevano esprimerle tutto l’affetto e la vicinanza che invece potevamo darle noi. Abbiamo accettato di andare tutti da una psicoterapeuta di orientamento cristiano, che ci ha aiutati a ritrovare quelle affinità che rendono possibile il gusto della famiglia. Nostra figlia si è ripresa, abbiamo stabilito un bel rapporto ed Internet ora ha il suo posto tra noi: è contrassegnato da q.b. (quanto basta)». Giuseppe e Rosanna

 

Nuore e nipotini «Ho 5 nuore e 6 nipotini. Ho iniziato a usare il computer per mandare semplicemente mail con un “buona giornata”. Poi le nuore hanno cominciato a rispondermi, chiedendomi cose come le ricette di cucina. Si è creato un bel rapporto, poi cresciuto anche di persona. La stessa cosa è successa con i nipotini. Alcuni di loro sono spesso a casa mia: ho messo il computer nella stanza dove lavoro, per cui sono liberi di usarlo, ma io sono sempre vicina. A volte mi chiedono aiuto e lo stesso faccio io. Quando è troppo tempo che stanno al computer, un quarto d’ora prima gli dico che mi serve, così imparano a limitarsi». Maria Teresa

 

Down «Ho 5 figli, l’ultima è una ragazzina down di 16 anni che non ha amici reali, ma almeno virtuali sì. Lo strumento è utile». Pippo

 

Povertà «Per imparare ad usare i nuovi media nel modo giusto, bisogna avere cultura e mezzi. I più a rischio sono i ragazzini figli di famiglie con povertà materiale e culturale». Maddalena

 

Soli «In certi orari, la sera e la notte, il problema delle persone che passano tante ore al computer è la solitudine». Vittoria

 

Senza rapporti «Nella tv dove lavoro sono passati centinaia di ragazzi per un periodo di formazione. Una volta arrivavano interessati ad imparare e a conoscere l’esperienza degli altri. Mentre ora la tecnica ce l’hanno già, non entrano in rapporto con gli esperti, non sono interessati ad apprendere. Solo con i rapporti personali e sforzandosi di entrare nel loro mondo, si riesce a comunicare». Elena

 

Disabilità «Se un figlio sta tante ore al computer, ci preoccupiamo delle conseguenze, ma forse bisognerebbe pensare alle cause. Uno strumento spesso fa emergere un disagio, non lo causa e magari poi aiuta anche a risolverlo. Le nuove tecnologie sono la frontiera nella cura di certe malattie, per esempio l’autismo». Beppe

 

 

 

Riservato ai giovani

«What are you doing now?», cosa stai facendo in questo momento? È racchiuso in questa domanda, che campeggia sugli status di Facebook e Twitter, un nodo chiave della questione giovani e Internet. Perché rivela che davanti allo schermo non tutti si alienano.

In un mondo in cui gli amici non sono più solo quelli della porta accanto, ma anche gente conosciuta in vacanza, all’università o, per l’appunto, in Rete, Internet rappresenta spesso l’unico modo per tenere i contatti a velocità e costi ragionevoli. Dire che un computer ostacola le relazioni sociali diventa allora semplicistico.

La questione è piuttosto che genere di relazioni si creino attraverso lo schermo, o come vengano coltivate quelle nate di persona: da dove scaturisce questa curiosità di sapere che il nostro amico sta per portare a spasso il cane, o la necessità di rendere tutti partecipi del fatto che stiamo mangiando le frittelle della nonna?

Forse la qualità delle relazioni – un “surrogato” di quelle reali – deve essere bilanciata dalla quantità? E questo bisogno di far sapere a chiunque qualunque cosa, da molti tacciato come omologazione dell’identità, non può essere al contrario un bisogno forte di affermarla, essendo questo il canale apparentemente più efficace per farlo? Considerazione estendibile ad altri campi.

Nelle università sono finiti i tempi del ’68, i giovani – a detta di molti – si sono ritirati dall’ambito socio-politico. Ed ecco che il dibattito si sposta in Rete: non si contano i blog su cui si disquisisce di tutto, dalle energie rinnovabili all’informazione alternativa. Idee che spesso non passano altrove e cercano di raggiungere il pubblico più vasto possibile attraverso la Rete. Anche la discussione è virtuale, tramite i forum.

Ma un post è la stessa cosa di una replica fatta di persona, guardandosi negli occhi, assumendo la responsabilità di relazionarsi con l’interlocutore? Domande in libertà, che sicuramente non hanno una risposta univoca. Ma devono interpellare soprattutto i giovani che, lungi dall’essere solo ingenui “utilizzatori finali” del mezzo Internet, conoscono meglio di altri potenzialità e rischi del web.

Chiara Andreola

 

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