La guerra oggi, dialogo con Mario Giro

Analisi a tutto campo davanti allo scenario attuale del conflitto mondiale a pezzi. Intervista a Mario Giro, professore di relazioni internazionali, già viceministro agli Esteri
Guerra bombardamentu su Gaza(AP Photo/Hatem Ali)

Mario Giro è professore di relazioni internazionali all’Università per stranieri di Perugia. Esponente della Comunità di Sant’Egidio, ha grande esperienza di relazioni internazionali e diplomazia di pace.

È stato viceministro degli Affari Esteri nel governo Gentiloni e sottosegretario agli Affari Esteri nel governo Renzi. Attualmente è residente di Democrazia Solidale – DEMO.S, partito politico alleato del Pd nell’ultime elezioni politiche. Editorialista per Il Domani, è autore di numerosi libri tra i quali Trame di guerra e intrecci di pace. Il presente tra pandemia e deglobalizzazione (Edizioni Seb227, 2022).

Sempre più assistiamo inerti ad atti che sono veri e propri crimini di guerra nella consapevolezza dell’umiliazione dell’Onu. Davanti a tale realtà sorgono una miriade di domande. Ad esempio, viene da chiedersi: «Siamo ancora dentro la valutazione compiuta dalla Gaudium et Spes al paragrafo 79[1] che di fatto legittima la scelta delle autorità statali che dichiarano la guerra sempre per ragioni di giustizia e di difesa anche preventiva?
Siamo oltre il testo citato del Concilio. Il magistero della Chiesa cattolica e dei papi sulla guerra si è evoluto fino a giungere a papa Francesco che nella Fratelli tutti dice chiaramente: «Non possiamo più pensare alla guerra come soluzione, dato che i rischi probabilmente saranno sempre superiori all’ipotetica utilità che le si attribuisce. Davanti a tale realtà, oggi è molto difficile sostenere i criteri razionali maturati in altri secoli per parlare di una possibile “guerra giusta”. Mai più la guerra!» (258) e aggiunge: «La guerra è un fallimento della politica e dell’umanità, una resa vergognosa, una sconfitta di fronte alle forze del male. Non fermiamoci su discussioni teoriche, prendiamo contatto con le ferite, tocchiamo la carne di chi subisce i danni. Rivolgiamo lo sguardo a tanti civili massacrati come “danni collaterali”. Domandiamo alle vittime» (261). Mi pare chiaro che per i cristiani nessun tipo di guerra possa essere invocato come legittimo o come possibile soluzione. D’altronde, anche da un punto di vista pratico, chiediamoci: quale guerra degli ultimi 30 anni ha risolto qualcosa? Nessuna, hanno anzi peggiorato le crisi. Prima di essere immorale, criminale e distruttiva, la guerra è inutile: si tratta di uno strumento obsoleto. Non ci si può nascondere dietro le difficoltà delle organizzazioni multilaterali: se non funzionano, è perché gli Stati non le lasciano funzionare, scegliendo un’altra strada. Negli ultimi 20 anni si è rivalutata la guerra come strumento per risolvere le contese, ma notiamo con preoccupazione che queste ultime si approfondiscono. Lo strumento non funziona e va cambiato.

Nel 1917 il papa chiedeva inutilmente alle nazioni di cessare l’inutile strage, ma i sudditi erano obbligati ad obbedire all’autorità che imponeva di andare ad uccidersi al fronte. È cambiato qualcosa oggi? Cosa impedisce alle Chiese cristiane di invitare a ripudiare la guerra? Non era senza fondamento ad esempio l’ordine di invadere l’Iraq nel 2003?
La nota con cui Benedetto XV condannava l’”inutile strage” fu un momento di svolta: la Chiesa cattolica affermava chiaramente la sua impossibilità di aderire ad una guerra fra cattolici, come erano italiani, austriaci o francesi. Per la Chiesa la Prima guerra mondiale fu una guerra tra fratelli, una guerra civile, e il papa scelse di andare contro la retorica nazionalista dominante. Fu una scelta di grande audacia. La guerra diventava così un terreno “impossibile” per la Chiesa, come poi hanno ripetuto tutti i papi successivi fino ad oggi. Nulla può giustificarla: la dottrina della guerra giusta è superata. Questo sta maturando e divenendo coscienza comune per tutti i fedeli, anche se ancora oggi ci sono rigurgiti nazionalisti e resistenze all’interno della Chiesa stessa. Come scrisse don Sturzo, la guerra può essere abolita come lo è stata la schiavitù. È il cammino che come fedeli abbiamo intrapreso, arduo, con tanti ostacoli, ma irreversibile.

Affermare oggi l’inutilità della guerra vuol dire che esiste anche la possibilità che sia utile? Giusta, e anche utile per estirpare il nazismo, è stata la guerra combattuta dagli alleati anche contro l’Italia in camicia nera. Non esistono casi che ancora oggi legittimano l’uso delle armi? Il sostegno occidentale all’Ucraina invasa da Putin rientra in questa categoria?
La guerra non può mai essere giusta: infatti i mezzi della guerra, l’odio, la violenza, trasformano l’uomo e lo deturpano. Ciò accade anche a chi si difende. Don Milani faceva vedere la foto di un partigiano che teneva prigioniero un tedesco e spiegava che il vero cristiano sta sempre dalla parte di chi è più debole e indifeso, in quel caso del tedesco. La guerra ci trasforma tutti in tifosi dell’una o dell’altra parte: il suo potere maligno è di rendersi indispensabile ai nostri occhi e di farci credere che possa essere utile. Invece non lo è mai, soprattutto dopo l’avvento dell’era atomica. Da Hiroshima la guerra ha cambiato volto o, meglio, ha gettato la maschera: è divenuta una minaccia per la stessa esistenza umana sulla terra. La guerra tende a eternizzarsi facendoci credere nella sua capacità a risolvere i problemi. Cosa ha davvero risolto l’odio tra tedeschi e gli altri europei: la Seconda guerra mondiale o il processo di costruzione europea? Infatti le democrazie europee non erano pronte alla Seconda guerra mondiale, come sappiamo non la volevano: la guerra è estranea alla coscienza democratica. Ce lo dice anche chi fu partigiano e prese le armi. Uccidere è sempre uno strappo profondo: chi combatté nella Seconda guerra mondiale per fermare il nazifascismo ci testimonia che lo fece perché non ci fossero più guerre dopo. Oggi la legittima difesa degli ucraini aggrediti è assolutamente da rispettare e dobbiamo continuare ad aiutarli. Allo stesso tempo non dobbiamo cadere nella retorica della vittoria: sappiamo bene che soltanto la politica, e non le armi, potrà risolvere questa crisi con la Russia, spegnere l’aggressività di Mosca e ricostruire l’architettura di pace e sicurezza in Europa. Il papa ha incaricato il cardinal Matteo Zuppi – un esperto in mediazioni di pace − di aprire canali di dialogo per cambiare l’atmosfera, oggi troppo carica di odio e di incapacità a dialogare.

Atlantismo ed europeismo sono la stessa cosa? O meglio il secondo come stampella della prima? Oppure è possibile pensare ad una politica estera dell’Europa distinta da quella Nato, in grado di incidere quindi sulle politiche industriali e della difesa? Non lo è più a causa dell’entrata nell’Unione dei Paesi dell’Est post sovietico e quindi c’è bisogno di tornare al nucleo originale dei Paesi fondatori?
L’atlantismo rappresenta il retaggio della Seconda guerra mondiale e della guerra fredda; l’europeismo è una libera scelta di leader illuminati che volevano finalmente mettere fine alle guerre europee con cui il nostro continente si era quasi suicidato. Le politiche estere della Nato e dell’Ue sono diverse perché diversa è la loro funzione: la Nato è un’alleanza di difesa delle democrazie occidentali, anche se talvolta è stata utilizzata in maniera non conforme a tale vocazione. L’Ue mira all’integrazione delle politiche degli Stati membri verso un’Europa federale o confederale. Tra queste politiche ci può essere anche quella della difesa, ma è difficile pensare che non debba armonizzarsi con quella della Nato, alla quale siamo legati per ragioni storiche e grazie all’alleanza con gli Stai Uniti. Qualche leader pensa all’autonomia strategica europea in senso militare, ma credo che la vera autonomia strategica europea debba essere quella della politica e della convivenza. Abbiamo innanzi tutto bisogno di una politica estera comune, per ora ancora difficile da costruire assieme a causa di sensibilità politiche diverse. Non è facile unire 27 Paesi così diversi come sono gli Stati membri dell’Ue. Tuttavia credo che ci arriveremo. D’altronde l’Ue è il solo processo unitario in corso a livello internazionale che faccia dei veri progressi: un modello per tutti in un mondo sempre più diviso e frammentato. Invece di lamentarcene, dovremmo esserne orgogliosi.

Cosa dovrebbero e potrebbero fare l’Italia e l’Europa per sostenere gli armeni in fuga dal Nagorno Karabakh sotto attacco degli azeri sostenuti dalla Turchia, secondo esercito della Nato?
Occorre innanzi tutto ricordare quel dramma: che gli armeni siano cacciati una seconda volta dalle loro terre grazie alle armi turche è davvero una cosa sgradevole e umiliante. Quel piccolo popolo ha già subito tante sofferenze e tanto male: dobbiamo essere più amici dell’Armenia e non rammentarcene solo con grande ritardo. Poi occorre una vera politica di stabilizzazione e di dialogo con i vicini dell’Armenia, che funge da vaso di coccio tra i vasi di ferro che sono Iran, Turchia, Russia e oggi anche l’Azerbaijan. Solo l’Europa può esprimere tale politica senza avere agende segrete o cattive intenzioni contro qualcuno suscitando diffidenze. L’Armenia deve poter vivere in pace in mezzo ai suoi vicini, sicura dentro i propri confini riconosciuti internazionalmente. Altrimenti stiamo solo preparando la prossima guerra.

È giusto e possibile, dopo l’eccidio dei civili di Gaza, ridiscutere gli accordi militari e delle industrie della Difesa con Israele per dirottare le risorse in attività di dialogo e promozione della pace?
Ciò che accade a Gaza è terribile come lo è stato l’attacco del 7 ottobre. Una guerra contro i bambini dell’una e dell’altra parte. Chi muore sono soprattutto i civili innocenti. E poi ci sono i rapiti che non vanno dimenticati. Stiamo assistendo inorriditi all’atroce logica della guerra: violenza e vendetta che si nutrono a vicenda in un circolo vizioso inarrestabile che non darà uno Stato ai palestinesi né più sicurezza ad Israele. Quello che serve è la ripresa del negoziato politico tra i due con la garanzia seria della comunità internazionale. È difficile immaginarlo ora che l’odio è così forte, ma dobbiamo procedere in quella direzione, consci che si doveva fare ben prima. Ciò ci dimostra ancora una volta che le armi non servono a risolvere una contesa vecchia di oltre 70 anni e così complicata come il conflitto israelo-palestinese in cui tutti hanno le proprie ragioni ma nessuno può dire di avere ragione. Ecco perché discutere e ridiscutere gli accordi militari, ma direi ancor prima la scelta stessa di produrre armi nel nostro Paese, è assolutamente necessario. Come chiede papa Francesco, la produzione di armi deve cessare ed essere riconvertita: so bene che ci vuole coraggio per una politica di questo genere, ma qualcuno dovrà pure cominciare. L’Italia può farlo.

[1] «La guerra non è purtroppo estirpata dalla umana condizione. E fintantoché esisterà il pericolo della guerra e non ci sarà un’autorità internazionale competente, munita di forze efficaci, una volta esaurite tutte le possibilità di un pacifico accomodamento, non si potrà negare ai governi il diritto di una legittima difesa». Costituzione pastorale Gaudium et Spes, uno dei principali documenti del Concilio Vaticano II, 1965.

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