La guerra dei mondi

La guerra dei mondi è entrato nella leggenda quando nel 1938 la riduzione radiofonica di Orson Wells precipitò nel panico l’intero paese, convinto di essere realmente vittima di un attacco alieno. Ci fu poi un adattamento cinematografico firmato nel 1952 da Byron Haskin. Fino a non molti anni fa pochi avrebbero potuto immaginareSteven Spielberg dirigerne il remake. La guerra dei mondi rappresenta, infatti, un deciso cambio di prospettiva nell’approccio spielberghiano al cinema fantascientifico, dove l’alieno non è più quello pacifico e amichevole di Incontri ravvicinati del terzo tipo e, soprattutto, E.T., ma il nemico violento, spietato e crudele che minaccia l’esistenza stessa della civiltà umana. Ma dopo l’11 settembre il terrorismo di matrice islamica ha preso il posto della minaccia sovietica e comunista nelle paure degli americani e di parte del mondo occidentale e questo sembra aver indotto Spielberg a rivedere il suo approccio. Nel film gli alieni emergono dal terreno risvegliati dopo milioni di anni di attesa e attaccano la terra perché invidiosi dell’uomo e del suo pianeta. Anche gli umani non sono più generosi, valorosi e solidali come un tempo: Ray, il protagonista, per proteggere sé e sua figlia, non esita a uccidere l’uomo che li aveva ospitati nella sua cantina quando questo rischia di farsi scoprire dagli alieni. Insomma, il cambiamento di Spielberg è più radicale di quello che potrebbe sembrare a prima vista, perché rappresenta forse un’involuzione anche rispetto al recente Minority Report con i suoi evidenti riferimenti critici alla teoria della guerra preventiva. Dal punto di vista cinematografico ci troviamo di fronte a un film che tecnicamente sfiora la perfezione, con qualche evidente pecca di sceneggiatura (frettoloso e poco emozionante il finale) e recitazione (un Tom Cruise veramente poco credibile nei panni del padre redento), e una sfilza di scene che lasciano il segno. Un film avvincente, ma a Spielberg questa volta fa difetto la consueta capacità di elevarsi al di sopra delle umane contingenze per farci guardare con il suo cinema un po’ più in là e un po’ più lontano. Qui sembra rimanere imprigionato nell’angoscia di un’intera nazione e il film riflette, amplificandole, la paura e l’irrazionalità crescenti con cui molti, negli Stati Uniti e in altre parti dell’occidente, stanno facendo i conti. Quanto questa nuova visione del mondo di Spielberg sia reale e duratura è difficile dirlo, ma il rischio di veder regredire il suo cinema verso le secche del pragmatismo spiazza non poco. Viene da dire che, mai come in questo caso, la paura (del diverso) genera mostri (non solo extraterrestri). Regia di Steven Spielberg; con Tom Cuise, Tim Robbins, Dakota Fanning, Miranda Otto, Justin Chatwin. FILMCRONACHE Mostra al Vittoriano, Roma. La Cina è vicina, quanto mai. Cento anni di cinema cinese 1905-2005 si intitola la rassegna, a cura di Marco Müller e Alessandro Nicosia, che propone 250 manifesti originali da Pechino e Shanghai e un’ampia rassegna filmica di lavori classici e recenti. Straordinario è l’impatto visivo con questo mondo che ormai si sta avvicinando a noi e con una cinematografia epica, lirica e ideologica di rara efficacia. Fino al 24/7 Musica da film. La colonna sonora originale del film-evento di Gibson The Passion è stata diretta dall’autore John Debney in prima assoluta nella cavea del Parco della Musica romano. Divisa in sette tempi, corrispondenti ai momenti della Passione, interpretata in italiano latino aramaico da buone voci (Nicole Tibbles, Cristiano Cremonini,Lisbeth Scott) e dal coro ceciliano, sullo sfondo di proiezioni delle celebrate iconografie del Cristo, l’esecuzione vede una musica occidentale e tonale di grande impatto, delicata potente ma senza inutile enfasi, così da risultare leggera. Molto buona la prestazione dell’orchestra dell’Accademia Nazionale di Santa Cecilia, successo di pubblico per un musicista autore di ben 100 colonne sonore.

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