La grande crisi del letame del 1894

Oggi si parla spesso di catastrofi prevedibili e immanenti che sembrano impossibili da risolvere. Ma per fare previsioni corrette non bastano i dati, ci vuole capacità di visione

Chi si ricorda dei crossing sweeper nei racconti di Dickens? Erano dei ragazzini che si guadagnavano qualche spicciolo pulendo la strada per donne e anziani benestanti, aiutandoli così ad attraversare la strada in sicurezza. Siamo a Londra, fine ‘800. Perché c’era bisogno dei crossing sweeper?

Per capirlo dobbiamo andare a quella che è passata alla storia come “Grande crisi del letame di cavallo del 1894”. Siamo in piena rivoluzione industriale, la popolazione delle grandi città, da Parigi, a New York, a Londra, aumenta all’inverosimile. E con l’aumento del numero di persone aumenta l’esigenza di spostarsi. Fino ai primi decenni dell’800 in città ci si spostava a piedi.

Ma la modernità, con le sue nuove esigenze, richiedeva spostamenti più rapidi. È vero che c’erano già i treni, ma le linee ferroviarie erano limitate e non risolvevano i problemi delle città. Si ricorse così alle carrozze trainate da cavalli. Da piccole carrozze a un cavallo, a grandi carrozze con dieci e più cavalli. La possibilità di spostamenti più rapidi influì molto sulla vita sociale, dando un grande impulso all’economia. A New York nel 1853 i tram trainati da cavalli trasportavano più di 130.000 persone al giorno da un lato all’altro della Grande Mela.

Ma c’era un problema. O più di uno. I cavalli non solo mangiavano, e per sfamare quella moltitudine di equini si era ricorso al disboscamento di grandi aree vicino alle città, per convertirle in campi di avena e fieno. Non solo mangiavano dunque… ma producevano anche una grande mole di letame. Si stima che un cavallo produca dai 6 ai 15 chilogrammi abbondanti di letame al giorno, e più di un litro di urina. Tutto questo ben di Dio finiva in buona parte nelle strade. Che andavano pulite.

Ma per rimuovere il letame, che era in continuo aumento dato il successo del mezzo di trasporto, erano necessari più cavalli e questi cavalli producevano anch’essi letame. Un gatto che si morde la coda.

C’era un odoraccio in città, e anche tafani che diffondevano malattie. Con la pioggia, che a Londra non è quasi mai un optional, le strade si trasformavano in acquitrini puzzolenti; mentre con il caldo, il letame si seccava, appiccicandosi alle scarpe dei pedoni ricchi e poveri. Da qui l’esigenza dei crossing sweepers descritti ad Dickens. Con la scopa pulivano la strada e aiutavano ad attraversare chi richiedeva il loro servizio.

Si racconta che a quell’epoca, esattamente nel 1894, apparve sul Times un articolo che lanciava un allarme sensazionalistico. Il risultato fu scalpore e stupore. Diceva l’articolo: «Tra 50 anni ogni strada di Londra sarà seppellita sotto un metro di letame». Non c’è motivo di pensare che il ragionamento su cui si basava non fosse corretto. Probabilmente non faceva una grinza, utilizzava dati concreti e calcoli esatti, con proiezioni dell’aumento della popolazione e del relativo aumento di letame da cavallo. Ma non teneva conto di alcuni fattori.

Già nel 1886 un certo Benz aveva brevettato l’automobile. Certo, a quell’epoca era ancora rudimentale, ed era una cosa per pochi, ma c’era. E non aveva previsto che quel mezzo sarebbe diventato popolare e che una decina d’anni dopo un certo Ford, in America, avrebbe inventato la catena di montaggio per produrre automobili accessibili a molte persone. Londra non è stata dunque sommersa dal letame… anche se oggi abbiamo il problema dell’inquinamento e della CO2.

Ai nostri giorni l’espressione “Grande crisi del letame di cavallo del 1894” è usata per indicare una catastrofe prevedibile e immanente che sembra impossibile da risolvere. Come al solito, non basta avere i dati giusti, fare i conti giusti in buona fede, per fare le corrette previsioni. Ci vuole visione.

Ci si deve guardare attorno per scrutare con lungimiranza la direzione in cui si stanno muovendo le innovazioni tecnologiche. Già sapendo che ogni soluzione porterà con sé nuovi problemi, anche se non subito visibili. Ma questo è il mondo. Ha in sé, nel suo DNA, una spinta insopprimibile verso il futuro. A molti piace pensare che la necessità di aver “visione” si possa chiamare “speranza”.

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