La casa di Maria

Quando l'archeologia conferma la mistica. La strabiliante scoperta a Efeso dell'abitazione della Vergine.

Sul finire dell’Ottocento, la costa egea turca fu scenario di tre delle più grandi scoperte archeologiche di tutti i tempi. Due di queste – il ritrovamento delle rovine delle città di Efeso e di Troia – suscitarono grande interesse nell’opinione pubblica. La terza, invece, immediatamente riavvolta dal segreto, rimase tale perché nessuno credette a un ignoto prete francese che, seguendo le indicazioni di una mistica tedesca altrettanto sconosciuta, asseriva di aver trovato nei dintorni di Efeso la casa in cui la Vergine Maria, secondo la tradizione, aveva trascorso gli ultimi suoi anni in compagnia dell’apostolo Giovanni.

 

Ma alla fine del secolo, in seguito a nuove indagini, tutto divenne così chiaro che alcuni studiosi proclamarono autentica la scoperta e papa Leone XIII dichiarò il sito luogo di pellegrinaggio.

Ai nostri giorni la casa sulla Collina degli usignoli – questo il suo nome – è uno dei santuari mariani più importanti della cristianità. I papi Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI vi si sono recati in pellegrinaggio e oltre un milione di persone, appartenenti a religioni diverse, la visitano ogni anno. Così, essa è diventata semplicemente la casa più importante del mondo.

 

Mai scoperta archeologica è avvenuta in modo così atipico, sulla scorta di visioni: quelle di suor Anna Katharina Hemmerick, che pur non essendosi mai mossa dal suo letto di malattia in un oscuro borgo tedesco “vide” e descrisse con dovizia di particolari l’ultima dimora della Madonna ad Efeso.

Ce la racconta con la partecipazione di chi, inizialmente scettico, si è documentato prima e sul posto, per arrendersi poi all’evidenza: Donald Carroll nel suo La casa di Maria (San Paolo), dove egli ripercorre i duemila anni di storia di queste pietre, dapprima abitate, quindi venerate, dimenticate e infine fortunosamente ritrovate per essere offerte alla memoria e alla venerazione di cristiani e mussulmani.

L’autore inizia col descrivere la Efeso che probabilmente Maria e Giovanni conobbero al loro arrivo dalla Palestina, come pure l’apostolo Paolo: famosa per il tempio di Artemide, annoverato tra le sette meraviglie del mondo antico, era la terza metropoli dell’Impero romano, ricca di edifici sontuosi e dotata perfino, nella sua arteria principale, di illuminazione notturna, ciò che potevano sfoggiare appena due o tre città del tempo.

Fu però in un luogo elevato fuori città che Giovanni stabilì la dimora della Vergine e sua. Nulla ci è noto degli ultimi anni di Maria, che lì terminò la sua vicenda terrena nel nascondimento. Tuttavia la comunità cristiana di Efeso mantenne vivo il ricordo del suo soggiorno in mezzo ad essa. Non è un caso se nel IV secolo la prima chiesa nella cristianità ad essere dedicata alla Madonna – la stessa dove nel 431 si sarebbe riunito il III Concilio ecumenico per proclamarla Madre di Dio – sia stata costruita proprio ad Efeso: era infatti norma dell’epoca dedicare una chiesa a un santo solamente se questi era vissuto sul posto o vi aveva subìto il martirio.

Dopo un oblio di 1800 anni, la riscoperta. L’autore ci fa partecipare alle ricerche tutt’altro che facili, trattandosi di un luogo isolato e isolato, dove solo pochi contadini abitavano con le loro greggi e conservavano una remota tradizione che proprio lì aveva abitato la Vergine Maria.

Per primo vi si avventurò un prete parigino, don Julien Gouyet, nel 1881; dieci anni dopo fu la volta di una spedizione guidata da due religiosi di un collegio di Smirne, padre Poulin e padre Jung, entrambi piuttosto refrattari al misticismo, ma decisi a verificare le affermazioni di quel sacerdote: in entrambi i casi ci si trovò di fronte ai ruderi di una cappella di epoca certamente posteriore a quella in cui visse la Madonna, e tuttavia oggetto della venerazione locale.

Scavi successivi effettuati in tempi diversi dimostrarono che quelle mura insistevano su fondamenta che risalivano al primo secolo e riproducevano in tutto e per tutto le descrizioni che la Hemmerick, oggi dichiarata beata, fece a Clemens Brentano, il famoso poeta romantico tedesco che ne trascrisse e pubblicò le visioni.

Un racconto, quello di Carroll, che da resoconto storico diviene testimonianza di fede in un luogo dove, per unanime testimonianza di chi ci è stato, si sperimenta un singolare raccoglimento, ci si sente accolti, “a casa”.

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