Karol, un uomo diventato papa

Canale 5 non ha perso tempo, e nemmeno il produttore Valsecchi, così il 18 e 19 aprile la fiction su Wojtyla è andata in onda, proprio quando iniziava il conclave. Interpretato con rara efficacia dal polacco Piotr Adamczyk – noto in patria come interprete di un film su Chopin e candidato al sequel della fiction -, il lavoro si divide chiaramente in due parti. La prima, dopo una lunga descrizione sull’invasione tedesca in Polonia e sui suoi orrori, presenta il giovane Karol, atletico, intelligente, cordiale, che pensa a difendere la patria con le armi, insieme ad un gruppo di amici, fra cui brillano Hania, attrice come lui, ed un sacerdote padre Tomasz, personaggio eroico, antinazista, in cui il regista ha sintetizzato alcune figure di preti che hanno influito sul giovane. Il quale poi opera la scelta di lottare per la libertà con la parola, grazie al teatro clandestino. Ma intanto matura in silenzio la decisione di farsi prete, per testimoniare e dare la vita per tutti. La seconda parte vede gli anni del seminario clandestino, l’insegnamento a Lublino, il rapporto con i giovani, il potere comunista, e termina con l’elezione papale. Bisogna dire che, al di là delle leggi della fiction che richiedono una certa dose di narrazione romanzata e di semplificazione storica – che va oltre la biografia scritta da Gian Franco Svidercoschi da cui deriva -, il lavoro è una appassionata, rispettosa ricostruzione della vita di Wojtyla, con un motivo ricorrente, quello dell’amore, come unica risposta a dare dignità all’uomo. Un tema che svela l’aspetto più intimo del pontefice e la sua personalità più autentica. Merito del regista Giacomo Battiato è aver saputo legare i momenti di una vicenda personale assai densa e complessa – il papa appare da subito personaggio dalla vita multiforme – a quelli della storia della propria nazione. Così l’amicizia con un operaio o con gli ebrei, il rapporto con le famiglie amiche durato decenni, il senso dell’identità polacca, si intrecciano con le vicende del nazismo (il generale Hans Frank) del comunismo (il dirigente Julian Kordek), alla rete spionistica (il personaggio di Adam), e di più con la storia delle chiesa polacca, dei suoi rapporti con il regime, e con Roma. Necessariamente sintetici, i punti nodali della vita di Karol si dipanano senza discontinuità in un alternarsi di pubblico e privato, per cui alle scene di massa negli esterni (le deportazioni, le cave di pietra, gli scioperi) seguono gli interni più intimistici (momenti di preghiera, di famiglia, i colloqui, gli scontri verbali) o le scene aperte, come quelle con i giovani sui monti Tatra. Evidente come il regista abbia utilizzato foto d’epoca per ricostruire situazioni (vedi Wojtyla in canoa o con i giovani), mantenendo tuttavia una libertà interpretativa che, pur non scostandosi troppo dall’originale, ha reso la narrazione scorrevole e in certi momenti coinvolgente, anche per gli attori (di cui parecchi nostrani, come Raoul Bova, Violante Placido, Ennio Fantastichini) tutti realmente in parte. Ma soprattutto la fiction ha la capacità di dimostrare la reale, profonda umanità del papa polacco – anche in certe debolezze (la cronica mancanza di puntualità) -, cresciuta attraverso la sofferenza e quindi maturata fino ad un livello universale. Giovanni Salandra

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