Italia, come stai?

Eppure, non ci vorrebbe molto. Basterebbe innestare un motore Desmosedici nella burocrazia pubblica, un altro nell’amministrazione della giustizia, un terzo nella lotta all’evasione fiscale, un quarto nelle cruciali riforme, un quinto… e il nostro Paese si metterebbe subito a correre, recuperando posizioni e stima nel consesso internazionale. È quanto sta facendo la MotoGP della Ducati, spinta proprio dal propulsore Desmosedici: un razzo, rispetto ai quotati avversari nella classe regina del Mondiale. Da agosto 2006, la casa bolognese spaventa a suon di prestazioni i colossi giapponesi, tanto da vincere anche in casa loro nel settembre scorso e ribadire quest’anno, con indiscusse vittorie, la superiorità nella classifica costruttori e in quella piloti. La Ducati è stata più brava di noi. Ha dimostrato come una piccola azienda possa fare bene, ha riconosciuto Satoru Horike, responsabile del reparto corse Honda. Tra le due case costruttrici, i rapporti di forza sono evidenti per moto prodotte nel 2006 (31 mila contro 10,3 milioni), per dipendenti (un migliaio rispetto a 120 mila), per stabilimenti (uno davanti a 81) e per fatturato (305 milioni contro 68 miliardi). Insomma, non basta essere grandi e danarosi per primeggiare in discipline all’avanguardia. Insieme alla veneta Aprilia, che domina nelle classi 125 e 250, la Ducati simboleggia quel tessuto di piccole e medie imprese che sanno fare la differenza nel mondo con la loro tecnologia. Dolce vita addio, aveva sentenziato alcuni mesi fa l’autorevole settimanale Economist, annunciando la fine dell’Italia riguardo ai settori tradizionali dell’economia – dal tessile alla calzaturiero – destinati ad irreversibile chiusura. Una previsione infondata. Gli ordinativi del tessile sono cresciuti del 30 per cento solo nello scorso marzo; le scarpe hanno, sì, dimezzato la produzione ma, puntando alla qualità, hanno incrementato il fatturato; le aziende di occhiali sono tornate a produrre sul territorio italiano. Motivo? Una miscela di innovazione, ricerca, creatività e saperi territoriali, spiega Domenico Siniscalco, già ministro del Tesoro, ora responsabile scientifico di Symbola, una fondazione che ha ideato il piq (prodotto interno di qualità), nuovo parametro per misurare il Made in Italy. E la scelta di aver scommesso sul fattore qualità sta premiando gli sforzi di tante aziende in vari settori produttivi. Ne sono prova i risultati economici nei primi tre mesi dell’anno, diffusi a fine maggio dall’Istat, tanto da far dire agli esperti che la locomotiva Italia ricomincia a tirare. Si tratta di vera ripresa? Stando ai dati – il fatturato è cresciuto del 5,9 per cento rispetto al 2006, gli ordinativi per l’industria sono saliti del 4,6, mentre le esportazioni verso i Paesi dell’Unione europea sono aumentate di oltre il 12 per cento -, sembra almeno un buon rilancio. Lo confermano anche l’incremento delle entrate fiscali. I settori con i risultati migliori sono il tessile e l’abbigliamento (+31,4, spiace per l’Economist), i mezzi di trasporto (+22,7), le produzioni di metallo e in metallo (+17,3), gli apparecchi elettrici e di precisione (+13). In fatto di esportazioni, il mese di marzo ha segnato finalmente un saldo positivo per 681 milioni di euro, rispetto al deficit di 532 milioni del marzo 2006. E questo è un dato di non poco conto, perché, oltre a costituire una salutare boccata d’ossigeno per le italiche casse, significa che riusciamo ad essere ancora penetranti in un agguerrito mercato internazionale. Le esportazioni, con la loro dinamica, restano – non dimentichiamolo – il fattore propulsivo di quest’inizio di ripresa. Un contributo non secondario giunge dalla Fiat, che, dopo la crisi, continua da nove trimestri a mietere record in fatto di vendite in generale e all’estero in particolare, tanto che l’industria torinese continua la scalata al mercato europeo ed è prossima al sorpasso della Renault. Una spinta le arriverà – stando alle previsioni – dalla Nuova 500, che sarà presentata a Torino il prossimo 4 luglio, esattamente 50 anni dopo il lancio del primo modello. Lunga 3 metri e mezzo, alta meno di un metro e mezzo, prodotta nello stabilimento polacco di Tichy, la nuova scommessa Fiat è un piccolo concentrato di tecnologia e di soluzioni personalizzate, con scattanti motori a benzina 1.200 e 1.400 cc. o turbodiesel 1.300, cambi a 5 o 6 marce. Il tem- po ci dirà se è appetibile anche per i gusti europei. Già soddisfatti – e siamo all’agroalimentare – sono invece i palati in vari continenti, perché continuano a crescere le richieste estere di prelibatezze italiane, dal vino al pesce. Una bottiglia di spumante per festeggiare? Calma, calma! Nel primo trimestre, la crescita dell’economia italiana c’è stata, ma solo di un +0,3 per cento, secondo l’Ocse. Peggio di noi solo Francia e Usa. Il rapporto dell’organismo dei Paesi più industrializzati segnala i primati di Germania e Gran Bretagna (+0,7). Ma va aggiunto che in maggio la fiducia degli investitori è salita ad un livello che non si toccava dal giugno 2006, mentre l’economia continentale è trainata soprattutto da quella tedesca. Buone prospettive, perciò, per il sistema produttivo italiano. Può riprendere velocità e consentirgli di chiudere l’anno con una crescita complessiva attorno al 2 per cento, ma forse anche un po’ più in su, concordano gli esperti. Benedette esportazioni, dunque. Perché il mercato interno è tuttora in difficoltà. Non si tratta solo delle preoccupanti vicende di grandi aziende (dall’Alitalia alla Telecom), né di quell’Italia industriale sempre piccola, poco all’avanguardia, propensa a inseguire i bassi costi piuttosto che i nuovi mercati, come deplora la recente diagnosi di Mediobanca. La zavorra sta nel precario stato di salute economica di troppe famiglie italiane. Spesso con difficoltà si arriva alla fine del mese e giunge alle nostre strutture una richiesta larga e crescente di aiuto, anche con i pacchi viveri che parevano definitivamente superati, ha fatto presente mons. Bagnasco, nella relazione introduttiva all’assemblea dei vescovi a fine maggio. Un allarme povertà confermato qualche giorno dopo dal Rapporto sull’Italia dell’Istat, che ha sintetizzato il quadro nazionale con un poco incoraggiante binomio: più poveri, più vecchi. Oltre 2 milioni e mezzo di famiglie vivono (vivono?) con 936 euro al mese, mentre per 4 milioni di anziani la pensione è sotto i 500 euro. Se poi si aggiunge che una famiglia su sei conquista con molta difficoltà la fine del mese e una su tre non può far fronte ad una spesa imprevista di 600 euro, si capisce la scarsa propensione a spendere. Difficilmente, dall’Italia giungerà un sostegno alla ripresa dell’Italia. In definitiva, ad un’economia che sta ripartendo si contrappone una sorta di stagnazione sociale e culturale, che, unita alla crisi della politica nazionale, determina una diffusa mancanza di fiducia nel futuro. La questione è strutturale e non può essere affrontata con provvedimenti di breve periodo, gli unici sinora varati. La ripresa, comunque, c’è e sta aiutando il risanamento del Paese. Lo ha confermato anche il 31 maggio il governatore della Banca d’Italia, Mario Draghi, nelle sue Considerazioni finali all’assemblea dell’istituto. Ha sottolineato che, dopo tanto tempo, ci sono segnali di una trasformazione strutturale del sistema produttivo, ovvero che le aziende si stanno attrezzando per la competizione internazionale. Altro elemento positivo: abbiamo smesso di accumulare debito, ma ora dobbiamo iniziare a ridurlo. Sulla testa di ogni cittadino grava una porzione di debito pubblico (1.575 miliardi) pari a 27 mila euro, un fardello che riduce le risorse per investimenti e per spesa sociale e richiede tasse più alte. A farne le spese sono i soliti noti, ovvero i contribuenti fiscalmente onesti. Tanto più che non mancano le emergenze. Cinque, quelle indicate: previdenza, istruzione, amministrazione della giustizia, regime di concorrenza in servizi e professioni, grandi reti infrastrutturali. Come venirne fuori? Per il governatore, la soluzione sta nel dare agli italiani certezze sulle riforme. Un’impresa titanica, perché sta a significare un parlamento che legiferi e una volontà dei due schieramenti politici di perseguire gli interessi nazionali. Non a caso Draghi ha concluso con un’indicazione che pure esula dal suo ruolo di sobrio sacerdote del credito: Sono mete raggiungibili se tutti noi, ciascuno per il proprio ruolo, sapremo ritrovare quel sentire il bene comune che è essenziale per lo sviluppo duraturo del Paese. Parole che riecheggiano gli appelli di Napolitano. Due cariche istituzioni così diverse e in sorprendente sintonia. Segno di una fase attuale molto cruciale, ma che si può affrontare e superare se bene comune torna a fungere da criterio ineludibile delle scelte. L’ECONOMISTA PORTA INNESCARE UN CIRCOLO VIRTUOSO C’è un risveglio in tutta l’area euro che ha colpito gli analisti, perché inatteso, esordisce Pier Luigi Porta, direttore del dipartimento di economia politica dell’università di Milano- Bicocca. Ma è vera ripresa economica quella in atto nel nostro Paese? Confermo la ripresa in tutta l’area euro, mentre gli Stati Uniti vanno incontro ad un leggero declino. All’interno dell’area euro, l’Italia si sta risvegliando e le previsioni dicono che la ripresa dovrebbe consolidarsi. Quali sono i segnali innovativi del sistema economico italiano per sperare in una ripresa duratura? La ripresa è dovuta ad una certa dinamica delle esportazioni, e questo significa che il Sistema Italia sta puntando sugli incrementi di produttività. Una crescita di produttività favorirebbe uno sviluppo sostenuto. I consumi interni restano deboli, pur in presenza di una certa ripresa degli investimenti. Si tratta di vedere se queste tendenze si rafforzeranno. Quale la zavorra sulla ripresa? Soprattutto certi aspetti strutturali dell’economia italiana, dalle inefficienze del sistema bancario a quelle della pubblica amministrazione. Permane poi l’insufficiente capacità del sistema di fare ricerca e innovazione. Mezzogiorno. Alcune zone, a macchia di leopardo, sembravano pronte al decollo. E ora? C’è ancora una situazione a macchia di leopardo, perché permangono zone in sviluppo. Però gli investitori sono scoraggiati sia per l’ordine pubblico, dovuto alla presenza di gruppi delinquenziali organizzati, sia per gli insufficienti servizi essenziali. Si può guardare alla seconda metà dell’anno con un certo ottimismo? Le statistiche dicono che c’è una ripresa anche dell’ottimismo, tanto dal lato delle imprese, quanto da quello dei consumatori. Questo fa supporre che la gente incominci a riprendere fiducia e questo influirà sulla realtà. Potrebbe innescarsi un circolo virtuoso, e la creatività delle imprese, sempre imprevedibile, potrebbe fare molto. Pesa, però, la crisi della politica, che non favorisce scelte di lungo periodo, proprio quelle fondamentali per uno sviluppo duraturo.

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