Il sorriso di Aldo

Esattamente un anno fa, si sono manifestati i primi sintomi di un grave male in mio cognato Aldo, marito di mia sorella e padre di quattro figli ancora giovani. Aveva 62 anni, ed era andato in pensione da appena due mesi. Si attribuivano i suoi malesseri a somatizzazioni legate al passaggio alla nuova condizione di vita. Una diagnosi che non mi aveva convinta sin dal primo momento, ben conoscendo che tipo fosse mio cognato, ancora così giovanile e in forma. Ero certa che avrebbe vissuto gli anni della sua pensione dedicandosi ai suoi hobby ed interessi che con il lavoro in genere si trascurano: era uno sportivo, amava la letteratura scientifica e, soprattutto, amava la campagna. Diversi anni fa aveva acquistato un terreno non proprio attraente, anzi…; ma, conoscendo la sua passione, tutti eravamo pronti a scommettere che nel giro di qualche anno avrebbe trasformato quella pietraia in un giardino rigoglioso di piante e di fiori, come poi è diventato. Mio cognato, del resto, non era nuovo a queste imprese: era riuscito a far diventare un ombroso e profumato boschetto di pini l’arido spazio pubblico antistante la sua abitazione, dedicandovisi nei momenti liberi dal lavoro. Tanto che il comune aveva provveduto a sistemarvi panchine, illuminazione e persino una statuina della Madonna. Tutti nel suo quartiere lo ammiravano per questa sua azione, e lui ne andava giustamente fiero. Appena andato in pensione, infatti – com’era da prevedere -, Aldo e mia sorella decisero di mettere mano per prima cosa ai lavori di ristrutturazione della loro casa, dagli impianti alla pavimentazione agli arredi, giacché i figli erano ormai cresciuti. Ma la salute di lui andava peggiorando di giorno in giorno. Non era più il caso di aspettare, e lasciando i lavori a metà – una casa piena di calcinacci e impalcature – Aldo prese la via dell’ospedale, dove mia sorella ebbe nel giro di pochissimo tempo e senza veli la noti- zia che avrebbe sconvolto dalle fondamenta la vita di tutti noi: cancro al pancreas, con poche speranze, poco tempo di vita. I medici non ebbero molto da aggiungere a quella diagnosi, se non: Signora, bisogna che lei sia forte; faremo di tutto perché suo marito non soffra troppo. Lo metteremo in contatto con un bravo terapista del dolore. Fu così che ci trovammo d’improvviso come in una terra dove tutto andava imparato quasi per la prima volta. La malattia è un evento, una dimensione che tocca prima o poi ogni famiglia. Dove si sperimenta il limite e la paura: di soffrire e di far soffrire. Ma fa riscoprire, anche, risorse impensate. Pur essendo credente, per me non fu facile dire di sì a quanto Dio disponeva per Aldo e la famiglia. O, meglio, non capivo. Conoscevo bene i progetti di mia sorella e di mio cognato per il futuro, e condividevo con loro la gioia del riposo meritato, della casa ristrutturata; soprattutto, partecipavo alla serenità e all’armonia raggiunte dopo sofferenze e difficoltà di ogni tipo, affrontate però insieme. Quando perciò mi raggiunse la notizia della malattia, ebbi come uno sbandamento, uno sbigottimento. Nei pensieri che affollavano la mia mente c’era un po’ di incredulità mista a pena e a sgomento. Non riuscivo a capire. Non volevo o non potevo dar spazio ad altro se non a quel mare di dolore che andava crescendo. Dopo un intervento chirurgico, Aldo fece ritorno a casa (rimessa a nuovo a tempo di record). Grande la sorpresa e la gioia di trovarsi di nuovo in famiglia! Dopo un momento di tregua della malattia, la situazione precipitò in pochi mesi. Io ero spesso presente in quella casa, trovandomi quasi sempre sola in cucina, in attesa che mia sorella avesse bisogno di me. Cercavo in tutti i modi di alleviare quel dolore, di portarlo insieme a loro, attimo per attimo. Ricordo una sera: lui si lamentava, e non parlava quasi più. Mia sorella lo rasserenava. Gli ripeteva di star tranquillo, perché lei era sempre lì accanto a lui. Ad un certo punto, per aiutarlo a cambiar posizione, lo sollevò un po’ appoggiandolo al suo petto. Per tutti noi, presenti in quel momento, quella vista richiamò l’immagine viva di Maria ai piedi della croce. La commozione toccò il fondo vedendo il dolore di mia sorella e dei miei nipoti, spossati ma sempre vigili ed attenti al più piccolo gesto di Aldo, rischiararsi in quel momento al barlume di un sorriso che lui aveva saputo ancora donare. E forse lì iniziò a sciogliersi quel groppo che mi portavo dentro. Il mio, in quei giorni, era un autentico momento di buio e di aridità che mi faceva gridare: Ma che senso ha?. A fatica dicevo sì alla volontà di Dio, che avvertivo lontano, assente. Ero però consapevole che dovevo solo amare e fidarmi. E, pian piano, riuscii a vedere tutto l’amore che si produceva in quella circostanza dolorosa: l’amore di Aldo verso i suoi cari, ai quali non trasmetteva angoscia o paure; amore senza fine di mia sorella verso il suo sposo; amore attento, instancabile dei figli verso il papà; amore concreto, continuo e silenzioso di fratelli, sorelle e cognati. Vidi un vicino di casa che aveva avuto dissapori con la famiglia di Aldo riaccostarsi con umiltà e chiedere scusa. Vidi ricomporsi rapporti freddi tra alcuni parenti; altri parenti, assenti da tempo, avvicinarsi. Aldo aveva offerto tutto a Dio. E allora perché non offrire pure il mio dolore, anche se era tale da confondermi e provocarmi al punto da farmi chiedere perché?. Alla messa funebre, mi sentii accolta, protetta ed amata dalla chiesa; e proprio allora fui capace di fare a Dio l’offerta più preziosa. Quella messa fu un momento di cielo, un dono per molti, e per me certamente il trasformarsi di un così grande dolore in gioia tutta spirituale.

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