Il senso dell’omelia

«Durante l’omelia il sacerdote sovente si sofferma a spiegare il brano del Vangelo senza far nessun riferimento alla prima lettura. Eppure un legame ci deve essere». E. F.
Durante una messa

Forse la deluderò un po’ dicendo che il significato dell’omelia non è né esegetico (spiegazione dei testi) né catechistico, ma va compreso nel contesto liturgico. L’omelia cioè dovrebbe essere essa stessa un momento dell’azione liturgica, facendo da ponte tra la liturgia della Parola e la preghiera eucaristica.
Più che “spiegare” i testi letti, dovrebbe portare, alla luce di quei testi, ad appropriarsi in modo sempre nuovo di ciò che è la celebrazione eucaristica: “azione di grazie” che rendiamo al Padre per il disegno di amore e di salvezza che ha operato in Gesù, e “invocazione” perché lo Spirito Santo ci guidi ad attuare questo disegno oggi nella storia personale e nella storia dell’umanità.
In parole più semplici, l’omelia dice: «Quello che abbiamo sentito, ora lo viviamo e attualizziamo nella celebrazione e chiediamo la forza di portarlo nella vita».
Per questo non c’è bisogno di fare un excursus sulle letture, trasformando così l’omelia in un momento di catechesi o di lezione teologica, ma è sufficiente a volte uno spunto per riscoprire e fare propria in maniera nuova la preghiera e la comunione eucaristica. E questo spunto normalmente è assunto dal Vangelo, che ci riporta in modo più immediato alla vita e alla parola di Gesù.
Nulla vieta, naturalmente, di “arricchire” la comprensione del Vangelo col riferimento all’Antico Testamento, ma, ripeto, la cosa non dovrebbe prendere il sopravvento.
Ci possono essere altri modi, previ o successivi alla celebrazione, per entrare di più nel significato della scelta di determinati brani nella loro relazione reciproca. 

tongan@alice.it

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