Il ritorno del lavoro servile

Forte richiamo di papa Francesco. Non è questione solo da Terzo Mondo e ci interpella da vicino
Lavoro servile

Nell’udienza del mercoledì coincisa con la festività del Primo maggio, papa Francesco si è detto preoccupato per il diffuso fenomeno della schiavitù sul lavoro auspicando «una decisa scelta di tutte le persone di buona volontà contro la tratta delle persone, all’interno della quale figura il “lavoro schiavo”».

Una sensibilità particolare del vescovo di Roma arrivato «dalla fine del mondo», conoscitore diretto delle periferie degradate di Buenos Aires, ma che sicuramente non ignora le piaghe del caporalato nel settore agricolo in Italia destinato ciclicamente ad emergere in maniera virulenta. Senza andare a Rosarno, nelle arance della Calabria, o tra i pomodori della Campania, basterebbe fermarsi nelle campagne della pianura pontina e chiedersi cosa si aspetta ad imporre regole severe alle centrali di acquisto della grande distribuzione organizzata che gestisce il gran fluire dei prodotti che arrivano sulle nostre tavole. Ma non si tratta solo di un settore specifico. In Puglia la magistratura sta indagando per il reato di riduzione in schiavitù degli operai, per lo più migranti, addetti alle installazioni del fotovoltaico. Nella stessa città di Roma, come risulta da più inchieste, si stima in cinquemila il numero dei lavoratori dell’edilizia, straieri e italiani, che arrivano sui cantieri con accordi giornalieri tramite i caporali che li prelevano alle prime luci del giorno.

Si tratta del volto estremo di quel sistema che il papa ha definito conseguenza di «una concezione economicista della società, che cerca il profitto egoista, al di fuori dei parametri della giustizia sociale». La stessa che legittima il rogo delle fabbriche di tessuti in Bangladesh fornitrici a basso costo dei noti marchi dell’abbigliamento che non trovano ostacoli nella delocalizzazione senza fine. Un fenomeno complesso e ramificato che genera una crescente diseguaglianza tra gli esseri umani non solo perché appartenenti a sfere geografiche diverse. Come afferma Luigino Bruni nell’editoriale su Avvenire del Primo maggio, «in questo tempo di capitalismo finanziario, le distanze sociali ed economiche sono tornate a crescere, e i nuovi padroni stanno, pericolosamente, assomigliando molto, troppo, ai vecchi feudatari». Un meccanismo di dominio che può riprodursi in ogni ambito lavorativo dove esiste un potere che non ha più nessun limite, mentre, come afferma con radicalità papa Francesco, «il lavoro, per usare un’immagine, ci “unge” di dignità, ci riempie di dignità; ci rende simili a Dio».

 

 

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