Il popolo di Slot Mob e i timori della politica

Da Mira a Teramo, si diffondono spontaneamente le manifestazioni di sostegno ai baristi che rifiutano i soldi delle slot mentre la politica nazionale resta ostaggio di troppi veti e della dipendenza dello Stato dal denaro dell’azzardo
slot mob Mira

Dopo un lungo lavoro di mediazione, la commissione affari sociali della Camera dei deputati è giunta a varare un testo unico, orientato alla cura della patologia della dipendenza dall’azzardo, che, tuttavia, non riesce ad arrivare in aula per l’approvazione. Non è un testo che obbliga a togliere le slot dai bar o a chiudere le migliaia di piccoli casinò disseminati in Italia. La relatrice Paola Binetti, già presidente del comitato Scienza e Vita nonché docente universitaria e neuropsichiatra, è fin troppo bersagliata pregiudizialmente come “bigotta” per la sua chiara posizione in materia bioetica, per attirarsi ulteriori accuse di proibizionismo sulla questione dell’azzardo.  Stavolta, poi, gli interlocutori sono i grandi concessionari dell’azzardo, vale a dire buona parte del capitalismo italiano rappresentato da Confindustria, ma soprattutto sono i solerti colleghi parlamentari della commissione Bilancio che si vedono costretti a far notare che qualsiasi intervento in questo campo produce un danno per le entrate nelle casse erariali.

La vera dipendenza da curare è quello di uno Stato che ormai non può fare a meno di quei miliardi di euro che entrano ogni anno grazie all’intermediazione delle società che gestiscono, in concessione dallo Stato, l’attività dell’azzardo. I costi sociali che tutti, a parole, condannano non si quantificano in moneta contante ma “mordono la carne viva” delle persone come ha detto Marco Tarquinio, il direttore del quotidiano Avvenire intervenuto ad un convegno sul tema promosso, presso la Camera, il 17 novembre dalla deputata Binetti. Tarquinio sa bene che, per i giochi dei veti incrociati, con la battaglia costante contro la diffusione dell’azzardo, ha perso inserzioni pubblicitarie per decine e centinaia di migliaia di euro.  Racconta di colleghi giornalisti imbarazzati perché sanno cosa sta accadendo in Italia, sono indignati ma non possono scriverlo.  Una prima norma ragionevole potrebbe essere quello di vietare la pubblicità dell’azzardo sui mezzi di comunicazione, a cominciare dalla televisione di Stato. Perché è così difficile? Non esiste un divieto di pubblicità dell’uso del tabacco? Come mai si permette la propaganda illusoria di un’attività inquinante come la diffusione dell’azzardo? La risposta arriva dal vicepresidente del sistema gioco di Confindustria, Giovanni Emilio Maggi, anch’egli presente al convegno promosso dalla deputata centrista. Maggi rappresenta una federazione di aziende grandi e piccole (circa sei mila per 140 mila dipendenti) nata solo nel 2012. Parla in modo pacato per dire che il sistema delle imprese del settore è un punto di riferimento per senso di responsabilità sociale tanto è vero che finanziano il servizio di “help line” della Federsed (Federazione degli operatori dei dipartimenti e dei servizi delle dipendenze) e che «occorre attuare un percorso comune tra tutti i soggetti coinvolti per la tutela dei cittadini. Mettendo le varie esperienze a fattor comune» perché «sono certo che potremo arrivare a una soluzione concreta e idonea perché l’Italia è quella con la maggior offerta di gioco ma è riconosciuta a livello internazionale come il Paese che ha la più evoluta legislazione in questo senso ed è quindi opportuno che rimanda all’avanguardia anche e soprattutto in termini di prevenzione», ma sulla pubblicità propone solo accorgimenti informativi e non l’eliminazione. Sarebbe chiedere troppo, così come pretendere di togliere il nome “gioco” dalla loro sigla perché l’azzardo è il contrario del gioco che libera e ricrea.

Insorge allora la domanda rimossa: perché i responsabili politici, nell’ultimo decennio, hanno dato in concessione ai privati la gestione di una materia così delicata? Quale logica ideologica ha guidato il loro agire? Stranamente, invece, durante il convegno è stata avanzata una domanda provocatoria da parte di Luigi Magistro, alto dirigente dell’Agenzia delle dogane, che si è chiesto: «Dove erano le associazioni che ora si allarmano per la diffusione dell’azzardo quando l’intero settore non era regolamentato?». Magistro fa riferimento alle cifre movimentate dall’azzardo in Italia, oltre 80 miliardi di raccolta nei circuiti legali e 20 miliardi stimati in quelli fuori legge, per chiedersi: «Non eravate preoccupati per queste cifre enormi gestite totalmente dalla malavita prima della legalizzazione?». Ma al funzionario, con un lungo trascorso da ufficiale della Guardia di finanza, non viene il dubbio che proprio l’offerta incentivata dalla legalizzazione sia all’origine dell’allargamento della piaga? Non è stata fin troppo chiara la relazione della Direzione nazionale antimafia del gennaio 2014 che riconosce il fallimento della politica di legalizzazione come contenimento delle mafie nel settore? Sono questi i termini di una domanda di senso che emerge spontaneamente in Italia non solo in vari convegni ma nei momenti di festa e mobilitazione per premiare quei cittadini che aprono, ogni giorno, la saracinesca del bar senza far dipendere il loro guadagno dal noleggio delle slot piazzare nel loro locale. È una lotta dura di chi, con le proprie scelte, contraddice tutti i postulati che riducono l’essere umano ad un soggetto anonimo mosso solo dall’interesse personale.  Lo Slot Mob, con la sua apparente innocuità, sgretola interiormente i fondamenti di un sistema iniquo.  Non si spiegherebbe altrimenti la diffusione non programmata di tali eventi ad opera di una varietà di persone e associazioni che trovano il gusto di stare assieme e si fanno domande esigenti. Con Mira a Venezia, il 15 novembre, si è arrivati al numero 70 mentre a Teramo il 20 novembre, 400 persone hanno ragionato assieme a partire dall’esperienza dello Slot Mob fino a generare un patto sottoscritto da oltre dieci sindaci impegnati a riprendersi quella sovranità sul territorio che una normativa nazionale ha loro sottratto in maniera strisciante. Forse non basterà un testo unico sulla questione sanitaria ad esaurire la presa di consapevolezza crescente, ma quali parlamentari attuali sono davvero intenzionati ad ascoltare questo invito a rompere un meccanismo che ha già provocato troppi danni?

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