Il nichilismo, il mercato e l’uomo “Ah Ah”

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Ciò che impressiona è l’ignoranza contenta di sé. I nostri ricercatori fuggono all’estero, dove sapranno tutto di una cosa e niente del resto, mentre quelli rimasti qui sapranno ancor meno; le università sprofondano nel tecnicismo, ovvero nel know how, e lo studio tende ad essere sostituito dal diktat teorico-pratico Tutto si trova su Internet. Il nichilismo difeso a spada tratta da laicisti che neppure sospettano il ridicolo mentre si oppongono fieramente al papa, critico dal relativismo, perché il contrario del relativismo sarebbe l’assolutismo, e non, putacaso, il pensiero fondato e fondante, pur democraticissimo. Ma il male più preoccupante, nella melassa nichilconsumisticorelativista, è la tacita, o subdola – a seconda che sia o no inconsapevole – sostituzione dell’io voglio all’io penso, lasciando però intatta la superficie delle parole, continuando cioè a dire io penso, io credo, mentre è io voglio che passa realmente nel dire e nel fare. Il problema è che l’io voglio senza l’io penso non pensa, è il bolide lanciato alla cieca, i cui effetti si moltiplicano quotidianamente. Ma l’ io penso autentico, impegnativo, faticoso, umile, non va molto d’accordo col nichilismo, che lo azzera, e col mercato, che lo fugge come la peste, dovendo vendere e perciò invogliare titillando unicamente la volontà. Da queste pur minime osservazioni si evince, credo limpidamente, che dentro il mare di chiacchiere si allarga il vuoto della mancanza di pensiero (fondato). Ma il pensiero fondato, prima di ogni sua declinazione religiosa, politica, scientifica (nel senso delle limitate e purtroppo spesso arroganti scienze naturali), è, lo dirò affrontando di colpo e in tutta serenità la maggiore impopolarità possibile, la metafisica. Ma come, la metafisica non è quell’inutile complicata, vecchia astruseria intellettualistica, in una parola, ciarpame, come suona da quasi tre secoli il diffamatorio anatema dell’illuminismo? Per niente, è proprio il contrario: è il pensiero semplice e rigoroso sull’essere di tutte le cose, sul loro fondamento, è ciò che permette di dire è, non è, non solo in un’aula universitaria (speriamo) ma anche al mercato, a casa, in discoteca. Volendo abolire la metafisica, perché ciò fa comodo a chi vuole non pensare se non alle istruzioni per l’uso, il linguaggio ha incominciato a diventare una neolingua, direbbe Orwell, in cui si dice una cosa per un’altra o al posto di niente, o come niente. Che cosa fa la pubblicità se non ridurre furbescamente tutto il parlare/pensare possibile a emozioni, a un ah! che ti decide (in latino significa: ti taglia la testa) e ti fa comprare esattamente ciò che vuole venderti? E il nichilismo, che è un nome grosso per indicare un pensare che approda continuamente al nulla, cioè un pensare che sfocia nel non pensare, non è oggettivamente il prezioso alleato delle suonerie e delle merendine? Parliamo, parliamo sempre di più – il silenzio è sentito come povertà – ma di che? di emozioni? Ma le emozioni non parlano, dicono solo ah ah, e infatti le parole sempre più assomigliano a non comunicative, non dialoganti esclamazioni. Questa è precisamente mancanza di metafisica, cioè di fondamento, di verità, e perciò di conoscenza e condivisione della conoscenza. In una grande opera che pochi leggono, Distinguere per unire – I gradi del sapere (1932), Jacques Maritain dice che senza metafisica io non potrei più pensare: Pietro è un uomo, o: questo colore è verde, ma soltanto ah! ah!. Esattamente quello che vogliono (non: pensano) la mentalità illuministico- nichilistica, la pubblicità e il mercato. Cioè il nostro brodo di coltura (non di cultura) quotidiano. Riflettere non superficialmente e non ideologicamente e non banalmente su queste cose può diventare indispensabile per entrare, o ritornare, in un’esistenza autentica.

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