Il mondo capovolto

Chi conosce Giulio Albanese (chiamatelo pure don Giulio, o padre Albanese, e lui resterà sempre sé stesso) ritroverà nelle pagine del libro da lui rec e n t e m e n t e pubblicato (Il m o n d o capovolto, Einaudi, pp. 175, euro 13,00) la grinta e la lungimiranza di un m i s s i o n a r i o comboniano dalla vocazione adulta, che più volte ha sfidato la morte, a partire da quel giorno in cui rimase appeso ad un albero col velivolo che aveva cercato di far atterrare in campagna” Non è un aneddoto gratuito, questo, perché non si potrebbe capire la Misna, l’agenzia di stampa missionaria (acronimo di Missionary service news agency), senza conoscere il valore che in fondo sta alla base dell’innovativo prodotto mediatico offerto da Albanese: un piccolo esercito di gente (i missionari), che ogni giorno danno la vita volontariamente per il prossimo (la gente del Sud del mondo), talvolta rischiandola sul serio (soprattutto nelle regioni in cui infuria una delle tante guerre dimenticate). Per questo la Misna offre notizie che hanno il peso della veridicità, se non della verità, soprattutto quando provengono da regioni impossibili, che la gente individua se va bene una sola volta nella vita, nelle pagine del grande atlante geografico che tiene nel ripiano alto della libreria” Il fatto è che i suoi corrispondenti hanno un rapporto stretto con la verità, non essendo al soldo di nessuno, né dei capi politici locali, né delle multinazionali, né dei gruppi di interesse mediatici. I loro dispacci, allora, hanno una forte probabilità di essere vicini alla verità. Il lettore si chiederà come mai un missionario comboniano di 44 anni si ritrovi ora a capo di un’agenzia di stampa insolita, assolutamente non profit, che conta nel suo pubblico una varietà insolita di fruitori, dal giornalista della Cnn che deve trovare riscontri alle notizie delle grandi agenzie, alla madre di famiglia che ha adottato a distanza una piccola africana della Costa d’Avorio e che vuole sapere se la guerriglia a conquistato la città della bambina, dal pensionato appassionato di geografia allo studente che si interessa al Ruanda” Per fornire un servizio competente e utile al pubblico, Giulio Albanese, nella sovraffollata redazione della Misna di via Levico, a Roma, ha stipato una decina di giovani professionisti della penna, poliglotti e curiosi di quello che di solito non si viene a sapere, motivati spiritualmente al servizio della verità, che raccolgono notizie dai missionari e dagli altri corrispondenti, le verificano due volte (norma di deontologia professionale ormai completamente caduta nell’oblio nelle redazioni di tutto il mondo) e poi le pubblicano, in italiano, inglese e francese. E così, leggendo la Misna, il mondo si capovolge: un’esperienza da provare dalla propria poltrona, digitando . (Michele Zanzucchi) TELEVISIONE Buon compleanno, Rai! L’Italia era un paese povero, l’analfabetismo superava il 50 per cento, il treno era il principale mezzo di trasporto. In questa clima il 3 gennaio 1954 la televisione faceva il suo timido debutto. “L’Italia televisiva è una sotto Italia, un’Italia di serie B”, affermò Alberto Moravia, capofila della nutrita schiera dei diffidenti. Gianni Granzotto, corrispondente dagli Usa, gli ribatté: “La ipnosi da tv non è un male cronico, ma una febbre passeggera”. Secondo lui, futuro amministratore delegato della Rai, non sarebbe stata da temere una sua esagerata diffusione: “Prende piede solo tra le famiglie che comunque non hanno altre fonti culturali” Negli Usa si è cominciato con venti ore di tv alla settimana, ora la media è di sei ore e anche meno”. Eppure i primi pionieri che vi lavoravano la consideravano uno strumento di crescita sociale. E come poteva non esserlo, non solo per i programmi didattici e culturali, ma perché la visione stessa della tv, a causa del costo degli apparecchi, non poteva essere che collettiva, nei bar, nei circoli, nelle case dei più benestanti. Attorno allo schermo non crescevano soltanto le aspirazioni di milioni di italiani, ma salivano sulla ribalta mille paesi della periferia, grazie a programmi come Campanile sera. Di certo la tv ha unificato linguisticamente la penisola. Non col linguaggio di Dante, ma con quello di Mike Buongiorno, delle cronache sportive, dei Festival di Sanremo, dei tg. A cura di Paolo Crepaz netone@cittanuova.it

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