Il freddo dell’esclusione

Essere "ostracizzati" - dal nome del meccanismo politico usato nell'antica Atene per esiliare cittadini ritenuti pericolosi - ci provoca, tra le tante emozioni negative, anche una sensazione fisica di freddo. Le relazioni, al contrario, calore. È importante prenderne consapevolezza in un'ottica di responsabilità sociale
Bambino triste

Immaginiamo una scena: siamo tornati piccoli, un bambino o una bambina, diciamo alle elementari. Immaginiamoci in classe, seduti al nostro banco durante la ricreazione. Le altre bambine e bambini corrono e scherzano intorno a noi, senza prestarci alcuna attenzione. Li osserviamo silenziosamente, provando a capire perché rimaniamo esclusi dai quei giochi e dai loro segreti. Se qualcuno ci guardasse, vedrebbe tracce di tristezza e confusione. Potremmo sembrare piccoli, inesperti o ignari, ma dentro i nostri occhi si potrebbe vedere, in realtà, una profonda consapevolezza. Comprendiamo che la solitudine non è un caso, bensì frutto di qualcosa dentro di noi che ci rende per qualche motivo sbagliati, e quindi esclusi. Anche se magari non capiamo cosa sia.

Basta così: un’immagine del genere dovrebbe essere sufficientemente evocativa da aver provocato delle reazioni nel vostro corpo. Con ogni probabilità, se riuscite a focalizzarvi e concentrarvi, in questo momento lo percepirete più freddo rispetto a qualche minuto fa. Uno studio del 20081 ha dimostrato che le persone che sperimentavano l’esclusione sociale tendevano a percepire la propria temperatura fisica come più fredda rispetto a coloro che si sentivano inclusi socialmente. Questo suggerisce che il senso di solitudine e l’isolamento possono essere associati a un’esperienza “reale” di freddo fisico percepito.

Quando diciamo che la presenza di una persona amica, amata, ci “riscalda dentro”, stiamo solo traducendo in linguaggio una sensazione corporea. Le relazioni scaldano. E, al contrario, l’assenza di relazione ci raffredda e ci indurisce. Peggio ancora quando è imposta.

Nel 500 a.C. ad Atene fu introdotto il meccanismo politico dell'”ostracismo” per proteggere la democrazia dai potenziali tiranni. Ogni anno i cittadini potevano scrivere il nome di un cittadino ritenuto pericoloso su un frammento di ceramica (ostrakon): se riceveva almeno 6.000 voti contrari, veniva esiliato per dieci anni.  Oggi, il concetto di ostracismo si riferisce a una condizione di emarginazione sociale o di isolamento emotivo. Può assumere diverse forme, come bullismo, discriminazione, stigmatizzazione o rifiuto sociale, e avvenire nella vita reale come online.

Le conseguenze dell’ostracismo includono solitudine e isolamento emotivo, bassa autostima e senso di valore personale diminuito, ansia e depressione, comportamenti negativi o autolesionistici, difficoltà nel formare relazioni significative e effetti negativi sulla salute mentale e benessere generale.  La comprensione dell’impatto dell’ostracismo e del pregiudizio sociale ci spinge a riflettere sulla nostra responsabilità come individui nel promuovere un ambiente sociale inclusivo e rispettoso.

Le reazioni all’esclusione sociale non sono tutte uguali, dipendono da diversi altri fattori e tutti rientrano nell’alveo della soggettività. Lo psicologo Adriano Zamperini, nel suo libro L’ostracismo. Essere esclusi, respinti e ignorati (Einaudi, 2010), raggruppa diverse categorie di risposta: fuggire il rifiuto e isolarsi, rendersi al contrario iperdisponibili in una sorta di servilismo sociale, imitare personalità apparentemente più carismatiche, accettare condizioni solitamente inaccettabili, fingersi amichevoli ed estroversi con chi non si vorrebbe… fino alle conseguenze più estreme, quando l’ostracizzato si ribella con la violenza contro chi, o cosa, le ha escluse. Che la risposta sia più o meno adattiva, rimane non autentica e frutto di uno scacco relazionale: devo comportarmi così, altrimenti sarò da solo.

Per evitare di escludere gli altri, possiamo praticare l’inclusione e l’accettazione. Ascoltare le diverse prospettive, sfidare i pregiudizi, creare un ambiente rispettoso e aperto, promuovere la gentilezza e il supporto reciproco, e cercare di coinvolgere chi è isolato, possono contribuire a costruire una comunità più inclusiva e solidale.

Ognuno e ognuna di noi può aver vissuto esperienze simili a quelle del bambino immaginario di poco fa. Anzi, è molto probabile che almeno una volta nella vita ci sia successo. Può essere utile, allora, per metterci nei panni di chi vediamo escluso, recuperare ogni tanto quella sensazione di freddo. Solo per ricordarci quanto fa male, e provare riscaldare i cuori circostanti.

1 https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/18947346/

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