Il canto? È la gioia più grande

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Roma, dicembre. Nella sala Casella dell’Accademia Filarmonica, dopo che il maestro Carlo Cavalletti ha finemente introdotto il pubblico a Schönberg, Eleonora ne esegue con voce plastica e fresca alcuni Lieder: ed è successo. Incontrarla a fine concerto, è l’occasione per scoprirne la ricca personalità. Una ragazza giovane che fa l’artista lirica non è cosa di tutti i giorni. Come è venuta fuori questa passione? “In verità alla lirica ci sono arrivata, perché io nasco con l’amore al palcoscenico. Da piccola studiavo danza classica nella mia città, Montepulciano, che è la sede di un Festival musicale estivo, allora diretto dal compositore Hans Werner Henze. Era un’occasione splendida per incontrarmi con artisti di tutto il mondo, conoscerli, assistere alle prove degli spettacoli… Fu Henze, appunto, che scrisse Pollicino, un’opera per bambini, a scegliermi nel 1980 per il ruolo di uno dei fratelli del protagonista: un’esperienza meravigliosa. Certo, fin da bambina, avevo una bella voce, una volta che imitai spontaneamente un soprano che si esibiva in televisione, mia madre – appassionata di musica – rimase stupefatta; ma per me era un gioco: alle medie, i compagni, mi dicevano di cantare, e io lo facevo… Però volevo fare teatro: dopo la maturità, mi decisi: o torno in Francia, dove ero già stata, e continuo a studiare mimo con Marcel Marceau, o faccio un’audizione con un esperto e se lui mi dice che va bene, studierò canto”. A Firenze, ti ha ascoltato Leone Magiera, uno dei direttori di Pavarotti… “Il quale mi disse che dovevo studiare canto. Lasciai il mimo e ho cominciato a capire la bellezza della musica cantata, lirica o sinfonica: nei primi anni, molto duri, era soprattutto un lavoro tecnico, poi però sono entrata in un mondo meraviglioso. Potevo portare tutto ciò che avevo vissuto – l’arte del corpo, il comunicare – unito alla musica e al canto. Un’arte completa: erano tre cose, parole musica canto che stavano insieme. “Interpretavo” un testo “con il suono”, unendo la comprensibilità della parola alla bellezza del suono. Un lavoro difficile, perché si tratta di diventare uno strumento globale: ma è stupendo essere seguito… Poi ho eseguito un lavoro contemporaneo scritto per me sul Sogno di una notte di mezza estate, in seguito una Madama Butterfly a Cape Town in Sudafrica in un teatro enorme, otto recite in poche settimane, rischiando le corde vocali… Un’ingenuità, ma ero convinta di poterlo fare, perché il personaggio di Butterfly è affascinante, e poi c’erano il favore del pubblico e le buone recensioni. “Comunque, è stata l’occasione di capire meglio il mio repertorio che ora spazia dal Barocco al Novecento, escludendo – per adesso – le opere romantiche dell’Ottocento”. In quegli anni, accanto al percorso artistico, c’è stato pure un cammino spirituale incisivo. “Devo ammettere che questo “viaggio” interiore, che mi ha fatto riscoprire Dio, ha capovolto la mia vita. Rendendomi conto dei miei limiti, ho perso la sicurezza, ed è stato un momento difficile che ha influenzato il percorso artistico. Ma era una fase di passaggio necessaria per una maggiore maturità umana e artistica, così che ora, pur cosciente del limite, so che lo posso vincere. Una serata è piena, funziona benissimo, quando riesco a vivere così, superando la paura di sbagliare o mille cose che ti deconcentrano, mentre io voglio donare tutta me stessa, togliere ogni pensiero: non “fare musica”, ma “essere la musica”. Quando ci riesco, sono piena di gioia, e mi ritorna dalla sala perché “sento il pubblico”, anche se a tratti non lo vedo. Perciò il mio desiderio è essere uno strumento sia di quel che l’artista ha scritto ma anche di quello che io vivo e, se ho l’animo pieno di Dio, comunicare anche questo. Perché se siamo persone piene di bellezza, la comunichiamo”. Parlavi, poco fa, di reazioni del pubblico dopo le tue recite. “La gente parla di “pelle d’oca”, di luce, di gioia… Ultimamente, ho tenuto un concerto a Chianciano Terme, ad una stagione popolare in cui mi avevano chiesto di esibirmi: ho cantato tutto con un grande trasporto per una sala enorme, con la gente che mi ha commossa, veniva a ringraziare, a volere autografi. Ma anche le recite la scorsa primavera di Händel a Napoli, al San Carlo, erano speciali: mi pareva di essere quasi uno strumento divino a governare comunica qualcosa del trascendente con cui tutti possono entrare così in contatto. E forse la musica lo può fare più di ogni altra forma d’arte perché tutti la possono cogliere”. Nella tua professione, oltre alla gioia, non manca lo spazio per le contraddizioni e le difficoltà. “Una prima, di carattere pratico, è quella di trovare l’agenzia giusta che ti metta in contatto con teatri e musicisti che ti stimano e poi ti facciano lavorare. Più prove di sala che nei costumi: io ero l’unica a non dirmi d’accordo, anche se colleghi e colleghe mi approvavano senza però sbilanciarsi, perché effettivamente la regia forzava il testo. Il regista, davanti al mio rifiuto per una scena hard, si chiuse nel silenzio e passammo tre giorni molto difficili. Io ero rattristata, pregavo, finché nacquero delle idee per migliorare scene e costumi: il regista, inaspettatamente, le approvò: lo spettacolo andò molto bene. Alla fine, mi giunse un suo biglietto pieno di ringraziamenti, unito a quello delle colleghe per quanto si era fatto. Ecco, il reagire ad una prassi dove tutto sembra lecito e non si rispetta più l’opera d’arte, ha avuto in quel caso un buon risultato. Ma occorre spesso una presa di posizione”. I giovani e la lirica. Un amore non certo a prima vista… “Una decina d’anni fa c’era stato un riavvicinamento, tanto che i teatri avevano chiamato grossi nomi, come la Caballé, per concerti a prezzi ridotti; e poi i conservatori erano pieni di gioventù. Oggi, vedo che non si investe molto per i giovani, e poi i teatri risentono di tagli tremendi. Credo che manchino le politiche giuste sia a livello alto che a livello degli enti. Del resto, dato che il mondo della musica impegnata è un tipo di cultura che va approfondita – non è detto che al primo impatto vada bene – dovrebbe essere inserito nel percorso scolastico. L’Italia sotto questo aspetto sembra ancora un mondo “barbarico”, per cui i giovani sono quasi costretti a sentire solo musica non impegnata…”. Eleonora, giovane cantante in ascesa: fra i tuoi impegni futuri infatti ci sono anche le mozartiane “Nozze” a Firenze con Zubin Metha. È difficile questo mestiere? “Sì, perché chiede la totalità della vita: il tuo strumento sei tu stessa, il tuo corpo, e devi conoscerti così bene per sapere cosa devi fare perché lo strumento sia a posto. Una disciplina anche dura, ma cantare è la gioia più grande”.

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