Il bisogno di donare

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Martha Nussbaum è uno dei personaggi più interessanti e attivi del panorama filosofico contemporaneo. Classificare il suo lavoro risulta complesso data la varietà dei suoi interessi che vanno dalla filologia greca all’economia dello sviluppo. Ma dietro questa apparente eterogeneità si dispiega, in realtà, un progetto intorno ad un unico e basilare tema: la dignità della vita. Cosa rende una vita degna di essere vissuta? Come devono svilupparsi una filosofia e una teoria politica capaci di promuovere tale finalità? L’approccio della Nussbaum al problema ha connotati aristotelici, e si serve tra l’altro di tecniche (l’approccio delle capacità e dei funzionamenti) che sono state introdotte da Amartya Sen, premio Nobel per l’economia, e anch’egli personaggio complesso e poliedrico. Alla base della “vita buona” sta per la Nussbaum la relazione con gli altri; relazione però che, in quanto attivata tra persone libere, è soggetta al rischio di opportunismo. Il mio bene dipende da te, io posso fare la mia parte per cercare di creare le premesse, ma non posso costringerti ad essermi amico. Se tu lo vorrai, allora entrambi potremmo aspirare insieme alla fioritura delle nostre persone; diversamente, io starò peggio di come non sarei stato se non avessi promosso il tentativo di stabilire con te una relazione. Questo rischio di opportunismo rende conto della cosiddetta, per usare l’espressione che da il titolo all’opera più famosa della Nussbaum, “fragilità del bene”. L’assunto antropologico dal quale prende avvio questo tipo di riflessione è quello secondo il quale l’individuo è un “animale con bisogni”, per il quale cioè il rapporto con l’altro ha valore ontologico e non strumentale. È vero che se tale impostazione aiuta ad illuminare il funzionamento dell’intera società, essa trova applicazione privilegiata in tutti quei casi nei quali tale dipendenza è più manifesta: i paesi in via di sviluppo, la vita delle donne e quella dei disabili. Il primo tema vede la Nussbaum impegnata sul campo, nella definizione degli indicatori della qualità della vita che informano i Rapporti sullo sviluppo umano, promossi dal programma di sviluppo delle Nazioni Unite; il secondo e il terzo tema sono al centro di Giustizia sociale e dignità umana: da individui a persone, pubblicato recentemente da il Mulino. Come debbono orientarsi le scelte pubbliche affinché gli individui diventino persone? Il linguaggio dei diritti in tali situazioni si rivela a volte troppo distante dalle situazioni concrete per poter fornire una risposta soddisfacente. Martha Nussbaum sviluppa il linguaggio delle “capacità ” e dei “funzionamenti”, che poggia sulla intuizione di fondo per la quale “alcune facoltà umane impongono l’esigenza morale di essere sviluppate”. A cosa serve infatti garantire le cure e l’assistenza medica ad un disabile, se poi tali cure lo sradicano dal contesto – la famiglia – nel quale l’individuo in questione, può diventare persona? Analogamente il diritto alla autonomia non si garantisce semplicemente fornendo una carrozzina, ma soprattutto rimuovendo tutti gli ostacoli (architettonici e no) che limitano la capacità del disabile di muoversi autonomamente. Ecco perché allora la “capacità”, non il “funzionamento”, dev’essere l’obbiettivo politico di fondo. Un aspetto particolarmente interessante della riflessione della Nussbaum risiede nella sua attenzione alle necessità umane ed in particolare alla caratteristica della simmetria di tali necessità. Non esiste infatti solo il bisogno di cure, esiste anche un simmetrico bisogno di “donare” cure. Non si riescono a capire fino in fondo certe situazioni, e ancor meno a regolarle, se non si riconosce che la dipendenza in molti casi non è a senso unico. Pensiamo sempre ad una famiglia con un figlio disabile. Se si risponde alle necessità di assistenza di questa persona attraverso un ricovero in istituto, qualora un’altra forma di assistenza basata sul coinvolgimento della famiglia fosse possibile (lo è quasi sempre) non solo si starebbero riducendo le “capacità” del disabile di sviluppare appieno le sue potenzialità, ma anche le “capacità” della famiglia di “fiorire” (per usare l’espressione cara all’autrice) nella sua pienezza, attraverso l’assistenza diretta. Una panoramica sulle teorie della giustizia contemporanee mette in luce come esse assumano, come soggetti, individui che hanno le caratteristiche di adulti, capaci, dai bisogni sostanzialmente simili. Questo aspetto, implicito o esplicito, rende tali teorie di difficile applicazione a casi che coinvolgono bambini, donne, anziani o disabili. Soggetti per i quali, spesso, la dipendenza è caratteristica definitoria. John Rawls affronta questo problema rimandandolo ad una fase legislativa successiva, da attuarsi una volta che le istituzioni politiche basilari siano state create. La Nussbaum rovescia invece questa prospettiva e suggerisce che le stesse istituzioni basilari debbano essere create tenendo conto della dipendenza dei bisogni, che come abbiamo visto, essendo simmetrica, riguarda tutti. La prima è una prospettiva che esclude, la seconda che include. Questa differenza di prospettiva può portare, tra le altre cose, a riflettere sul perché le società occidentali sempre più diventano luoghi nei quali lo spazio per i bambini, gli anziani, i disabili, e per tutti coloro che in qualche modo dipendono (gli emigrati per esempio) vada via via riducendosi.

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