I nobel per l’economia/2

Seconda parte di approfondimento sulla teoria dei contratti e degli incentivi, che per ridurre il conflitto e favorire il mutuo vantaggio, possono trasformarsi in una gabbia ideologica
Oliver Hart e Bengt Holmström

Ma torniamo ai contratti. Negli ultimi anni gli studiosi hanno sviluppato una moltitudine di meccanismi che in teoria possono essere utilizzati per favorire l’allineamento di interessi potenzialmente conflittuali e in condizioni di asimmetrie informative, come nel caso del tassista e del suo passeggero; meccanismi che possono essere applicati per indurre i lavoratori, i produttori, i manager, ad operare nell’interesse dei loro datori di lavoro, dei consumatori o dei loro azionisti. Allo sviluppo di questa conoscenza Hart e Holmstrom hanno dato i contributi fondamentali.

 

MODELLI CONTRATTUALI E INCENTIVI

 

Consideriamo, invece del solito tassista, un agricoltore. Se il suo campo non produce ortaggi in una certa stagione, può essere a causa della sua negligenza,  ma anche per esempio, per via della diffusione di un nuovo parassita o magari del clima avverso. Non potendo osservare l’impegno dell’agricoltore come farà il proprietario del campo a indurlo a lavorare al meglio?

 

Holmstrom ha suggerito una risposta a questa domanda, che si basa sulla considerazione di quei segnali osservabili e facilmente identificabili come conseguenze delle azioni non osservabili dell’agricoltore e sul modo in cui agricoltore e proprietario decidono di condividere il rischio connesso alla coltivazione del campo. Una interessante implicazione empirica di questo principio mostra che molto spesso i bonus milionari dei manager delle grandi imprese non servono a niente se non a “ricompensare la fortuna” dei manager stessi, cioè non hanno nessun effetto sulla performance dell’impresa.

 

Un’altra importante estensione del modello di contratto ottimale che Holstrom sviluppa, riguarda la sua applicazione a quei casi di multi-tasking, in cui il lavoratore è chiamato a compiere più di una mansione contemporaneamente. Il suo impegno quindi deve suddividersi in una serie di attività differenti, ognuna della quali può produrre risultati differenti in funzione dell’impegno del lavoratore, della sua distribuzione rispetto a tutte le altre mansioni ma anche semplicemente per il gioco del caso. Un ambito ancora più complicato è quello nel quale consideriamo non solo le azioni del singolo lavoratore, ma quelle dei gruppi. In questi casi la complessità deriva dal fatto che può essere molto complicato o anche impossibile valutare l’apporto di ogni singolo individuo all’ottenimento del risultato.

 

La questione diventa ancora più interessante quando entra in scena Oliver Hart e la sua idea di “contratto incompleto”. Cosa succede al contratto di incentivazione ottimale – si chiede Hart – se prendiamo in considerazione il fatto che nessun contratto potrà mai essere in grado di  prevedere il futuro, di considerare cioè insiemi differenti di clausole, uno per ogni possibile contingenza futura; di prevedere cioè in altri termini, tutti gli infiniti modi in cui la relazione contrattuale potrebbe svilupparsi. Questa incompletezza nasce dalla naturale opacità del futuro ma anche dal fatto che scrivere materialmente e far rispettare un simile contratto sarebbe così costoso da renderlo praticamente inutile.

 

Nel suo complesso la contract theory è un campo affascinante ed è in continuità con quella “rivoluzione dell’informazione” che qualche anno fa ha valso il premio Nobel ai suoi principali fautori, Akerlof, Stiglitz e Spence. Si è anche dimostrata un utile strumento per la descrizione e la soluzione di innumerevoli problemi di grande rilevanza pratica; eppure una sua valutazione generale deve tener conto anche di aspetti problematici, e non di secondaria importanza.

 

Le due frasi sull’importanza degli incentivi che abbiamo citato in apertura, seppur simili in superfice, sono in realtà profondamente differenti. Un conto, infatti, è affermare che gli incentivi sono “l’essenza dell’economia” e che quindi i contratti devono avere un ruolo preminente nella regolazione delle relazioni di natura prettamente economica. Tutt’altra cosa è affermare che “gli incentivi sono la pietra angolare della vita moderna”, in tutti i suoi ambiti quindi e non solo in quello economico. Questa posizione, infatti, equivale ad affermare, esplicitamente o implicitamente, che gli strumenti che la teoria economica ha sviluppato per la gestione degli incentivi, i contratti, possano con successo essere utilizzati per regolare ogni forma di relazione sociale. Questa è una posizione che non si fatica a definire ideologica e che pure ha non poco seguito nella professione e non poca influenza  pratica nelle nostre società.

 

A un osservatore attento, infatti, non può sfuggire che un certo processo di tracimazione della logica economica verso altri ambiti della vita è già in atto con esiti a volte assolutamente nefasti: l’ambito educativo, quello della sanità e dei servizi di cura alla persona, perfino i rapporti famigliari, sempre più sono plasmati dalle strutture contrattuali e dagli incentivi monetari.

 

Valori intrinseci, vocazionali, umani, tendono allora a passare in secondo piano. Come vi sentireste se la vostra fidanzata il giorno prima delle nozze vi proponesse la firma di un contratto pre-matrimoniale. “E che male c’è – dice lei – tanto ci vogliamo bene”.

ll problema però è che i contratti hanno un valore “espressivo”, mandano segnali. E in quel caso il segnale sarebbe: “ci vogliamo bene… ma forse non così tanto poi”. Il rapporto cambierebbe.

Ecco l’eccessivo uso se non l’abuso della logica contrattuale nella vita sociale rischia di trasformare le nostre relazioni sociali.

 

UNA TEORIA INCOMPLETA  

Tempo fa Robert Gibbons, uno studioso direttamente coinvolto nelle ricerche di contract theroy, che ha anche collaborato con uno dei due neo premiati ha affermato, a questo riguardo, che modelli che ignorano gli aspetti psicologici e sociali possono non solo essere delle “descrizioni incomplete del funzionamento degli incentivi”; ma quando sulla base di questi modelli costruiamo pratiche di management, per esempio, o schemi di relazione, allora questi “possono danneggiare, e perfino distruggere, realtà non economiche importanti come le motivazioni intrinseche e le relazioni sociali”.

 

Non si tratta quindi solo di una teoria incompleta, ma di una teoria che, diventando pratica, politica e azione, influenza, e non sempre in meglio, l’oggetto stesso che si proponeva di studiare.

Se questo può avvenire, come dice Gibbons, in ambito economico, tanto più avverrà in quegli ambiti dove la dimensione sociale delle relazioni è più forte ed essenziale. Pensiamo alle relazioni tra medico e paziente, dove assistiamo al diffondersi di forme di medicina difensiva, o al rapporto tra studenti e professori, dove il patto fiduciario e collaborativo viene sostituito sempre più da un modello di scambio conflittuale.

 

“Maneggiare con cura” si direbbe allora, perché gli incentivi sono strumenti potenti e un abuso ideologico della logica contrattuale, nata originariamente per ridurre il conflitto e favorire il mutuo vantaggio, può trasformarsi in una gabbia nella quale le nostre relazioni umane perdono la loro dimensione profonda e la loro capacità di dare alle nostre vite senso e benessere reale.

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