Humanae Vitae e la profezia di Paolo VI

A 50 anni dalla pubblicazione dell'enciclica i problemi di un papa alle soglie della santità

Ricorre in questi giorni il cinquantesimo anniversario dell’enciclica Humanae Vitae di papa Paolo VI che fu pubblicata il 25 luglio 1968: una data importante, perché tale fu il dibattito che il documento papale suscitò, e suscita ancora, dentro e fuori la Chiesa.

Nella percezione comune, l’Humanae Vitae è l’enciclica del fermo “No!” del papa all’uso degli anticoncezionali per la regolazione delle nascite. Ma basta leggere quel breve e chiaro documento per realizzare che si tratta di ben altro, e di assai di più, che della proclamazione di un semplice divieto.

Il papa inizia col richiamo ad «una visione integrale dell’uomo»,  in chiaro riferimento all’idea personalista appena ribadita anche dal Concilio (Gaudium et Spes); poi parla dell’amore coniugale e ne tratteggia le caratteristiche con profondità, appropriatezza e sintesi. Un capitolo, poi, parla di “paternità responsabile”, introducendo forse per la prima volta questo importante termine.

La pastorale familiare, nell’insegnamento magisteriale della Chiesa, era allora ancora assai semplice, forse rudimentale. Per il Codice di diritto canonico (1917) e l’enciclica “Casti Connubii” (1930) il fine principale del matrimonio era la procreazione; il mutuo aiuto ed il “rimedio” della concupiscenza erano poi annotati come secondari.

Il Concilio aveva aperto uno sguardo finalmente nuovo e adeguatamente profondo sulla vera e complessa realtà dell’uomo. In un’udienza del mercoledì, il 31 luglio 1968, da Castel Gandolfo, il papa affermerà: «L’Humanae Vitae è soprattutto la presentazione positiva della moralità coniugale». E questo era senza precedenti visto che, fino ad allora, il Magistero usava parlare dell’argomento solo per presentare divieti.

Già Giovanni XXIII, nel marzo del 1963, aveva nominato una commissione pontificia che raccogliesse pareri aggiornati sui problemi della vita coniugale e sulla regolazione delle nascite; composta da teologi, studiosi di varie discipline e famiglie. Paolo VI ampliò la commissione portandola a 75 membri e da essa ottenne nel ’66 il parere non contrario alla contraccezione.

Nell’ottobre 1967 Paolo VI incaricò il cardinale Jean Villot di chiedere ai vescovi del primo Sinodo celebrato in Vaticano un parere sulla contraccezione: dai quasi 200 interpellati arrivarono solo 26 risposte scritte; anche qui la maggior parte si diceva favorevole alla nuova forma di contraccezione ormonale.

I contrari erano 7 e tra essi c’era un accreditato esponente del pensiero personalista, il vescovo di Cracovia, Karol Wojtyla. Nel “Memoriale di Cracovia” (febbraio 1968), firmato da altri vescovi polacchi, il futuro papa Giovanni Paolo II auspicava un parere negativo del papa, pur contestando gli argomenti dei conservatori che si limitavano secondo lui a sostenere solo l’intangibile sacralità dell’opinione dei papi precedenti.

Allo sterminato coro degli incerti e dei possibilisti si aggiunsero anche i vescovi del Nordest dell’Italia. L’allora vescovo di Vittorio Veneto,  Albino Luciani, futuro papa Giovanni Paolo I, fu incaricato dal cardinale Giovanni Urbani, patriarca di Venezia, di redigere un documento con i vescovi del Nordest. Nel documento si leggeva: «Nel dubbio, non si può accusare di peccato chi usa la pillola» Subito dopo la pubblicazione dell’enciclica, Luciani aderì con entusiasmo al pensiero del Papa.

Nulla fu più travagliato del concepimento e della stesura di questa storica enciclica. Se n’è scritto molto in questi cinquant’anni, ma il contributo più aggiornato è il recente libro La nascita di un’enciclica. Humanae vitae alla luce degli Archivi Vaticani, di mons. Gilfredo Marengo che papa Bergoglio, l’anno scorso, aveva incaricato di presiedere una commissione che rivedesse tutto quello che gli archivi vaticani conservano a proposito del laborioso concepimento di quella pur lineare e breve enciclica.

Tra le novità di quegli anni Sessanta c’era quella della “pillola anticoncezionale”, ma anche la scoperta di due ricercatori australiani, John e Lyn Billings, di come si possa regolare le nascite  senza ricorso ad artifici (vedi su Città Nuova). Nell’ Humanae Vitae il papa citerà esplicitamente il ricorso ai “metodi naturali” (HV16) e l’anno successivo conferirà a John Billings il titolo prestigioso di cavaliere di San Gregorio Magno per il suo impegno per la famiglia.

Paolo VI dunque deve decidere; come avrebbe rivelato più avanti, prega molto ed ascolta la propria coscienza; decide così di considerare moralmente non leciti i mezzi artificiali di regolazione delle nascite.

L’enciclica si conclude con una serie di opportuni appelli ai pubblici poteri (HV 23), agli uomini di scienza (HV 24),  agli sposi cristiani (HV 25), alle famiglie “in rete” (HV 26), ai medici e al personale sanitario (HV 27), ai sacerdoti (HV 28) e, da ultimo ai “cari e venerati fratelli” vescovi (HV 30).

La decisione del papa fu assai sofferta; in un’intervista al Corriere della Sera, mesi dopo, parlerà testualmente di “solitudine del papa” nel doversi assumere la responsabilità di certe scelte.

Interi volumi narrano la sequela interminabile di pareri contrari, di dissensi, di proteste suscitati dentro e fuori dalla Chiesa dalla sofferta decisione di Paolo VI. Ed in questi cinquant’anni il dissenso non si è mai sopito. Chi ha saputo invece seguire l’insegnamento papale imparando i metodi naturali più moderni ed efficaci oggi insiste nel parlare di valore “profetico” di quell’enciclica.

In questo mezzo secolo l’insegnamento della Chiesa sulla morale familiare si è fatto enormemente più ampio, più profondo, più chiaro e più vicino al mistero dell’uomo.  Il Magistero oggi è certamente più in grado di interpretare la complessità  misteriosa dell’unione coniugale. Paolo VI verrà proclamato santo nel prossimo ottobre, la commissione presieduta da Marengo dovrebbe aver concluso i suoi lavori; ci si attende da papa Bergoglio un nuovo pronunciamento sul tema della Humanae Vitae.

Leggeremo presto un documento di papa Francesco su questo tema? Non v’è nulla di certo ma si conosce l’opinione di Francesco sull’argomento. Il 5 marzo 2014, in un’intervista per il Corriere della Sera a Ferruccio De Bortoli, il papa affermava: «Tutto dipende da come viene interpretata l’Humanae Vitae». E dopo un richiamo alla misericordia citando lo stesso Paolo VI concludeva: «La questione non è quella di cambiare la dottrina, ma di andare in profondità e far sì che la pastorale tenga conto delle situazioni e di ciò che per le persone è possibile fare».

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