Guerra in Ucraina e penuria di grano, milioni di persone rischiano la fame

Gli effetti della guerra europea sulla disponibilità di grano e altri prodotti agricoli sta colpendo duramente molti Paesi africani, mediorientali e asiatici. La crisi alimentare è già iniziata. C’è bisogno di guardare oltre le “cronache” militari della guerra in Ucraina, e prendere coscienza di quale dramma il conflitto stia provocando nel mondo.
Produzione di pane in Libano, foto Ap.

In Tunisia è sempre più difficile trovare del tabouna, il pane tradizionale cotto sulle pareti dei tipici forni di terracotta. Anche nei panifici egiziani, il khubz (pane), non solo quello molto apprezzato chiamato pane farasheeh, è spesso esaurito fin dal mattino.

In Nordafrica, il grano, ma anche la semola, il mais, l’olio di girasole e lo zucchero iniziano a scarseggiare. E in questi Paesi, più che in altri, sono prodotti alla base dell’alimentazione degli abitanti. Non è lontano il ricordo delle “rivolte del pane” che hanno scatenato proteste popolari in Tunisia ed in Egitto, per esempio, aprendo la strada alle cosiddette “primavere arabe”. Tanto che il grano nel mondo arabo è molto spesso (quasi sempre) sovvenzionato e venduto a prezzo calmierato (e c’è naturalmente chi se lo compra per esportarlo di contrabbando ad un prezzo maggiore). Non c’è solo meno disponibilità, ma anche meno possibilità di pagamento (al mercato nero il grano importato va sempre pagato cash prima dello sbarco e in valuta pregiata).

Non c’è una sola causa che provoca carenza e costi elevati, ma ce n’è una di gran lunga principale da quasi due mesi: la guerra in Ucraina.

Non è un fatto sconosciuto che le esportazioni di grano nel mondo provenissero per un terzo Ucraina e Russia. Ma c’è un altro importante primato che sta venendo meno per le sanzioni: quello dei fertilizzanti a base di azoto e potassio. Anche in questo caso si trattava di un terzo delle esportazioni mondiali, provenienti da Russia e Bielorussia.

Questo lascia intuire che se l’Europa è preoccupata per il gas russo (che comunque continua a fluire), per altri Paesi il problema è la drastica riduzione delle forniture di grano e di altri prodotti agricoli. E la riduzione è solo all’inizio, perchè se gli ucraini quest’anno non potranno seminare, se i russi non potranno esportare i loro fertilizzanti (che non sono prodotti alimentari, esclusi dalle sanzioni, ma che ovviamente condizionano molto le produzioni agricole), e se le navi non potranno partire del Mar Nero, sarà la fame per molti Paesi. Stiamo parlando, per quanto riguarda il grano ucraino e russo, di esportazioni dirette soprattutto in Africa, Asia e Medio Oriente e in grado di sfamare fra 600 e 800 milioni di persone.

Umberto Dacrema, analista economico del Programma alimentare mondiale (Wfp), in una recente intervista ad Agenzia Nova (agenzianova.com del 13 aprile 2022), ha rilevato che la crisi del grano riguarda fin d’ora “i Paesi nordafricani come Egitto, Tunisia, Libia e Marocco. Tali Paesi stanno vedendo già i prezzi salire notevolmente sia per le difficoltà a garantire le importazioni di prodotti alimentari sia per la congiuntura con il mese di Ramadan, che di solito corrisponde a un picco per la domanda di tali prodotti”. L’Egitto (oltre 100 milioni di abitanti), che è la seconda economia africana, negli anni scorsi ha importato da Russia e Ucraina circa l’80% del suo fabbisogno di grano (e il 73% di quello dell’olio di girasole), la Tunisia oltre il 50%, sempre per restare nell’ambito degli esempi citati all’inizio.

Ma il Comitato internazionale della Croce Rossa (Cicr), ha denunciato all’inizio di aprile che “l’aumento dei prezzi di cibo e carburante dovuto al conflitto in Ucraina – unito ai numerosi conflitti già esistenti nel continente, alla siccità e ai cambiamenti climatici – stanno spingendo 346 milioni di persone in Africa (circa un quarto degli abitanti del continente) verso la fame”.

Insomma, a causa della guerra europea, la nuova crisi del commercio e dell’economia mondiali, che si affianca a quella indotta dalla pandemia, non riguarda “soltanto” il pericolo di un aumento di prezzo del “fusillo” in Italia, o la prospettiva di dover ridurre l’uso dei condizionatori. C’è purtroppo ben altro sul tappeto.

Come fermare un disastro annunciato di tale portata? Per ora in occidente sembra prevalere come risposta l’implemento della produzione e fornitura di armi. Non lo so, ma con tutto il rispetto per il dramma degli ucraini, ho la sensazione che una prospettiva di questo genere sia peggiore del problema che si vorrebbe affrontare.

Per favore, c’è un’altra pista da percorrere per raggiungere una pace che non sia solo un effetto collaterale della morte di milioni di persone in tutto il mondo?

 

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