Guerra e coscienza oggi, intervista a don Bruno Bignami

A colloquio con il direttore dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e il lavoro della Cei dopo l’incontro “Guerra alla guerra” promosso a Bozzolo, il piccolo paese del mantovano legato alla lezione controcorrente di don Primo Mazzolari
Guerra Parata militare nella foto esercito azero Ansa EPA/STRINGER

Don Primo Mazzolari, scomparso nel lontano 1959, è stato fortemente incompreso e osteggiato in vita dai poteri prevalenti e dalla sua stessa Chiesa che egli ha fortemente amato fino alla fine.

Anche ora che è iniziato il processo di beatificazione, continua a restare un segno di contraddizione come è emerso nell’incontro “Guerra alla guerra” promosso dalla pastorale sociale e del lavoro della Cei lo scorso 13 gennaio a Bozzolo, un paese di 5 mila persone nella provincia mantovana,dove Mazzolari ha vissuto gran parte della sua vita esercitando un’influenza culturale di gran lunga più incisiva di alte scuole di pensiero e prestigiose accademie del suo tempo.

Cosa ci dice oggi? Ne abbiamo parlato con don Bruno Bignami, direttore dell’Ufficio nazionale della pastorale sociale e del lavoro della Cei, già presidente della Fondazione Mazzolari, docente di Teologia morale e saggista.

Partiamo dal serio pericolo della guerra nucleare, ribadito dall’ultima analisi degli Scienziati atomici americani. Il 22 gennaio 2024 ha segnato il terzo anno di entrata in vigore del Trattato Onu di abolizione delle armi nucleari che i governanti italiani di diverso colore non hanno voluto neanche discutere. Come mai, a suo parere, tale rifiuto arriva anche dai politici che si dichiarano cattolici? Non assistiamo, di fatto, ad una scissione interiore che incide sempre di più sulla realtà anche delle realtà ecclesiali che non fanno di questo tema una questione centrale per cui battersi?
Difficile non riconoscere le ragioni di un passo che è di buon senso. Non richiede neppure un ragionamento troppo complicato: le armi di distruzioni di massa sono così devastanti da eliminare dal campo l’umanità. Forse le divisioni e le contrapposizioni dei cattolici in campo politico stanno ancora influendo sulla loro libertà di guardare seriamente ai contenuti. Spesso ci si preoccupa di vedere chi siano i compagni di viaggio in una sfida, più che andare al cuore del problema. In questo può aiutarci Mazzolari. In piena guerra fredda e con una fresca scomunica ai comunisti (1949) non ha avuto paura di dialogare coi Partigiani della pace per la messa al bando della bomba atomica. In molti l’hanno criticato, quasi fosse un vendersi al nemico comunista. In realtà, ha dimostrato una libertà interiore che manca oggi a molti cristiani impegnati in politica. Occorre avere cattolici più liberi e meno schiavi dei diktat di schieramento! Il magistero di papa Francesco ci sta aiutando. Siamo sulla strada…

Mazzolari partì convinto interventista nella cosiddetta “grande guerra” ma tornò dal fronte con altra convinzione. Lei ha scritto un bel saggio sui preti nella Grande guerra dove ha evidenziato il progressivo tramonto del concetto agostiniano di guerra giusta.  Ne siamo sicuri? Ad esempio il culto del milite ignoto, promosso dal generale Giulio Douhet, teorico tra l’altro dell’uso del terrore dell’arma aerea, fa ormai parte strutturale della liturgia laica della Nazione con tanto di musica del Piave. Non le pare che sia rimasta sempre viva, e oggi ancor più pressante, la retorica della vittoria bellica?
Il tema dell’interpretazione della “grande guerra” si è posto da subito con l’avvento del fascismo. La retorica della vittoria ha lasciato brutte orme all’interno di molte coscienze, che si sono convinte che le guerre sono una prova di forza per capire quanto vale una nazione. Non a caso il fascismo ha bruciato molti diari del clero che aveva vissuto la guerra dal di dentro e aveva gli strumenti culturali per raccontarla nella sua crudeltà. Non si dimentichi che molti soldati erano analfabeti e non sapevano neppure scrivere una lettera alla moglie o alla fidanzata! Occorreva inchinarsi al mito della vittoria e della grandeur patriottica e non cedere alla «debolezza» della proposta di pace. Ogni ideologia rilegge la realtà asservendola alle proprie mire perverse. Il fascismo ha saputo farlo con la violenza e con una determinazione molto forte. Tale damnatio memoriae della verità della guerra ha conosciuto però la ribellione di preti come don Primo Mazzolari. Celebrando il 4 novembre, egli ricordava le vittime della guerra come i morti per la pace e non per la vittoria. Proprio per questo fu costretto dal regime e ritrattare le proprie posizioni e a fare discorsi di riparazione. Manipolare la storia è l’abile mestiere dei venditori di fumo aggregati ai totalitarismi

Se mai è esistita una guerra giusta, questa è stata quella necessaria contro Hitler e i suoi alleati, eppure Pio XII in uno storico discorso ai dirigenti dell’Azione cattolica ribadì la necessità dell’obbedienza agli ordini dell’autorità legittima, cioè al regime con il quale la Chiesa aveva formato il Concordato. Nel 1941 Mazzolari scrisse del dovere della rivolta nella risposta alle domande di un giovane aviatore sul dovere di obbedienza. Possiamo riconoscere in questo passaggio il punto di svolta nello sciogliere la coscienza dal dovere di obbedienza?
L’obbedienza all’autorità costituita è questione presente nel Nuovo Testamento (cfr Rm 13) ed è stata ripresa spesso nella storia della Chiesa, anche senza capacità critica. L’autorità rappresentava, nel modo classico di ragionare, un appello all’oggettività. Si pensi alla teoria della guerra giusta.

In che senso si legava tale teoria con il dovere assoluto di obbedienza?
La Chiesa chiedeva che fosse la legittima autorità a dichiarare guerra e non il singolo principe o il generale di un esercito. Vi era il timore di dare via libera alla guerra di tutti contro tutti, di iniziative soggettive e non di bene comune. Perciò l’oggettività era garantita dall’autorità in carica. Tuttavia, la modernità ha apportato importanti novità nel modo di riflettere la coscienza morale.

Cosa è cambiato in concreto?
La persona è responsabile delle proprie scelte e non può nascondersi dietro al paravento del «mi hanno dato questi ordini e io ho obbedito!». Il processo di Norimberga ( dei criminali nazisti, ndr) è il punto di arrivo di un approccio diverso. La banalità del male si è giustificata intorno all’obbedienza supina. La responsabilità personale ha il compito di fare discernimento su ciò che è bene e ciò che è male. Nella tradizione cristiana At 5,29 ricorda che «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» e Gesù stesso ha invitato a riporre la spada nel fodero (cfr Mt 26,52), a non rispondere alla violenza con la violenza.

Alla scuola di queste intuizioni Mazzolari aveva consigliato al giovane aviatore fiorentino Giancarlo Dupuis nel 1941 di fare obiezione di coscienza, se lo riteneva opportuno, rispetto ai comandi militari ricevuti. Infatti – scrive don Primo – «come cristiano, quando disobbedisco per ordine morale, obbedisco; quando mi rivolto, ricostruisco». Si tratta di una rivoluzione copernicana che anche il magistero della Chiesa ha fatto propria nel Concilio Vaticano II in Gaudium et spes 16.

Oggi la guerra più che definita giusta è dichiarata giustificata dalla necessità triste di opporsi, ad esempio, alla ferocia dell’autocrate russo. C’è chi ha tirato in ballo anche Mazzolari per giustificare la necessità di armare l’Ucraina. In fondo non è giusto dire come fanno alcuni che è venuto realisticamente il tempo di decidere per cosa morire e purtroppo uccidere?
L’analisi di un conflitto specifico apre scenari e discussioni. Ci possono essere divergenze di vedute. È inevitabile. Occorre evitare di tirare per la tonaca profeti come Mazzolari e Milani a conferma delle proprie posizioni personali. Non è giusto e non è serio. Mazzolari ha saputo fare discernimento nel proprio tempo, e pur essendo favorevole al Patto atlantico, non si è mai piegato alla logica del tifoso. È sacrosanta la distinzione tra aggressore e aggredito, ma questo non deve farci cadere nella tifoseria, che è la stessa che mantiene vive le guerre, perché pensa all’altro come nemico esclusivo. Sarà un caso che la guerra in Ucraina vede sui due fronti schierate le chiese ortodosse? Dov’è la profezia evangelica?

Quindi cosa occorre fare?
Occorre tornare alla proposta di fede cristiana. Il parroco di Bozzolo chiede di convertire lo sguardo. Invece di concentrarci a organizzare la guerra (si vis pacem para bellum) e decidere per cosa morire, dovremmo organizzare la pace e decidere per chi vivere. La cultura bellica è cultura di morte. Finiamo per pensarci «esseri per la morte». Mentre la filosofa Hannah Arendt ci insegna che gli uomini sono nati «per incominciare». È dunque il tempo di iniziare una nuova cultura della pace. Vogliamo la vita e non la morte. Vogliamo organizzare la pace attraverso la cura delle relazioni e avendo a cuore l’arte della diplomazia e del dialogo. Vogliamo anche fare resistenza alla mentalità bellica. Serve un cambio di paradigma. Fino a quando ignoreremo questa urgenza?

Ma se il messaggio della Chiesa, liberata da una pesante eredità, è quello di “non uccidere”, perché non si invita esplicitamente a non obbedire agli ordini e alla diserzione invece di assistere alla benedizione delle armi da una parte e dall’altra del fronte?
I cambi di mentalità sono duri a entrare nel vissuto. C’è bisogno di ripensare la cultura e di convertire il nostro agire in coscienza. Per la guerra dovrebbe accadere ciò che è successo con la pena di morte e con la schiavitù: c’è stata una stagione in cui la Chiesa le ha accettate senza grandi problemi, ma la riflessione evangelica ha dato il via a una nuova stagione che ha saputo rimettere in discussione le prassi. L’obiezione di coscienza è ormai entrata nell’insegnamento sociale della Chiesa, ma fatica ancora a trovare criteri di agire concreti in alcuni ambiti. Occorrerebbe fare esercizi di profezia nonviolenta, per renderci conto che non si tratta di astrazioni ma di relazioni ordinarie che vengono rinnovate. L’attività educativa che ci attende è formare coscienze libere e giuste.

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