Giuliana e Margery anime sorelle

Un libro affascinante fa riscoprire l’itinerario umano e spirituale di due mistiche inglesi del Medioevo. Quanto mai attuale, anche per i nostri tempi, il loro messaggio sull’amore misericordioso di Dio e sul perché del dolore
Giuliana di Norwich
Statua di Giuliana sulla facciata della cattedrale di Norwich (Particolare dalla foto di:Di rocketjohn - Julian of Norwich, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=13553020)

Guerre ed epidemie, rivolgimenti sociali, politici e religiosi, calamità naturali, povertà materiale e spirituale… no, non stiamo parlando di fatti dei nostri giorni, ma del 1300-1400, epoca anch’essa tormentata come poche, tra guerra dei Cent’anni che oppose Francia ad Inghilterra, pestilenze, scisma seguito al ritorno del papa da Avignone, persecuzione dei predicatori itineranti detti Lollardi e insurrezione dei contadini contro i potenti, mentre la voce genuina della Chiesa si esprimeva soprattutto nei mistici, nelle anime semplici del popolo. E proprio fra queste si levò una voce che alle genti impaurite e stremate da tante sofferenze assicurava: «Alla fine tutto sarà bene». Quella voce apparteneva a Giuliana di Norwich (1342-1416), una mistica inglese vissuta per circa quarant’anni da reclusa in quella che era l’antica capitale della contea di Norfolk, allora seconda solo a Londra.

In un’epoca oscura in cui si temeva Dio come un giudice severo e ogni calamità, dalla peste alla guerra, veniva considerata una sua punizione per i peccati degli uomini, l’umile Giuliana parlò audacemente di Gesù come Madre nel suo Libro delle Rivelazioni, che raccoglie sedici visioni sulla Passione di Cristo; libro definito «una pacata meditazione che raccoglie attorno alla verità fondamentale – l’amore di Dio – tutti i punti più importanti e vitali della teologia cristiana. Ne deriva una spiritualità del quotidiano fatta di serenità e di equilibrio, radicata sul costante ricordo dell’amore di Dio» (1).

Non manca, in quest’opera riscoperta in epoca moderna, una riflessione sul mistero del male e del dolore. Riguardo al quale, nei due brani seguenti, ripresi anche dal Catechismo della Chiesa cattolica, Giuliana dichiara: «Imparai dalla grazia di Dio che dovevo rimanere fermamente nella fede, e quindi dovevo saldamente e perfettamente credere che tutto sarebbe finito in bene»; «Tu stessa – le garantisce Cristo – vedrai che ogni specie di cosa sarà per il bene».

Sembra incredibile che un testo così positivo sia potuto scaturire da un mondo grondante paura, sangue e sofferenza, e che per certi versi ricorda il nostro di oggi, in profonda crisi: un contrasto che dà modo di cogliere ancor meglio la novità e la preziosità delle Rivelazioni. Ecco perché quest’opera, di cui quest’anno ricorre il 650° anniversario, può risultare come una brezza ristoratrice anche nel nostro travagliato presente. Stupisce poi che a scriverla sia stata una donna, all’epoca esclusa dall’istruzione e ritenuta un essere inferiore (qualcuno dubitava persino che avesse un’anima)!

La chiesa di san Giuliano a Norwich, dove avvenne l’incontro tra Giuliana e Mergery Kemp (Foto di Amitchell125, Opera propria, CC BY-SA 4.0)

Reclusa sì, Giuliana lo era, ma non esclusa dalla vita sociale: la sua cella, infatti, inserita nella città accanto alla chiesa di San Giuliano aveva una finestra che permetteva di assistere alle celebrazioni liturgiche all’interno di essa e un’altra aperta sull’esterno per ascoltare quanti, attirati dalla sua fama di santità, a lei si rivolgevano per aiuto e conforto delle proprie pene: anime semplici, reietti della società, sacerdoti innovatori braccati dalla Chiesa istituzionale e mistiche come Margery Kemp, a lei contemporanea, ma più giovane di circa trent’anni, originaria di King’s Lynn, contea di Norfolk.

Tra Margery e Giuliana, giunte a conoscersi verso il 1413, non sono poche le affinità. Entrambe, ammalatesi così gravemente da credersi in punto di morte, furono gratificate da visioni celesti che segnarono, specie per la prima, sposa e madre di 14 figli, l’inizio di un tormentato cammino di conversione (quanto a Giuliana, forse era vedova). Entrambe “illetterate” che acquisirono le loro conoscenze in materia religiosa grazie a sermoni e altre fonti orali, affidandosi a scrivani furono autrici di opere che occupano un posto di rilievo nella letteratura anglosassone, in quanto i primi libri noti in lingua inglese scritti da donne.

A differenza di Giuliana, Margery viaggiò molto, fu pellegrina a Roma, Assisi, Gerusalemme e Santiago, quindi in Norvegia e nel Sacro Romano Impero. Il racconto di questi viaggi costituisce una parte rilevante del Libro di Margery Kempe, cuore del quale sono le conversazioni mistiche che ella condusse con Cristo per più di quarant’anni: testo andato perduto per molti secoli e ritrovato soltanto nel 1934. Anche il manoscritto originale delle Rivelazioni di Giuliana, forse trafugato dalla sua cella dopo la morte e pervenuto non si sa come in un convento di monache benedettine inglesi a Cambrai, in Francia, andò perduto durante la Rivoluzione francese, che costrinse le religiose a rifugiarsi in Inghilterra. Ne sopravvissero però tre copie, probabilmente realizzate dalle stesse suore.

Le voci di queste due mistiche tornano ora a risuonare nel bellissimo libro di Victoria MacKenzie Abbi pietà del mio piccolo dolore (il Saggiatore). L’autrice fa alternare Margery e Julian (Giuliana) nel raccontare i propri moti dell’animo e le proprie lotte spirituali, fino al momento in cui, incrociandosi le rispettive strade, le loro vite entrano in conversazione.

Le immagini che visitano Margery e muovono i suoi passi di pellegrina l’hanno reso invisa agli uomini di Chiesa della sua comunità, i quali hanno iniziato a perseguitarla in quanto eretica. Quelle, invece, che affollano i sogni ad occhi aperti di Julian, le chiudono la bocca, le fanno sentire nella carne la morte vicina e il sangue di Cristo: ogni giorno, per lei, è un giorno in meno rimasto per raccontarle. Da quando però, guidate da un’energia divina, si sono incontrate, entrambe per giorni – attraverso la finestra velata della cella di Julian – dialogano d’infanzia, di maternità, di malattia. Di perdita, di dubbio, di fede. Di rivelazioni più potenti di quanto il mondo fuori sia pronto a sentire.

Opera di fantasia, ma strettamente basata sulla vita di due donne scopertesi anime sorelle, il racconto della MacKenzie si conclude con Julian che affida a Margery il manoscritto delle Rivelazioni. Quando a Lynn, dove la pellegrina è tornata presso i suoi, le giunge la notizia che la reclusa è trapassata a miglior vita, prende una decisione: «Troverò il modo di condividere le sue parole e di non lasciarle morire come il suo corpo… se ci sono parole non c’è morte. E io scriverò di certo un libro tutto mio. Anche le mie parole vivranno. Racconterò la mia storia non per lodare me stessa, ma solamente per mostrare la bontà del nostro misericordioso Signore Gesù Cristo».

(Fonte: Introduzione di Domenico Pezzini al Libro delle rivelazioni, Ed. Ancora)

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