Generare figli in una società più giusta

L’Italia è chiamata a un serio confronto a tutto campo sulla politica demografica. Se la denatalità è il sintomo di un malessere diffuso, la risposta può arrivare dall’impegno per un mondo più giusto dove accogliere e far crescere i figli. Da Città Nuova del numero di gennaio 2023
Figli. Foto di Cristan Gennari

Siamo 8 miliardi di esseri umani sulla Terra secondo le stime dell’Onu di fine 2022. Paesi come Cina e India hanno abbandonato da tempo politiche antinataliste, dall’imposizione del figlio unico alle campagne di sterilizzazione, per misurarsi proprio sulla potenza demografica che sostiene il loro crescente ruolo centrale nell’economia mondiale.

L’Africa è il continente dove si prevede che la popolazione arriverà nel 2050 a 2,5 miliardi di persone (erano 1,25 miliardi nel 2019) mentre i Paesi di cultura occidentale registrano da decenni un calo costante delle nascite. L’Italia è, assieme al Giappone, l’epicentro di questa “peste bianca” che desertifica il territorio: il saldo negativo tra nascite e decessi nel 2021 è stato di 310 mila persone, l’equivalente degli abitanti di Bari per avere un’idea.

Qualcosa che è avvenuto in passato solo con le guerre e pone interrogativi sulle ragioni profonde di un tale fenomeno. Lo stesso termine “demografia” è stato considerato per lungo tempo con sospetto nel nostro Paese perché associato traumaticamente alla politica del regime fascista sfociata nella difesa della razza del 1938, dopo il proclama del 1927 sullo “scossone demografico” necessario all’Impero e alla sua “carne da cannone”, con tanto di tassa sul celibato destinata alle casse dell’Opera nazionale maternità e infanzia. Incentivi e propaganda di regime hanno avuto, di fatto, effetti modesti, mentre il vero boom delle nascite è arrivato nel clima di speranza collettiva del dopoguerra di una ricchezza da redistribuire con grandi conquiste sociali.

Quei bambini sono la generazione che oggi sta andando in pensione con una storia di relativa stabilità, mentre chi è arrivato dopo si è imbattuto in un contesto di progressiva precarietà lavorativa ed esistenziale segnata dal prevalere di modelli culturali improntanti all’individualismo competitivo. Sono indicativi i recenti rapporti annuali del Censis sulle tendenze prevalenti della società italiana piegata sulla malinconia, l’insicurezza e il rancore. Uno stato d’animo potenziato da una certa scadente produzione cinematografica e televisiva usata come educazione di massa. Nei diari di Ettore Bernabei, direttore generale della Rai, si legge proprio negli anni del boom la necessità di rispondere a una tale egemonia culturale che per prevalere prendeva di mira la realtà familiare grazie ai tanti maestri del sospetto del pensiero occidentale moderno.

Una lunga notte, segnata dal crollo dei matrimoni e l’aumento delle separazioni, dove non sono mancate inevitabili reazioni da fortino assediato ma che ha permesso di liberare il concetto stesso di famiglia da modelli autoritari e patriarcali per farla riscoprire come luogo di amore e gratuità, il punto di resistenza dell’umano in una società dove tende a prevalere, per citare papa Francesco, “l’economia che uccide” e “l’idolatria del denaro”.

A questo nuovo protagonismo sociale ha contribuito in Italia il lavoro del Forum delle associazioni familiari che non si è trincerato finora su posizioni di prevedibile reazione.
Se la denatalità è il sintomo di un malessere diffuso, si percepisce che la risposta può arrivare dall’impegno per un mondo più giusto dove può nascere e crescere un figlio.

Invece del termine riduttivo “famiglia tradizionale”, il giurista Balduzzi usa l’espressione “famiglia costituzionale”, cioè descritta dalla Carta che ha come compito la rimozione degli ostacoli che impediscono la libertà e la dignità delle persone.

Ciò comporta, ad esempio, la necessità di contrastare la precarietà lavorativa che, come osserva Francesco Marsico, è l’ostacolo maggiore alla crescita delle famiglie anche perché prefigura un’anzianità futura segnata dalla povertà.
Tutti sanno che una famiglia numerosa, se non è benestante di suo, è esposta all’impoverimento progressivo a causa di un sistema fiscale e previdenziale iniquo.

Anche con il governo Meloni il ministro della Famiglia è rimasto senza portafoglio, cioè senza risorse strutturali da spendere direttamente, ma con l’aggiunta del termine “Natalità” ha inteso esplicitare in questa direzione un compito di coordinamento e indirizzo verso i ministeri più pesanti.

A guidarlo è Eugenia Roccella, una donna che conosce bene, per avervi militato, la cultura radical libertaria e che non ignora, perciò, la complessa realtà italiana, tanto da citare il sondaggio della Fondazione Donat Cattin da cui emerge che «la maggioranza dei giovani italiani tra i 18 e i 20 anni immagina il proprio futuro senza figli».

Non può ignorare lo studio di Francesca Luppi della Cattolica di Milano sulla progressiva accettazione tra le donne della fascia 30-34 anni di un modello familiare senza figli o con pochi figli. Ma la leva di una possibile politica familiare può partire pragmaticamente sul desiderio che permane tra il desiderio di maternità e paternità contrastato dalle condizioni esterne che non lo rendono possibile.

Per intervenire in questo senso non bastano le briciole di un bilancio ma occorrono forti investimenti e un confronto serrato su quali capitoli di spesa da toccare per cercare di costruire una società più giusta in grado di accogliere più figli.

BOX

Misure economiche per le famiglie

L’assegno unico per i figli è stata la novità dell’ultima legislatura. L’esito di un lungo confronto dopo anni di dibattito su altri strumenti possibili per dare maggior sostegno a favore dei nuclei con figli. In fase di rodaggio sono emerse anomalie tali da portare il governo Draghi a dirottare 630 milioni di euro verso altri fini.

La manovra economica del 2023 aumenta l’importo dell’assegno assieme ad altre misure a favore dei figli, prevedendo, tra l’atro, un taglio al Reddito di cittadinanza e una riduzione alla rivalutazione delle pensioni superiori a 4 volte il minimo.

Interventi che indicano una direzione di marcia verso un disegno complessivo che appare incentrato sull’introduzione annunciata del quoziente familiare che incide sulle imposte pagate dalla famiglia.

Su tale misura, in vigore da tempo in Francia, esiste uno storico giudizio negativo da parte della sinistra perché andrebbe a privilegiare i redditi più alti disincentivando l’occupazione femminile. Una questione da affrontare, per sfrondare eventuali pregiudizi, senza perdere di vista, allo stesso modo, l’insieme delle misure destinate ad incidere sulle famiglie che verrebbero penalizzate, per esempio, dai tagli alla sanità pubblica o dall’incentivazione della precarizzazione del lavoro.

Esistono esempi e buone prassi da seguire, ma non si possono accettare, ad esempio, modelli di forte promozione della natalità come quello ungherese associati alla costruzione di muri sulle frontiere verso altre famiglie in cerca di aiuto. Per rallentare il declino demografico occorrerà promuovere un dialogo aperto, da esercitare non solo in Parlamento, sul tipo di società in grado di accogliere le generazioni future.

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