Favole d’oggi tra cantine e motel

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Otto mesi di repliche. Favole (per cominciare a leggerle) di Oscar Wilde, per la regia di Giancarlo Sepe, di proroga in proroga, è diventato l’evento della stagione teatrale romana. Nel suo storico teatrocantina La Comunità (ancora fino al 2 giugno) Sepe regala momenti di autentica poesia visiva ai trenta spettatori ammessi ogni sera. Disposti al centro su di una pedana circolare mobile, partecipiamo al rivelarsi di magie sceniche simili a fotogrammi che scorrono attorno ad una sorta di schermo cinematografico a 360 gradi, animato nel buio da sei attori. Una scenografia avvolgente – complice un taglio di luci caravaggesche e un tessuto sonoro fortemente emotivo – apre finestre su primissimi piani, dettagli di mani che sfogliano libri, perle, stoffe; su interni attraversati da figure vive o dalle loro ombre. Intanto, scorrono le stagioni fra lo scroscio della pioggia (anche vera) lo svolazzare di una tenda sullo sfondo di nuvole, il cadere di foglie. Nella sua rarefazione narrativa Favole, più che raccontare, “sonda i territori delle fiabe, gli umori che presiedono alla loro lettura”. E in questo tentativo di preparazione alla materia letteraria di Wilde, suggerisce anche i moti e le vicende di un’anima nel suo dibattersi per vincere le tenebre, per tramutare l’angoscia in speranza. Pur lontani come stile, non ho potuto fare a meno di paragonare Favole con l’ultimo lavoro del gruppo riminese Motus Twin Rooms. Anch’esso di raffinata eleganza visiva, e concepito con una dinamica cinematografica. Ma senza la pregnanza dei contenuti. Twin Rooms ha di originale la ricerca di una moderna forma di narrazione scenica. Dentro due stanze a due piani di un hotel – luogo di solitudini, di incontri precari, di accumuli di esistenze vaganti – delle telecamere digitali fisse e manovrate in diretta riproducono le azioni di cinque personaggi: le sequenze reali, sotto; e le stesse duplicate nei dettagli, su due schermi, sopra. Ricorda gli ambienti di The million dollars Hotel di Wenders, le interazioni video di Ritorno ad Alphaville del primo Martone, o le stilizzazioni sceniche di Tiezzi. Niente di nuovo, quindi. Se non per l’approccio visivo. Tra flash-back e retroscena, in una continua sospensione tra set e realtà, oggetti e attori sono braccati dall'”Occhio Belva” della cinepresa, esasperando quel voyeurismo squallido da Grande Fratello. Per questo lo spettacolo, pur nel freddo estetismo, tra ironia e cinismo, ci offre forse un’inconsapevole riflessione sulla percezione odierna della realtà, dove tutto sembra essere finzione: la vita come la scena . Con Twin Rooms i Motus introducono per la prima volta nei loro spettacoli dei dialoghi recitati. Che però li trovano impreparati. A teatro, si sa, la parola non s’improvvisa. Al Valle di Roma.

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