Estremo Oriente, emergenza cibo da coronavirus

Ormai quello alimentare sta diventando un vero problema legato al coronavirus. In molte regioni del pianeta l’emergenza è già iniziata
AP Photo/Ng Han Guan

La Cina ha già capito che la prossima sfida, quelle che ci aspetta dopo il coronavirus, sarà senz’altro in primo luogo quella per il cibo. Per il “dragone cinese” è urgente ripensare alla distribuzione delle terre destinate alla coltivazione agricola e pianificare la produzione per poter fra fronte alla sfida che il virus ci sta insegnando questi giorni: l’impossibilità di far circolare le merci in modo totalmente libero, come prima della crisi.

E, non per ultimo, all’orizzonte si paventa lo stop all’esportazione di beni essenziali, come le uova di gallina per esempio: la Thailandia ne ha vietato, alla fine di marzo, le esportazioni per almeno una settimana.

Ciò significa che 40 milioni di uova prodotte giornalmente, restano solo per il mercato interno: i thailandesi, infatti, dall’inizio di marzo hanno fatto man bassa delle uova nei mercati, facendo alzare i prezzi di circa il doppio dal normale. Un alimento essenziale, le uova, per molte famiglie thai, e non possono mancare alla dieta giornaliera. Ma mancheranno sulle tavole di molti clienti esteri che da anni acquistano le uova thailandesi, come Hong Kong, Singapore, Cambogia, Maldive e Corea del Sud.
La giornalista Guo Rui, in un pezzo pubblicato sulla testata South China Morning Post, ha riportato il pensiero di uno studioso, Wu Hui, insegnante alla Loudi Vocational School in Hunan e un sostenitore della teoria della “sufficienza alimentare” della Cina come prossima sfida mondiale. Ormai la sfida è una questione di sicurezza nazionale, cioè un elemento fondamentale nella stabilità di un Paese. Wu Hui afferma in effetti che «la Cina deve concentrare la sua attenzione nelle coltivazioni che possano dare cibo sufficiente a livello nazionale senza dover dipendere dalle importazioni straniere (leggere Usa, ndr) per dar da mangiare alla sua gente: perché se la Cina dipenderà troppo dalle importazioni, un giorno cadrà a pezzi come il Venezuela».

Wu Hui afferma inoltre che, al momento attuale, non si sa da dove arriva il cibo consumato dai cinesi e che l’affermazione da parte delle autorità centrali di Pechino, che cioè la Cina sopperisce per il 95% del suo fabbisogno interno alimentare attraverso l’agricoltura interna, non corrisponde alla verità.

Secondo Wu Hai in Cina il 25% della terra non è coltivata, affermazione contestata dal governo centrale.  Ormai la questione, con la crisi del coronavius, è sostanzialmente aperta e i governi, non solo quello cinese, guardano all’approvvigionamento del cibo in modo totalmente diverso di qualche mese fa: cosa succederebbe se questa crisi del virus continuasse per un anno intero?

Se i grandi esportatori di grano, di soia, per esempio, chiudessero i propri porti e si tenessero “per loro” le navi cariche di questi preziosi elementi essenziali per l’alimentazione di centinaia di milioni di persone, cosa succederebbe? E questo è un grave pericolo per un paese con 1,4 miliardi di persone e che dipende troppo dalle importazioni di cibo dall’estero, soprattutto dagli Usa che hanno messo come clausola per la sospensione delle ostilità in campo commerciale, che la Cina apra totalmente il proprio mercato alimentare agli Stati Uniti.

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