Essere e parlare

Seconda puntata di una conversazione del 3 febbraio 1992 sul contributo del Movimento dei focolari alla nuova evangelizzazione auspicata da Giovanni Paolo II. La nostra è una nuova evangelizzazione per il modo tipico in cui il movimento è chiamato a vedere, vivere e far conoscere il Vangelo. Infatti, il carisma dell’unità ha avuto ed ha la proprietà di comprendere e far comprendere il Vangelo da un’angolazione ben precisa. Come in altre epoche san Francesco vedeva il Vangelo soprattutto attraverso la lente della povertà e san Benedetto attraverso l’orazione e il lavoro, o sant’Ignazio attraverso l’obbedienza e la violenza evangelica, ecc., così a noi è stato dato di vederlo attraverso quella parola che Paolo VI ha definito sintesi del Vangelo, riassunto dei divini desideri del Cristo, e che è il culmine dell’amore: l’unità. Unità che si raggiunge attraverso quell’altra parola che è il culmine del dolore di Gesù, cioè: Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?. Noi, dunque, portiamo il Vangelo attraverso l’unità. Come è noto, la pagina di Giovanni sulla preghiera per l’unità è la magna charta del movimento. Perciò siamo chiamati anzitutto ad essere uno con Cristo nel compimento della sua volontà e nell’unione con lui (preghiera), e ad essere uno con lui nei fratelli: cioè ad amare lui in tutti, a farsi uno con tutti, anzi a vivere gli altri, a essere gli altri. Essere uno, dunque, con Gesù e con lui nei fratelli. Cioè essere, che non è ancora parlare, ma è già testimoniare e perciò evangelizzare. E questo, fra il resto, è più che mai esigito oggi. Si ascoltano più i testimoni che i maestri. Ed è un essere uno con i fratelli che si concretizza in fatti. Come Gesù, si deve cominciare col fare e poi insegnare. (…) Essere uno, dunque, essere amore concreto verso gli altri e, solo dopo, parlare. Un amore concreto che, se nei primi tempi era fatto di azioni di singoli e di piccoli gruppi, ora è fatto di azioni e di opere anche di vasta dimensione. Ma poi dobbiamo essere uno fra noi. Anche questo esige la preghiera di Gesù sull’unità. Essere uno fra noi, che è il dover-essere dei cristiani, porta in sé già una potenza apostolica: Che siano uno – dice Gesù – affinché il mondo creda. Dunque, due i modi nostri di essere: essere uno con Dio e per lui con i fratelli. E essere uno fra noi. Tali modi di essere non si fermano qui, ma passano, anche spontaneamente, spesso perché richiesto, all’annuncio. E solo con l’annuncio abbiamo un’evangelizzazione completa. Sì, occorre anche parlare. Hanno parlato gli apostoli. E ciò si può capire per la speciale consegna data loro da Gesù: Andate e predicate… .Ma hanno parlato anche i primi cristiani, se pure per essi, spesso semplici laici, il mondo allora conosciuto è stato informato del Vangelo. Abbiamo parlato anche noi sin dai primi tempi. E quanto! Si parlava, si scriveva a tutti: amici, parenti… Anche oggi sentiamo in modo tutto particolare di dover parlare. Ed è ciò che ci viene suggerito proprio in quest’ora dai nostri vescovi. Uno di essi recentemente ci ha invitato con insistenza a parlare – diceva – di quello che abbiamo ascoltato in Mariapoli, parlare del vostro ideale, parlare della comunione dei beni, (…) parlare con franchezza come gli apostoli. Non parlarne solamente con le persone con cui si ha confidenza nelle nostre riunioni, ma parlarne tutte le volte che capita; parlare di Gesù in mezzo a noi, (…) parlare dell’unità, (…) magari con gente che non ha ancora la fede, con gente che non avrà voglia di starvi tanto a sentire…. Sì, siamo convinti di dover parlare ed è ciò che ci sproniamo a fare. Soprattutto nelle zone (vedi Europa dell’Est) dove per decenni c’è stata la Chiesa del silenzio, occorre parlare, anzi rimparare a parlare. E anche nell’Ovest, perché, alle volte, coperti da molte valide e non valide motivazioni, si pensa di non doverlo fare. Spesso è il rispetto umano che frena, oppure la paura di prendersi critiche o derisioni; altre volte la poca voglia di compromettersi. No: dobbiamo parlare, se si vuole seguire Gesù; anzi predicare dai tetti. Parlare, che è sempre annuncio del Vangelo o preparazione ad esso nei vari dialoghi che sempre, dopo la testimonianza della vita, dobbiamo aprire con i non cristiani e con i non credenti.

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