In Egitto torna a splendere una storica sinagoga

Ad Alessandria, il luogo di culto ebraico Eliyahu Hanavi è tornato a vivere grazie al lavoro del governo del Cairo. Un segno positivo nella regione
Foto di Moshirah, pubblico dominio, https://fr.wikipedia.org/wiki/Fichier:Eliyahu_Hanavi_Synagogue_in_Alexandria.jpg

Da un Egitto che viene percepito in Italia, e non senza fondamento, come persecutore di giovani ritenuti “politicamente attivi”, arriva una notizia che ha quasi dell’incredibile, di questi tempi: ad Alessandria è stata restaurata la grande sinagoga Eliyahu Hanavi. Alla conclusione dei lavori strutturali, durati più di due anni e costati oltre due milioni di dollari, era presente nel gennaio scorso il ministro egiziano del Turismo e delle Antichità, Khaled El-Anany, a sottolineare l’importanza (non priva di risvolti politici) che il governo egiziano riconosce ad un monumento che è testimone della storia del Paese, sebbene si tratti di un tempio ebraico e per di più in un Paese oggi islamico al 90% o quasi, con un restante 10%, o forse più, di cristiani copti. Ma esistono ancora ebrei egiziani? Qualcuno dice che sono 50 in tutto l’Egitto, forse meno.

Eppure la presenza di comunità ebraiche in Egitto è antichissima: Bibbia a parte, secondo le testimonianze storiche note, risale almeno al V sec. a.C. (colonia dell’isola di Elefantina, di fronte ad Assuan), per non parlare del ritrovamento ottocentesco a Il Cairo, nella ghenizah della sinagoga di al-Fustat, di 280 mila manoscritti medievali (XI-XIII sec. d.C.). Ad Alessandria, l’esistenza di una comunità ebraica è testimoniata già nel III sec. a.C. da Tolomeo Evergete e, dal I sec. d.C., da Filone, Flavio Giuseppe e dalla letteratura talmudica, ma anche dal Nuovo Testamento e vari Padri della Chiesa.

Al censimento del 1947 risultavano 65 mila ebrei egiziani, ma probabilmente superavano i 75 mila. Dopo oltre 20 secoli di presenza ebraica, la diaspora ebraica dall’Egitto si è quasi completata in soli vent’anni: è iniziata nel 1948 con la fondazione dello Stato di Israele, è proseguita con la crisi di Suez del 1956 e poi con la guerra dei sei giorni nel 1967.

L’edificio basilicale (può contenere 700 persone) della grande sinagoga di Alessandria dedicata al profeta Elia risale al 1850, ma sorge sulle rovine di una precedente sinagoga del XIV secolo, che venne distrutta dai bombardamenti napoleonici (1798). Il sito è però ancora più antico: con molta probabilità si tratta del luogo in cui sorse, nel I sec. d.C., la prima sinagoga della storia, edificata dopo la distruzione romana del Tempio di Gerusalemme (70 d.C.) e la grande diaspora giudaica che la seguì. La Tosefta, una delle raccolte ebraiche di tradizioni orali dell’epoca dei Tannaim (70-200 d.C.), racconta che la sinagoga del profeta Elia ad Alessandria aveva 71 seggi d’oro per gli anziani e, in mezzo ad essi, la tribuna di legno per il servitore della comunità. A quel tempo era luogo di riferimento per una comunità stimata in 50 mila persone, e non era l’unica sinagoga della città, la più popolosa dopo Roma di tutto l’Impero romano.

Il restauro appena concluso è stato caldeggiato e promosso con impegno assiduo da Magda Haroun, ebrea egiziana e dal 2013 presidente di quel che resta della comunità ebraica d’Egitto. Così parlava di lei sul Wall Street Journal del 7 febbraio 2019 un’altra grande donna di origini egiziane, la giornalista Lucette Matalon Lagnado, scomparsa prematuramente nel luglio scorso: «A Magda Haroun piace dire che sarà l’ultima ebrea rimasta in Egitto. Considera la sua missione prepararsi per quel giorno, motivo per cui è ossessionata dalla conservazione dei resti della cultura ebraica egiziana. Oggi, molti giovani egiziani non sanno che, all’inizio del XX secolo, il Paese ospitava circa 80 mila ebrei, che vivevano al fianco di cristiani e musulmani in una fiorente società multiculturale».

Tre anni fa, Magda Haroun si è rivolta direttamente al presidente Abdel Fattah al-Sisi chiedendo un suo intervento. «Sono consapevole delle priorità di questo Paese e delle grandi responsabilità che il presidente al-Sisi deve fronteggiare – diceva la signora Haroun in un’intervista del 2016 –, ma sono stata costretta a rivolgermi a lui per cercare di preservare questo grande patrimonio». All’appello ha fatto seguito la costituzione ministeriale di un comitato speciale per fare il punto sulle Antichità giudaiche egiziane. Da qui è poi partito il restauro, ora concluso, della sinagoga di Alessandria.

Per Magda Haroun questo impegno rappresenta anche un omaggio alla memoria di suo padre, l’avvocato egiziano Chehata Haroun (1920-2001), che scriveva di se stesso: «Ogni essere umano ha numerose identità, e io sono un essere umano. Sono egiziano quando gli egiziani sono oppressi, sono nero quando i neri sono oppressi, sono ebreo quando gli ebrei sono oppressi, e sono palestinese quando i palestinesi sono oppressi». Un uomo d’altri tempi, ma forse anche un visionario di tempi nuovi.

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