È possibile una sessualità senza intimità?

«Dottoressa stiamo per andare a convivere, è vero che la nostra relazione sessuale cambierà?», mi chiede una giovane coppia.
Foto Pexels

Molte domande di questo tipo arrivano alla mia attenzione. Secondo gli studi della Cornell University di New York, condotti dalla professoressa Cindy Hazan, «gli esseri umani sono biologicamente programmati per sentirsi appassionati tra i 18 e i 30 mesi». Lo studio cerca di spiegare sesso e passione secondo la biologia, con studi su 5.000 persone di 37 culture diverse. Secondo questo stesso studio l’innamoramento ha un «tempo limitato» abbastanza lungo per la coppia e il cui obiettivo è avere figli.

Da tale studio è possibile ipotizzare che esistano delle fasi che sono:

  1. Fase sessuale della fusione: primi mesi o anni di infatuazione
  2. Fase sessuale del legame e della compagnia. In questa fase il sesso esiste in minor misura ed è caratterizzata dall’essere più simili a compagni di viaggio e dal godersi la reciproca compagnia.
  3. Fase sessuale della convivenza. Si tratta di una nuova tappa sicuramente piena di momenti piacevoli ma in cui probabilmente si farà meno sesso. Questo accade perché la routine inizia a far parte della vita stessa.
  1. Fase sessuale collaborativa. Una volta terminata la fase di convivenza iniziano i progetti a lungo termine, come può essere il fatto di avere un figlio. Il sesso è diverso dopo la nascita di un figlio, c’è un nuovo membro in famiglia e questo cambia le dinamiche familiari. «Da quando è nato nostro figlio mia moglie è inavvicinabile sessualmente», mi dice Carlo. «Per me sentirmi pressata ad una relazione sessuale ora che non ho occhi per il bambino è davvero insopportabile», gli fa eco Roberta.
  1. Fase di adattamento sessuale. Il sesso può rivelarsi soddisfacente anche in questa fase, sicuramente diverso da quando si era agli inizi.

Molte delle coppie che mi chiedono se la loro relazione sessuale cambierà nel tempo sono coppie magari non ancora conviventi, giovani e in cammino verso una convivenza o un matrimonio. Per tutte loro è importante ricordare che la sessualità comprende la totalità della persona ma si esprime essenzialmente attraverso il corpo.

Il contesto sociale e culturale in cui viviamo ci porta oggi a considerare il nostro corpo come un semplice strumento utilizzabile a piacimento. «Abbiamo la tendenza a considerare il nostro corpo come un oggetto in nostro possesso. Un giorno ho visto un libro sul corpo umano intitolato: “L’uomo: modelli, forme, dimensioni, colori. Manuale per l’uso”. È un manuale del tipo di quelli che vengono forniti quando si acquista una macchina o una lavatrice. Posso fare tutto quello che voglio di ciò che possiedo, finché questo non nuoce ad alcuno. Posso usare la mia lavatrice per mescolare pitture o per impastare. È mia. E dunque perché non posso fare anche del mio corpo quello che voglio?», scrive T. Radcliffe.

In realtà, l’esperienza del proprio corpo è strettamente connessa con la dimensione della propria identità. Non possiamo separare la nostra identità dal nostro corpo. Come scrive la psicoterapeuta L. Bongiorno: «Il corpo è manifestazione di tutta la persona e non solo di una parte di essa. Quando si perde di vista il corpo nella sua vera identità sorgono problemi che si ripercuotono naturalmente su tutte le altre sfere della personalità. Il corpo sono io». F. Perls, il padre della Psicoterapia della Gestalt, suggeriva di sostituire la frase “io ho un corpo” con “io sono un corpo”, cambiando quindi il paradigma che porta a considerare il corpo come qualcosa di esterno a noi, un oggetto che ci appartiene, una “carrozzeria che ci porta a spasso” e della quale di solito ci accorgiamo solo quando “crea” dei problemi.

«Nel corpo è scritta invece la storia delle persone, nel corpo si costruisce l’esperienza psicofisica di unità e relazione. Il corpo è il luogo del sentire, delle emozioni che diventano concrete ed esperibili attraverso la modulazione delle tensioni muscolari, con il corpo entriamo in contatto o inibiamo il contatto con l’ambiente». Ma se noi siamo il nostro corpo, in una coppia la relazione sessuale è molto più che un’attività del corpo, bensì l’espressione di un legame, di una relazione. Eppure sembra che a volte questa relazione sia carente.

Sempre nel dialogo con giovani coppie a volte emerge che avere un’intimità fisica è più facile che avere un’intimità emotiva. Mostrare il proprio corpo è più semplice che mostrare le proprie emozioni. Eppure l’incontro più intimo tra due persone non è quello sessuale, è il nudo emotivo. Uno scambio che nasce quando si vince la paura e ci dedichiamo a conoscere l’altro così com’è, in tutte le sue sfaccettature.

Non è facile riuscirci. Di fatto, il nudo emotivo non si ottiene alla leggera né con chiunque. C’è bisogno di tempo, forza e voglia di ascoltare, sentire e abbracciare le emozioni e conoscere noi stessi e la realtà dell’altro. Per costruire giorno dopo giorno una profonda intimità occorre svelarsi per come si è, fragilità incluse. Bisogna accantonare le proprie paure, gestire le ferite dell’infanzia che ci hanno condizionato, avere consapevolezza di cosa ci muove al fine di governare le nostre relazioni. Una coppia mi diceva: «Spesso confondiamo il sesso con l’intimità. Ma non sono la stessa cosa. Si può condividere il sesso con un partner e non essere intimi, non entrare in connessione vera con l’altro».

Ma per arrivare a questa intimità c’è una strategia efficace? Per Eric Berne, fondatore dell’Analisi Transazionale, l’intimità relazionale è uno dei modi con cui le persone strutturano il proprio tempo e si incontrano per riconoscersi e nutrirsi reciprocamente. «Io ti vedo, ti sento e ti accolgo per ciò che sei». Nell’intimità relazionale si comunica senza tentativi di manipolazione o secondi fini, in modo spontaneo e non violento tra le parti. Per raggiungere però questo grado di intimità è necessario aver raggiunto un elevato grado di fiducia reciproca e personale. È questo il presupposto indispensabile: fidarsi dell’altro, per poter creare relazioni profonde, significative e autentiche.

Non con tutti è possibile, non sarebbe protettivo, ma in una relazione di coppia è un obiettivo da porsi. Non potremo mai creare una connessione davvero forte e sicura, una vera intimità, se non permettiamo a chi ci ama di conoscerci a fondo osando prenderci il rischio e il coraggio di donargli la nostra vulnerabilità.

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