Distribuzione della ricchezza (Evangelii Gaudium 202-208)

È da un’ingiusta distribuzione dei beni, infatti, che deriva la povertà, non certo dalla mancanza di risorse. Non basta criticare i governi, secondo Francesco, perchè se la Chiesa dovesse rinunciare a farsi carico «creativamente e con efficacia» dei poveri e della loro inclusione, è colpevole anche lei
Un povero indiano

*202-208 – Distribuzione della ricchezza

Viviamo in un mondo profondamente ineguale, e il papa lo sa bene. Viene dall’Argentina, una nazione che ha un livello altissimo di diseguaglianza nella distribuzione del reddito, pari solo a qualche altra nazione latinoamericana e dell’Africa centrale. Conosce bene i danni che essa provoca e per questo può definirla «radice dei mali sociali». È da un’ingiusta distribuzione dei beni, infatti, che deriva la povertà, non certo dalla mancanza di risorse.

Dove più elevata è la disuguaglianza, si riduce poi l’aspettativa di vita e la fiducia tra le persone, aumentano la mortalità infantile, il tasso di omicidi, l’obesità, i disagi mentali e si blocca la mobilità sociale. Per estirpare questa radice occorre, ci esorta il papa, a fare in modo che «la dignità di ogni persona umana e il bene comune (strutturino) tutta la politica economica» e che non siano, invece, come spesso accade, solo degli orpelli per abbellire un «un discorso politico senza prospettive né programmi di vero sviluppo integrale».

Una posizione netta, nella verità, anche quando viene sottolineato il «fastidio» che suscitano parole come «etica», «solidarietà mondiale», «distribuzione dei beni», «difesa dei posti di lavoro», «dignità dei deboli», e «un Dio che esige un impegno per la giustizia». Anche la Chiesa che dovesse rinunciare a farsi carico «creativamente e con efficacia» dei poveri e della loro inclusione, è colpevole e corre «il rischio della dissoluzione, benché parli di temi sociali o critichi i governi».

Il mercato produce ricchezza, dunque, ma non è in grado di determinare la sua equa redistribuzione (204). Per questo occorrono, scelte, decisioni, programmi, impegni, una politica vera – «vocazione altissima» – che superi il mero assistenzialismo, ma soprattutto un modo nuovo e originale di concepire il nostro rapporto con i beni e la ricchezza; capace di sfuggire alla «ricerca malata di piaceri superficiali» che conduce alla «tristezza individualistica di un cuore comodo e avaro».

Vittorio Pelligra

docente di economia all’Università di Cagliari

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