Dico, rilancio in Parlamento

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Troppa grazia!, hanno commentato quanti avevano preso parte alla novena di preghiere per invocare dall’Alto l’aiuto indispensabile a fermare il percorso legislativo dei Dico, dopo l’approvazione in Consiglio dei ministri. L’effetto delle suppliche, infatti, aveva comportato non solo l’affondamento (si riteneva allora) del controverso disegno di legge, ma addirittura la caduta del governo Prodi. L’infondata storiella è stata messa in giro dai soliti maligni, ma l’imprevista sfiducia all’esecutivo in materia di politica estera ha fatto pensare che tutto, o almeno molto, sarebbe cambiato sul provdi vedimento in materia di diritti ai conviventi. La riprova era lì, in quei dodici punti che non contemplavano più le coppie di fatto. Anzi, si parlava esplicitamente di misure a sostegno delle famiglie. L’urgenza con cui era stato varato il disegno di legge sui Dico sembrava scomparsa. In realtà, la palla era semplicemente passata al Parlamento. E martedì 6 marzo il testo in questione è stato analizzato dalla commissione Giustizia del Senato. Non sappiamo se novene siano state fatte, ma il risultato dell’esame è stato una bocciatura da parte del presidente stesso della commissione, il diessino Cesare Salvi. Egli ha ravvisato elementi di incostituzionalità, concludendo che il disegno di legge del governo non potesse fungere come testo base. Troppa grazia? Chissà. Il ministro Rosy Bindi, autrice, con Barbara Pollastrini, del provvedimento, ha fatto presente che Salvi non è riuscito a capire sino in fondo il senso di equilibrio e la giustezza che contiene il disegno di legge, chiarendo che ciò che è più faticoso in questa materia è restare davvero agganciati alla Costituzionale che non ci consentirà di creare matrimoni di serie B. Ella difende la bontà del testo firmato, e ricorda che il governo accoglie modifiche , ma non è disposto ad accettare forme di paramatrimonio. Altri nove disegni di legge in materia di convivenze sono stati presentati in commissione Giustizia. Da metà marzo è iniziato il lavoro per individuare se uno dei documenti possa costituire il testo base o se sarà necessario dare vita ad un comitato ristretto per elaborare una proposta unificata e condivisa. Per Salvi si proseguirà con una seduta alla settimana e poi sarà deciso con quali soggetti e su quali quesiti avere le audizioni. Questo è il percorso istituzionale. I tempi sono incerti, ma è sicuro che non ci sarà quella fretta che mosse il governo nel varo dei Dico. Ed è auspicabile che non si ripristini nel Paese quel clima virulento che aveva segnato in gennaio e febbraio la disputa attorno alla legge sulle coppie di fatto. Non aiuta, al riguardo, il presidente della Camera, Fausto Bertinotti, quando invita riformisti e radicali a unirsi per fare una grande battaglia sui Dico, come ai tempi del divorzio. Tutto serve alla nostra società fuorché uno scontro ideologico e una radicalizzazione delle posizioni. Non c’è dubbio che il tema sia cruciale. Il rischio di un’equiparazione di tutte le convivenze – comprese quelle tra persone dello stesso sesso, come indica l’articolo 1 del testo Bindi-Pollastrini – alla coppia sposata con figli apre prospettive giuridiche e scenari culturali che penalizzano l’istituto del matrimonio. In soldoni, se sposarsi – argomentano al Forum delle associazioni familiari – comporta gli stessi diritti del non sposarsi, ma ha in più una serie di doveri che derivano dalla rilevanza sociale del matrimonio, è ovvio che verrà incoraggiata una scelta di minore responsabilità . Di diverso avviso è Franco Grillini, esponente omosessuale e parlamentare Ds: Bisogna far passare il concetto che c’è famiglia dove ci sono due persone che si vogliono bene, dimenticando che voler bene vuol dire anche stabilità e procreazione. La famiglia è chiamata alla ribalta del dibattito politico nel modo che meno desiderava. In attesa di un concreto riconoscimento dei valori e dei ruoli sociali di cui è portatrice, assiste ad iniziative politiche che rischiano di indebolirla ulteriormente. Da qui, i richiami di Benedetto XVI e le numerose prese di posizione (compresa l’idea di una nota impegnativa per i cattolici) del cardinale Ruini per manifestare i punti di vista della Chiesa cattolica in una materia delicata e decisiva. Sono stati accusati di indebita ingerenza, di posizioni intransigenti, senza cogliere, in quegli interventi, la necessaria distinzione tra il piano dottrinale e quello politico. I cattolici in politica – ha voluto precisare recentemente il segretario di Stato vaticano, cardinale Bertone – non sono la longa manus della Santa Sede. E nemmeno della Cei.Ma la loro coscienza non è un assoluto, posto al di sopra della verità e dell’errore; anzi, la sua intima natura postula il rispetto di quei valori che non sono negoziabili, proprio perché corrispondono a verità obiettive, universali ed uguali per tutti. Tra quelle verità, Bertone, ha indicato pure la promozione della struttura naturale della famiglia, come unione tra un uomo e una donna fondata sul matrimonio, che va promossa e sostenuta prioritariamente, riconoscendone la peculiarità e l’insostituibile ruolo sociale, di fronte a forme di unioni radicalmente diverse e destabilizzanti. La preoccupazione della gerarchia nasce da dati di fatto inoppugnabili. Il nostro Paese, ad esempio, se continua a difendere l’ultimo posto nella classifica mondiale del tasso di natalità, si troverà tra un po’ a non avere più giovani su cui contare per il proprio sviluppo. Non è sufficiente l’arrivo degli extracomunitari, perché il mix di culture e costumi (senz’altro prezioso e arricchente) ha un alto costo di tempi e disagi sociali.Ma so- prattutto necessita di un agente indispensabile per attivarlo: solo la famiglia, prima cellula del sociale, è in grado di metabolizzare e fondere le diversità, conservando i caratteri e la specificità della nostra cultura. C’è bisogno quindi come non mai di famiglia in Italia. In questa situazione, invece di offrire motivi di speranza alle coppie che vorrebbero impegnarsi nel matrimonio, il governo si è occupato di chi sposarsi proprio non vuole. Quasi non valutando drammatiche le urgenze che travagliano il pianeta famiglia (il lavoro precario, l’insufficienza degli assegni famigliari, la mancanza di asili nido, l’attesa vana del quoziente famigliare, l’inquinamento dei media, ecc.). Tanto che resta inevasa una domanda di fondo, anzi due: c’era proprio bisogno di dare la precedenza e di impiegare tempo e risorse per occuparsi delle coppie di fatto? E la seconda, che riguarda l’estensione dei Dico agli omosessuali: siamo sicuri che quello sia il momento opportuno e il modo giusto per affrontare un problema complesso – il rapporto tra gay e società – che mai le istituzioni hanno sinora affrontato? Svuotatasi l’urgenza di anteporre i Dico alle cruciali priorità del Paese, si è aperta adesso una fase che può favorire sul tema famiglia e su quello delle convivenze una riflessione seria e costruttiva. Gli Stati generali sulle politiche familiari, convocati dal ministro Bindi nella seconda metà di maggio, sono un primo approdo. Ma occorre un maturo lavoro preparatorio per evitare – com’è tipico delle assisi sui massimi sistemi – che la montagna partorisca un topolino di buone intenzioni. DICO SÌ, DICO NO Due persone maggiorenni e capaci, anche dello stesso sesso, unite da reciproci vincoli affettivi, che convivono stabilmente e si prestano assistenza e solidarietà materiale e morale, non legate da vincoli di matrimonio e di parentela, sono titolari dei diritti, dei doveri e delle facoltà stabiliti dalla presente legge. Così recita il primo, controverso articolo dei 14 che compongono il disegno di legge governativo sui Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi. Quanto alla dichiarazione della convivenza all’ufficio d’anagrafe, se non è resa insieme dai conviventi, uno dei due ha l’onere di darne comunicazione mediante lettera raccomandata con avviso di ricevuta all’altro convivente (art. 3). Spetta il diritto d’accesso del convivente (art. 4) per visitare e assistere in ospedale. Previste successione nell’affitto (dopo 3 anni o se ci sono figli) e assegnazione di alloggi pubblici. Dopo 9 anni di convivenza, spetta almeno una parte dell’eredità (art. 11). PRINCIPALI OBIEZIONI • Che bisogno c’era di una legge per riconoscere i diritti di chi, per scelta o per forza, convive invece di sposarsi? Lo stesso risultato si può ottenere con la comune legislazione del diritto privato. • Una legge crea cultura: questa legge in certo modo legalizza unioni, come quella gay, che nulla hanno a che fare con la famiglia prevista dalla nostra Costituzione, che continuerà a perdere prestigio e attrattiva. • L’esperienza di altri Paesi europei ci dice che questo è il primo passo di una deriva inarrestabile verso la concessione delle adozioni alle coppie omosessuali e abbassa la guardia sui vari temi etici riguardanti l’amore umano. • Altre e più urgenti sono le necessità dell’istituto famigliare oggi, costretto ad affrontare da solo difficoltà economiche, sociali, educative e sanitarie sempre più stringenti. LE RAGIONI DEI SOSTENITORI • Il governo aveva chiaramente messo in programma il riconoscimento di diritti e doveri di quanti non vogliono o non possono contrarre matrimonio, offrendo a situazioni già esistenti una copertura sociale di base, secondo l’art. 29 della Costituzione. • Chi è eletto dal popolo a governare deve prendere atto della situazione sociale che trova e provvedere a garantire a tutti diritti e doveri. • I Dico sono una legge equilibrata, diversa da quelle di altri Paesi. Il testo presentato può e deve essere arricchito e migliorato nel dibattito parlamentare. Non ci sono le condizioni per il verificarsi di derive etiche. • È vero che la famiglia costituzionale ha gravi e urgenti problemi. Il governo ne è cosciente e preparerà interventi adeguati. ALBERTO FRISO (Famiglie Nuove) DICO, LEGGE NON NECESSARIA Famiglia ancora penalizzata. Sorpreso? Il soggetto di riferimento per le leggi è l’individuo quarantenne, single, in carriera. Di conseguenza, abbiamo politiche che non tengono conto dei carichi familiari, non si agevolano i giovani a mettere su famiglia, non si organizza il mercato del lavoro in modo che ci siano tempi e spazi per i rapporti familiari. Nel mondo occidentale si assiste al tentativo di destrutturare la famiglia, togliendo, ad esempio, ogni rilevanza alla funzione dei genitori o cancellando, in uno Stato, le parole padre e madre dal linguaggio giuridico. I Dico sono pensati in riferimento a 500 mila convivenze. Attenzione, le statistiche ufficiali in Italia parlano di circa 500 mila convivenze, ma la stragrande maggioranza sono coabitazioni determinate da fattori contingenti, di studio o di lavoro. Solo un certo numero è costituito da coppie non orientate al matrimonio. Una parte di esse chiede un riconoscimento pubblico in virtù della motivazione affettiva che le unisce. Alcuni enti locali hanno istituito registri pubblici per ufficializzare queste situazioni, ma poche coppie li hanno utilizzati (per la precisione, 154 coppie, cioè 308 cittadini su 57 milioni di italiani). Le richieste di diritti sono avanzate prendendo ad esempio la famiglia, della quale si vorrebbe l’estensione dei vantaggi: assegni familiari per i figli, subentro nei contratti di affitto, reversibilità della pensione, diritto all’eredità, ecc. È evidente però che mancano molti elementi presenti nel matrimonio: tra questi, l’elemento fondamentale quale è il patto di stabilità. Senza di esso manca la garanzia dell’impegno a costruire e mantenere la famiglia come prima struttura sociale e bene di quella società a cui si chiedono benefici. Insomma, convivenze come scelta privata? I valori di tali unioni sono tutti compresi nella sfera del privato, per cui ci pare che le tutele richieste, dal riconoscimento della funzione di assistenza reciproca alla condivisione della gestione della abitazione, debbano essere presi in rilievo dalle norme del diritto privato. Anche per la prole, è già riconosciuta per legge l’estensione dei diritti all’adozione alle coppie conviventi da un certo tempo. E per le coppie dello stesso sesso? Il problema è molto diverso quando si parla di parificazione alla famiglia dei conviventi dello stesso sesso. Non si vede quale sia il di più sociale in nome del quale lo Stato dovrebbe garantire diritti quali la reversibilità della pensione. Non esistendo obblighi di cura verso i figli, ciascuno dei due può attivare le condizioni – pagando i propri contributi – per la futura pensione. Ma questo ed altri casi sono gestibili con accordi fra le parti, a cui il diritto civile conferisce la dovuta tutela.

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