Diamoci degli obiettivi

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Quando si dice: le coincidenze! Nel giorno d’inizio delle 13 settimane di cassa integrazione per 1.500 impiegati di Mirafiori – siamo ai primi di maggio -, sono stati diffusi i risultati (negativi) delle vendite di auto in Italia relative ad aprile. Il gruppo Fiat vede assottigliarsi ulteriormente la sua quota di mercato, passando dal 28,2 al 27,2 per cento in soli trenta giorni. Ma la flessione riguarda tutti i marchi, perché ad essere depresso è l’intero mercato italiano dei veicoli. Gli analisti prevedono per l’anno in corso un arretramento del 7 per cento. Dopo otto anni di crescita, un anno no ci può stare. Ma non è il caso italiano, perché la contrazione rivela un malessere più generale che attanaglia l’economia italiana. La riprova viene dalla Francia, dove, nello stesso mese di aprile, le vendite delle quattroruote hanno registrato invece un balzo in avanti del 12,2 per cento. Come mai tanta diversità? L’indagine del Centro studi promotor di Bologna ci conduce alla risposta: eccessivi i premi assicurativi, forti i rincari del carburante. Gli uni e gli altri in un quadro di crisi del bilancio della famiglie italiane. L’andamento del mercato delle auto non è che uno dei tanti segnali dello stato di sofferenza dell’economia italiana. Non tutto va male, come gracchiano i catastrofisti di professione, ma la situazione è condizionata da un profondo intreccio tra declino di alcuni settori e trasformazione di altri. In termini di competitività, ricerca e innovazione, sappiamo bene che l’Italia non brilla nel gioco d’anticipo rispetto agli altri paesi industrializzati. I dati Istat che registrano un arretramento della ricchezza prodotta nel primo trimestre di quest’anno, lo confermano. Il rischio più grande è proprio quello di distrarsi ancora, attardandosi sui perenni bizantinismi in cui s’impantana la politica italiana, smarrendo il senso delle priorità e sottovalutando l’urgenza degli interventi. L’Unione del ringalluzzito centro-sinistra guarda a Blair come possibile modello, la Casa delle libertà s’interroga sul progetto di partito unico, l’uno e l’altra dibattono sull’eventualità di un Ciampibis sul Colle del Quirinale. Per carità, temi di portata storica, ma mentre a Roma si dibatte – ci ammoniscono gli antichi -, Sagunto viene espugnata, cioè l’Italia rischia di trovarsi ancora più attardata (con tutto quello che ne consegue in termini di minore competitività, mancata crescita, disoccupazione, sfiducia) rispetto ai paesi sviluppati e a quelli dell’area orientale. Per di più, dobbiamo già recuperare il tempo, speso in diatribe, successivoalle elezioni amministrative e alla formazione del nuovo governo. Sarebbe perciò una iattura vedere trasformata quest’ultima parte della legislatura, una decina di mesi effettivi, in un’invadente, logorante, interminabile e logorroica campagna elettorale per le elezioni politiche della primavera 2006. Ci piacerebbe invece che da qui alla fine della legislatura fossero perseguiti alcuni precisi obiettivi economici, individuati adesso con il concorso (rapido) delle forze politiche, economiche e sociali. Obiettivi sui quali concentrare sforzi e risorse, stabilendo scadenze e periodiche verifiche per accertare l’effettivo stato di avanzamento dei lavori. Dobbiamo ammettere – riconosce Guglielmo Epifani, segretario della Cgil – che ci troviamo in una situazione paradossale: abbiamo per tempo previsto le tendenze dell’economia e dei processi sociali a livello internazionale e nazionale, ma quando questi si sono manifestati con la loro forza, non abbiamo avuto la stessa capacità di trovare le risposte. Un esempio sconcertante viene dalla Germania. Racconta Epifani che da pochi giorni è nata in quel paese la possibilità di avviare una ricerca di manodopera indirizzandosi verso il lavoratore che si offre alla paga più bassa possibile. È la competizione in cuitutto si annulla, a partire dal valore della propria dignità, commenta amaro. A tale motivo, il segretario generale della Cgil indica alcuni obiettivi immediati per l’Italia: Rendere più alta la qualità dei nostri prodotti e dei nostri servizi, ma anche delle nostre reti e dei nostri sistemi, particolarmente quello della conoscenza e della formazione. Per Ferruccio de Bortoli, direttore de Il Sole 24 ore, si tratta di battere soprattutto due strade: rilanciare la formazione permanente di chi lavora e rimettere il lavoro e l’impresa al centro delle scelte del paese. Si parla molto di una corretta politica delle risorse umane, ma poi si fa poco, stigmatizza. La flessibilità è un dato acquisito, ma va accompagnato dal riconoscimento dei diritti individuali di formazione e da una profonda riforma degli ammortizzatori sociali per evitare che i costi della flessibilità si scarichino sui giovani, le donne e le persone a fine carriera lavorativa. L’altro punto: Più rispetto per il lavoro . De Bortoli ricorda che il sistema fiscale tassa più il lavoro che le rendite finanziarie, con la conseguenza che creare lavoro diventa una corsa ad ostacoli a volte insopportabile. È un paese vecchio, il nostro. Cosicché si vive più sulle rendite che sulla ricchezza prodotta, le risorse sono concentrate più sulla parte inattiva della popolazione che sulle nuove generazioni. Annamaria Artoni, fino al mese scorso presidente dei giovani industriali, consiglia di puntare su una precisa strategia: far fruttare i principali giacimenti del paese, ovve- ro i giovani, le donne, gli immigrati. Manca in Italia, secondo lei, un’ideapaese forte, non c’è ancora un sogno-paese cui tendere. Il suo qual è? Noi abbiamo grandi punti di forza e ottimi risultati in vari settori. Lì dobbiamo investire, per diventare in alcuni ambiti il paese delle eccellenze, dalla produzione all’università, alla ricerca. Per cui dobbiamo fare delle scelte coerenti sia a livello di progetti che di risorse destinate. Non dimentichiamo le donne, fa presente la giovane dirigente di Confindustria. La vera chiave di sviluppo è la presenza delle donne nel mercato del lavoro. E invece? Invece, ci troviamo di fronte ad un problema che è soprattutto culturale, perché la famiglia, i figli e la cura degli anziani continuano ad essere un affare privato delle donne. Per cui, bisogna investire sui servizi . Una pausa, e poi rilancia: È giusto che manchino in Italia 30 mila posti per bambini in asili nido?. Nessuno, tra gli interlocutori, ha dimenticato l’Italia del Sud, ma chi ne parla con accenti appassionati è Savino Pezzotta. Bisogna recuperare il Mezzogiorno nella battaglia della crescita – sostiene – e farne una questione prioritaria. E spiega che bisogna lavorare più sul lato dell’offerta che su quello della domanda, che significa fare maggiori investimenti pubblici su trasporti, infrastrutture, acqua ed energia, e poi interventi precisi per la formazione dei lavoratori . Ammette, il segretario generale della Cisl: Come sindacato, siamo stati timidi e un po’ in ritardo. Pezzotta apprezza le proposte che vogliono fare del turismo pienamente valorizzato un importante fattore di crescita del paese, ma aggiunge un ma. Ma non possiamo rinunciare ad essere un grande paese industria- le, è una questione strategica. L’Italia ha un futuro e resta dentro il consesso delle grandi economie mondiali se mantiene una struttura industriale. Servono perciò politiche industriali di nuovo tipo. Infine, il sostegno alle famiglie. Servono più servizi che aiuti economici , sintetizza il leader della Cisl. C’è bisogno soprattutto di servizi e strutture che consentano alle donne di lavorare e agli uomini di accudire le famiglie, senza dimenticare di rivalutare il lavoro domestico, mentre vanno sostenuti i figli, (non possono essere considerati solo un costo) e favorite forme di mutualità per l’assistenza e l’accompagnamento degli anziani. Due o tre cose da realizzare in quest’ultimo scorcio di legislatura. È quanto volevamo individuare. L’elenco che abbiamo ricavato dagli interlocutori è ampio e dice quanto sia arduo definire pochi e chiari obiettivi. La complessità dei problemi del paese non aiuta, ma l’urgenza della situazione deve costringere a enucleare alcune priorità e scommetterci sopra, operando con totale dedizione. Non è una questione di centrodestra o centro-sinistra, ma un impegno a favore del paese e del bene comune. Il tempo non aspetta. E nemmeno le economie dei paesi più concorrenziali. SETTORE IN ASCESA IMPARIAMO DALL’AGRICOLTURA Per la prima volta nella storia contemporanea Nord America ed Europa Occidentale non sono più, in termini quantitativi, le forze trainanti dell’economia planetaria. Così va il mondo, ormai suddiviso, con estrema semplificazione, in tre compiti: nei paesi sviluppati, si lavora prevalentemente comunicando; in altri, dalla Cina all’India, al Brasile, si lavora prevalentemente fabbricando; in quelli poveri, si lavora sopravvivendo. In questo contesto, l’Unione europea perde progressivamente peso nel panorama economico, e l’Italia in modo particolare. Nell’ultimo anno, il nostro sistema produttivo ha visto ridurre la sua quota nel mercato mondiale dal 4,9 al 4 per cento; ha registrato un leggero aumento dell’occupazione, ma è calata la produttività per addetto; in fatto di ricerca e sviluppo, l’Italia spende la metà della media europea, e le nostre imprese private vi destinano solo un terzo di quanto speso in media dai concorrenti europei; servono persone preparate,ma il numero dei laureati è tra i più bassi dell’Unione europea, poco più del 12 per cento della popolazione attiva, contro una media europea del 25 per cento; ogni anno muoiono 300 mila aziende, ma la vitalità è segnalata dalle 400 mila che nascono. Crisi ed eccellenze del mondo produttivo italiano convivono lungo lo stivale. Un dato incoraggiante viene dalle cooperative. Nel 2004 l’occupazione è cresciuta dell’8 per cento, e gli immigrati vi hanno contribuito per l’1,5; nel settore dei servizi, i nuovi occupati hanno sfiorato il 10 per cento. Il motivo? Nella globalizzazione – spiega Luigi Marino,presidente di Confcooperative – noi siamo l’impresa locale che nasce, cresce e vive sulle braccia e sulle menti di chi è radicato nel territorio. In un mondo sempre più competitivo, noi mettiamo insieme efficienza e solidarietà, ragioni del mercato e ragioni della mutualità. L’agricoltura, un settore ormai in declino. Luogo comune da sfatare. È infatti quello in maggiore espansione, che contribuisce per un terzo alla ricchezza prodotta nel paese e registra un duplice incremento, quello della produzione (+11 per cento) e quello degli occupati (+4,4) nel 2004. La rinascita è figlia di un grande trauma – chiarisce Franco Pasquali, segretario generale della Coldiretti – che ha reso indispensabile una rilettura del settore. Un esempio è Campagna amica, che ci ha obbligati ad abbandonare il modo tradizionale di fare agricoltura, reimpostando il lavoro in considerazione del consumatore, dell’ambiente e del territorio. Gli agricoltori si sono alleati con le associazioni ambientaliste e dei consumatori, culture, fino a poco prima, diametralmente opposte alla nostra. L’iniziativa ha condotto alla legge sulla tracciabilità dei prodotti alimentari. Adesso l’agricoltura beneficia di una strategia efficace, dovuta allo spirito di collaborazione e a scelte lungimiranti che stanno premiando coltivazioni e prodotti tipici. Un esempio per far decollare altri ambiti del made in Italy? ACLI UN’AGENDA DEL LAVORO Sessant’anni e un’invidiabile vitalità. Le Acli hanno festeggiato il compleanno guardando avanti con la presentazione di un Agenda del lavoro per l’Italia. Vogliamo rimettere al centro il lavoro come risorsa essenziale per una politica di sviluppo sostenibile, ha spiegato Luigi Bobba, presidente dell’associazione. L’Agenda può fare da trama a un patto tra sindacato, imprese e terzo settore in grado di pesare nel confronto tra le coalizioni politiche affinché si affermi una chiara strategia per reagire al declino del paese. Ecco, in sintesi, le proposte, ampiamente esposte sul sito www.acli.it. Ridurre il costo del lavoro per creare nuova occupazione, eliminando l’Irap e mettendo gli assegni familiari a carico della fiscalità generale. Investire su cultura e turismo per creare nuova occupazione. Defiscalizzare sino al 40 per cento le spese di assistenza sostenute dalle famiglie. Difendere i lavoratori dalla precarietà, ripensando il sistema degli ammortizzatori sociali. Approvare un testo unico sulla sicurezza del lavoro;ogni anno 1.400 morti sul lavoro. Equiparare e promuovere il lavoro immigrato, consapevoli che interi settori non potrebbero andare avanti senza l’apporto dei lavoratori esteri. Part-time a richiesta per conciliare vita e lavoro. Affermare un diritto al sapere uguale per tutti. Tutelare e qualificare il lavoro attraverso il consumo e il risparmio.

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