Dialogando con Giuseppina Di Massa

Preside del liceo classico Dante Alighieri di Ravenna, ha attivato una didattica attiva, laboratoriale, con gli studenti protagonisti dell’apprendimento, ed esperienze di studio collettivo. «Dobbiamo creare le condizioni affinché lo studente si fidi di noi. Deve sapere, varcando la soglia del liceo, che qui può trovare persone disponibili, in un rapporto di condivisione e di ricerca comune».

Il liceo classico Dante Alighieri di Ravenna è uno degli istituti più antichi della città, con 4 indirizzi di studio (classico, linguistico, scienze umane, economico sociale), 1200 alunni e alunne, 120 docenti e un nutrito numero di personale Ata.
In un clima di appiattimento su obiettivi statisticamente registrati e classificazione degli istituti secondo standard prestazionali, la preside Giuseppina di Massa ha scelto una strada diversa, che mette al centro la cura dello studente mediante didattica attiva, laboratori, classi aperte con orario flessibile per impedire lo scoraggiamento degli studenti in difficoltà.

Lei vuole rinnovare la didattica per motivare gli studenti, farli sentire bene a scuola, ridare loro fiducia…
Dopo gli anni della pandemia assistiamo a una esitazione da parte dei ragazzi nel riprendere il consueto ritmo di apprendimento. Aumenta il disagio giovanile, c’è resistenza a una programmazione scolastica che fraziona le attività in unità orarie collocate in un rigido schema organizzativo, fatto di lezioni frontali, monodisciplinari. Gli stessi docenti si trovano spesso impossibilitati a curare il rapporto interpersonale con gli studenti. Di conseguenza, soprattutto nelle “prime” abbiamo riscontrato difficoltà, demotivazione, sfiducia nelle proprie capacità, tentativi di abbandono scolastico. E ci siamo posti la domanda: cosa fare per ovviare a tutto ciò?

Lo scorso anno nelle scuole superiori ci sono stati 74 mila studenti bocciati per le troppe assenze, e 10 mila alunni hanno abbandonato gli studi…
Nel nostro liceo opera da tempo una valida équipe psico-pedagogica con uno sportello psicologico, uno sportello di counseling e una specifica funzione strumentale. Negli ultimi anni, però, abbiamo notato un aumento di tali difficoltà, e soprattutto un “blocco relazionale” fra docenti e alunni che si traduceva in un blocco nell’apprendimento. Ci siamo allora posti in ascolto di studenti e famiglie.

Ascoltare cosa significa?
Implica disponibilità al cambiamento strutturale, per intraprendere percorsi mai provati prima, sbloccando la rigidità dei rapporti tra docenti, tra docenti e alunni, tra docenti e genitori, per favorire l’incontro e l’apertura. Con due classi del primo anno dell’indirizzo classico abbiamo cominciato un percorso che, se i risultati saranno positivi, verrà esteso a tutte le classi negli anni successivi.

Le difficoltà maggiori le avete sperimentate nelle “prime”?
I ragazzi provengono da scuole medie diverse e il livello di maturazione è molto variabile da studente a studente. La personalità dello studente è unica e nessuno è uguale a un altro. Quindi già nelle prime classi ci troviamo dinanzi a una platea diversificata: le risposte degli studenti dipendono dal livello di partenza di ognuno. E il docente non sempre riesce ad organizzare interventi individualizzati efficaci, soprattutto quando le classi sono di 25, 27 o più alunni. Di conseguenza nel biennio di ingresso, che coincide con la fascia dell’obbligo scolastico, si registrano maggiori difficoltà, anche a livello psicologico. Il numero di discipline all’interno di una mattinata, gli stessi testi scolastici comportano, fin dal primo anno, un sovraccarico cognitivo che non tiene conto della situazione che un ragazzo o una ragazza di 14 anni vive quando inizia il liceo. Ma anche nelle “terze” all’inizio del triennio troviamo difficoltà simili.

Una scuola didatticamente lontana dalla realtà che vive lo studente?
Per certi aspetti sicuramente. Abbiamo compreso che dovevamo partire dal capitale umano che essi portavano nella scuola: bisogno di autonomia, integrità, interdipendenza, stima, fiducia. Capitale umano che va conosciuto e accolto, con i limiti e i tentennamenti tipici di un adolescente. Aver insegnato per alcuni anni in zone a rischio, con alunni provenienti da ambienti sociali precari e segnati da disfunzioni sociali, mi ha fatto sperimentare che portare avanti un progetto educativo e formativo a prescindere dalla realtà è una pura illusione. Bisogna scendere nelle piaghe di certe periferie degradate per incontrare questi alunni e insieme risalire su un piano di lavoro possibile e dignitoso. Inoltre sappiamo che l’adolescenza è una condizione di passaggio, per cui non possiamo imbottirli del nostro sapere, senza comprendere se esiste già la capacità di accogliere quanto doniamo. L’obiettivo della scuola è grande, ma è anche una sfida: rendere ogni giovane libero e responsabile, capace di affrontare la vita nel settore scelto con le competenze necessarie. Ma occorre creare le premesse psicologiche e relazionali opportune.

Senza prescindere dal livello di partenza…
Certo. Spesso ci troviamo in difficoltà come docenti perché la crescita intellettiva e cognitiva degli alunni di una classe non è la stessa per tutti. Quindi “ascolto” per comprendere il livello di partenza e poi “realismo” per l’attuazione del piano di offerta formativa recepibile dallo studente. Il tutto però in questo “sblocco relazionale” senza il quale nessun passo avanti è possibile. Dobbiamo creare le condizioni affinché lo studente si fidi di noi. Essi devono sapere, varcando la soglia del liceo, che possono trovare persone disponibili per un rapporto di condivisione e di ricerca comune.

Di qui la nascita del progetto…
Spesso si aspettano cambiamenti dall’alto. Ma di fronte alla sofferenza del sistema e alle richieste di aiuto che vengono da famiglie e ragazzi, non potevamo aspettare. Abbiamo iniziato con le risorse che avevamo, garantiti dal dettato costituzionale che ci invita a rimuovere le cause che ostacolano un percorso didattico positivo. Siamo partiti da una variabile pedagogica importante: il tempo. Un contenitore e abilitatore di approcci e strategie basate su una didattica attiva, laboratoriale, che rende gli studenti protagonisti dell’apprendimento. Orario flessibile, classi aperte, compattazione oraria dividendo le discipline in due blocchi: gruppo umanistico tre giorni della settimana e gruppo scientifico gli altri due. Si lavora insieme per piccoli gruppi offrendo agli studenti esperienze di studio collettivo, dove anche i docenti si confrontano e condividono il lavoro, con attività in compresenza che prevedono lezioni interdisciplinari, outdoor education, laboratori scientifici, di traduzione, recupero e approfondimento. Le materie non sono rigidamente separate. Si lavora soprattutto a scuola, per impedire che sorgano demotivazioni e frustrazioni. A casa si completa il lavoro iniziato nel gruppo.

Quali risultati ottenuti fino ad oggi?
È presto per dare una valutazione dell’esperienza in corso. Ma c’è grande speranza. Abbiamo puntato a limitare sia l’abbandono e le assenze, sia la dispersione implicita, ossia la perdita a livello di conoscenze. Non basta dire a un ragazzo sfiduciato “devi studiare”, lo studente deve trovare un motivo profondo per farlo. Il primo passo deve farlo la scuola attraverso i docenti, che devono creare la giusta relazione con gli studenti. E sia ben chiaro che tutto quanto stiamo operando non è finalizzato ad acquisire meriti e medaglie. Ogni istituto ha il dovere di tentare il tutto per tutto per aiutare i ragazzi a non perdere la fiducia in sé stessi e nel proprio futuro. Quando si lavora con gli esseri umani, ogni classificazione delle istituzioni scolastiche può essere fuorviante. Lo studente o la studentessa che entra in un istituto deve sentirsi accolto e deve capire che quello spazio che lo Stato gli offre “è per lui e non contro di lui”. Anche gli errori sono un valore e noi che operiamo nella scuola siamo tenuti a dare valore all’intero potenziale umano che uno studente presenta, compresi gli errori, indipendentemente dai talenti che ciascuno porta. Nessuna classifica quindi al liceo Dante Alighieri di Ravenna e in tutte le istituzioni scolastiche che stanno sperimentando strade nuove per venire incontro alle esigenze delle nuove generazioni.

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