Daree, un ponte musulmano

Un giorno una bambina si presentò alla porta per raccogliere la spazzatura. Diventammo amici e oggi quella giovane signorina è il ponte con la comunità islamica

Sento muovere il grande bidone della spazzatura: sono le 23 e gli amici mi avvisano di non andare a vedere chi sia, potrebbe essere periocoloso. Naturalmente ci vado: «Attento, può essere una trappola dei ladri». Apro la porta di casa e saluto il ragazzo che stava cercando qualcosa da prendere per poi venderlo la mattina dopo. Ritorno in casa per portargli carta, riviste, giornali e plastica. Faccio i 4 piani almeno 5 volte e da quella sera scatta qualcosa tra noi. Yu ed io diventiamo amici e lo saremo fino alla sua morte. Un vero amico, silenzioso, modesto, discreto. Due occhi bellissimi, neri.

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Il giorno dopo, nel pomeriggio, ritorna accompagnato dalla moglie e dalle nipotine. Una di loro è Daree, l’altra si chiama Sara, ha una famiglia. Daree invece non ha nessuno al mondo, e la zia di Yu l’ha adottata come figlia da quando aveva 4 giorni di vita. La mamma la voleva abbandonare per strada insieme agli altri e zia Paa Bee l’ha presa lei. Pa Bee, Yu e tutta la strada sono poveri e per la maggioranza musulmani: ma hanno avuto un cuore per questa bambina, Daree. Da casa mia a dove abitano, ci sono 3 minuti in bici. Inizio a render loro visita appena libero. Mi piace la gente, erano come ero io da bambino: una vita semplice. Conosco dove abitano, le loro catapecchie, e mi ci fanno entrare. Non hanno paura di me. Mi colpisce Pa Bee, una donna con una profondità d’animo incredibile: due occhi quasi tristi, neri, bellissimi. Ha la mia stessa età, abbandonata dal marito, con due figli da mantenere, piena di debiti. Nessuno mi chiede un soldo, niente. Mi danno solo tanta umanità e amicizia.

Daree è sempre presente e un giorno mia sorella mi contatta perché vorrebbe aiutare una bambina, in Thailandia, a farsi una vita degna e non finire sulla strada. Io ne parlo a Pa Bee e lei: «Puoi prendere Daree come figlia tua, della vosta famiglia, di tutti voi: e per voi va bene se lei è e sarà musulmana? Lei abita con me, e io sono musulmana, tutti qui lo siamo». «Se tu le insegni ad essere una brava ragazza, per me, per mia sorella va bene». Così, 11 anni fa circa, cominciò un’avventura che mai avrei immaginato. Solo l’amore per i poveri, per questa gente, mi ha spinto ad addentrarmi in una strada pericolosa. Un amico thailandese mi disse: «Prendi questi soldi, dalli a quella gente, aiutali tu per me. Io ho paura ad entrara là, fallo tu per me». In 11 anni che entro a Soi Polo, come si chiama il vicolo affollatissimo, non mi è mai successo niente e tutti mi conoscono anche se io non li conosco. Non è strano che m’invitino alle loro feste. È un onore reciproco essere amici. «Prendi questo cibo, portarlo a casa, mangialo e pensa a noi», mi sento spesso dire.

Anche questo è segno di un mondo un po’ diverso dal solito. Così per la preghiera del 14 maggio è stato spontaneo pensare a loro, ai fratelli musulmani, oltre che ai buddhisti. La sorella dell’imam della moschea di Soi Polo, mi ha chiesto chi fossi: «Sono quello che ha adottato la piccola Daree 11 anni fa». «E per quale ragione lo hai fatto?», ha ribattuto. «Perché sono amico della zia, Pa Bee, e di Yu che è morto: lui era mio amico». «Allora verremo alla preghiera: daremo l’annuncio a tutta la strada e chi è libero verrà. Sarà un onore per noi». Così, il 14 maggio, alle 15 con 35 gradi all’ombra, ci siamo trovati davanti alla chiesa parrocchiale con buddhisti, musulmani e cristiani a pregare, per la fine della pandemia del Covid-19. I musulmani in questo periodo sono in Ramadan: è molto difficile per loro uscire e “fare” qualcosa. In tutto 30 minuti di preghiera, di canti, d’intonazioni all’unico Dio. E come dice papa Francesco: «Ci siamo trovati per pregare l’uno per l’altro e non l’uno contro l’altro».

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Il nostro è stato un piccolo segno: cosa sono 25 minuti di preghiera in confronto con l’umanità che soffre? In tutto il Paese, forse, ieri la nostra è stata l’unica manifestazione con questi tre rappresentanze di confessioni diverse. Guardando quella giovane ragazza in prima fila, Daree, con jeans e hijab, mi faceva impressione ed ero felice. Ad un certo punto ho raccontato a tutti i 35 presenti la storia che avete appena letto perché era grazie a quel sorriso innocente di 11 anni fa che si è mantenuto fino ad oggi, che è stato possibile trovarci. Direi, un miracolo semplice, moderno, di tenerezza. Al termine foto e scambi di numeri di cellulare… e anche qualche tentativo di abbraccio. Sì: eravamo davvero fratelli e sorelle: lo siamo sul serio e lo abbiamo sperimentato.

Questa mattina sono andato a casa dell’imam e di sua sorella e ho portato del latte per i poveri della moschea. Lei prende le mie mani nelle sue e quasi le bacia: «Che sia benedetto Allah».

 

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