Dallo spazio la Terra è già unita

Èla settimana europea della scienza, quella dall’8 al 14 novembre. Propone una serie di eventi che nel vecchio continente vogliono sottolineare l’apporto della scienza, appunto, allo sviluppo umano. Di questa prospettiva parliamo con Umberto Guidoni, astronauta, da quest’anno deputato al parlamento europeo. Una persona i cui confini mentali vanno dalla terra allo spazio e viceversa. Romano di origine, laureato in fisica alla Sapienza, inizia a lavorare all’Enea, passa poi al Consiglio nazionale delle ricerche e da qui viene scelto per la missione spaziale. Una prima volta viaggia sullo shuttle nel 1996, nell’aprile-maggio 2001 parte alla volta della stazione spaziale internazionale, la casa comune – la definisce Guidoni -, dove vivono astronauti di vari paesi per un lavoro di ricerca scientifica e sviluppo tecnologico. Un grande impegno che richiede risorse, il lavoro di migliaia di persone. Un progetto cui hanno aderito 16 paesi di cui 10 europei, Giappone, Canada, Stati Uniti, Brasile e naturalmente Russia. A sentirlo raccontare le sue missioni è facile intuire gli elementi di un’esperienza profonda in cui convivono aspetti umani e concreti e grandi prospettive scientifiche. Dall’impatto con l’assenza di peso un tantino sconcertante ai collegamenti via radio per continuare a seguire la vita sulla Terra, alla gioia di ricevere un disegno del figlioletto, alle difficoltà originate dal fatto che un satellite va su un’orbita diversa rispetto a quella prevista, le emozioni sono davvero tante. Non per niente, forse, da bambini spesso si sogna di diventare astronauti. Ma cosa vuol dire veramente svolgere questo lavoro? Per essere astronauti si deve essere capaci di fare tante cose – mi risponde Guidoni -. Io ad esempio vengo dal mondo della ricerca, sono un fisico ma ho dovuto imparare a pilotare un aereo, a lanciarmi col pa- racadute, a fare immersioni subacquee. È un lavoro molto faticoso, che richiede tanta curiosità, la capacità di mettersi sempre in discussione, anni di preparazione per un viaggio che dura magari 15 giorni. Però ha il pregio che non ti annoi mai. La selezione è molto rigida e in genere viene fatta ogni due anni su un campione abbastanza vasto che va dai piloti militari a scienziati, medici, biologi. Si tiene conto di due aspetti: quello medico e quello della stabilità psicologica, la capacità di lavorare in gruppo, di mantenersi in continuo apprendimento. Da quando si viene selezionati ci si dedica alla preparazione, una fase in cui non sempre è facile la collaborazione ma qualche volta prevale la competizione perché comunque i voli sono pochi e bisogna guadagnarseli. In genere si cerca di valorizzare tutte le capacità delle persone scelte ma poi c’è chi si trova meglio nello spazio e anche questo fa la differenza. All’interno dell’equipaggio dunque ognuno ha una sua specializzazione? Sì, anche se si tende ad avere almeno due persone che sanno fare la stessa cosa. C’è sempre il primo incaricato ma anche un sostituto. Com’è l’uomo Guidoni? Penso di essere una persona tranquilla. Contrariamente a quello che si può immaginare gli astronauti non sono persone che amano il rischio anche se devono metterlo in conto. Ad esempio non mi piace praticare sport estremi anche se nella vita ho fatto sempre delle cose che in qualche modo hanno rappresentato delle sfide. Naturalmente quando ho cominciato non avevo la minima idea che sarei stato in grado di portare a termine questo mio sogno, me ne sono reso conto man mano che le cose andavano avanti. Quando ho detto a mia moglie che avrei tentato di fare l’astronauta mi espresse la sua assoluta contrarietà, ma ormai avevo mandato la lettera per partecipare alle selezioni. Così nel momento in cui ci è arrivata la comunicazione che dovevamo partire per gli Stati Uniti abbiamo avuto qualche difficoltà però poi siamo rimasti in America per dieci anni e credo che una parte dei risultati sia dovuta al fatto che avevo una famiglia che ha mantenuto un clima sereno, per cui siamo riusciti a fare una vita normale. Adesso che posso dire di aver esaurito la mia sfida nell’ambito dello spazio, ne ho davanti un’altra, quella della politica. Mi piacerebbe svolgere questa nuova attività in maniera utile ed efficace. Penso che l’esperienza fatta come astronauta mi aiuterà, anche nel trovarmi di fronte a situazioni diverse, ad analizzare il problema da tanti punti di vista. Cosa insegna la vita dello spazio alla vita sulla Terra? Sicuramente la capacità di lavorare attraverso le differenze culturali, di religione, di lingua… il fatto che quando fai delle cose importanti riesci a mettere insieme il meglio della tua umanità. Ad esempio, nella nostra spedizione, eravamo un canadese, un russo, quattro americani ed io europeo. L’altro aspetto riguarda la vita di tutti i giorni. Dopo un’esperienza del genere non hai motivazioni particolari per avere successo a tutti i costi, per apparire… le esperienze vere ti cambiano dal profondo, ti aiutano nel rapporto con gli altri. Ho imparato che ci vuole molto tempo per prepararsi, e i risultati poi vengono da questo lavoro insieme agli altri non da quello individuale. Io sono convinto che questo è lo spirito con cui si devono affrontare le cose. Credo che la politica abbia molto da imparare in questo senso. Per certi versi il parlamento europeo mi fa più paura dello spazio ma probabilmente perché non ne ho la conoscenza che ho dello spazio. Ne riparleremo fra cinque anni. Quale contributo può dare la scienza ad uno sviluppo umano positivo? Io penso che la scienza rappresenti un valore importante di per sé ed anche uno strumento che aiuta la conoscenza. Quando tu la vedi una realtà di cui hai sentito parlare, questo cambia molto il tuo punto di vista, la capacità di capire le persone. Quindi la scienza come possibilità di scambio di informazioni è importante. Non sempre la scienza è positiva in sé, e questo è l’altro aspetto, ma ha bisogno di misurarsi con le sue applicazioni sociali. Chi fa ricerca deve avere la possibilità di confrontarsi col resto del mondo e non rimanere isolato. Il rischio è che gli scienziati lavorino come tecnici e non si pongano il problema dei risultati del loro lavoro. Io sostengo la necessità che la scienza non sia un compartimento stagno ma venga sempre accompagnata da quelle conoscenze umanistiche che la completano. Così essa può rompere tante barriere anche a livello internazionale, aiutare a superare molti stereotipi. Quando ci si conosce non si temono le idee degli altri. Ha mai avuto nostalgia di quell’infinito da quando è tornato dalla missione? Sì, anche se accade una cosa quasi strana: quando sei nello spazio ti manca la terra, quando sei sulla Terra ti manca quella libertà, quella capacità di osservarla da un punto di vista decisamente unico… .

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