Crimini di guerra e Corte penale internazionale

Tutte le parti del conflitto sono tenute a rispettare i principi del diritto internazionale umanitario che regolano la modalità di uso della forza nelle operazioni militari. Gli estremi per l’azione del procuratore generale della Corte penale internazionale (seconda parte). Leggi qui la prima parte
Gaza Israele Palestina Foto Ap

Questa è la seconda parte dell’approfondimento a proposito della violazione di principi di diritto internazionale umanitario e la configurazione di crimini internazionali nel conflitto in corso in Israele e Palestina.

Gli obblighi di rispetto del diritto internazionale umanitario sono rigorosi e sono tesi a delimitare se ed in quale misura e con quali limiti una parte possa usare o meno la forza. Pertanto, le gravi violazioni di questo corpus juris possono essere considerate crimini di guerra e crimini contro l’umanità, che lo Statuto di Roma della Corte Penale internazionale ha codificato, insieme con il principio della responsabilità penale internazionale degli individui che li commettono.

Dagli attacchi del 7 ottobre, le vittime aumentano inesorabilmente di giorno in giorno e da ambo le parti riguardano in larghissima parte civili e inermi che si trovavano nelle proprie abitazioni o in luoghi ricreativi.

Purtroppo ci sono testimonianze terribili di diffusione del terrore fra la popolazione civile, su cui Hamas parrebbe aver perpetrato atti di tortura e violenza sessuale. Inoltre sappiamo che vi è stata la presa di più di 200 ostaggi israeliani rapiti e portati nel territorio della striscia di Gaza. Tutte queste condotte possono essere qualificate penalmente, dal momento che l’art. 8 par. 2 dello Statuto della Corte Penale Internazionale statuisce che sono crimini di guerra il colpire indiscriminatamente civili; il seminare il terrore tra la popolazione civile; la tortura, la violenza sessuale; la presa degli ostaggi. Pertanto, se i precedenti fatti venissero confermati dagli elementi di prova da rinvenirsi nel corso dell’espletamento delle indagini, si potrebbe parlare di commissione di crimini di guerra da parte di Hamas.

Di contro, con riferimento alle modalità della reazione che Israele ha sviluppato, occorre riferirsi al fatto che il 9 ottobre scorso il ministro della Difesa israeliano ha annunciato e messo in pratica la chiusura di ogni via di accesso al territorio, l’interruzione di ogni possibile forma di rifornimento alimentare, elettrico, idrico, di beni di prima necessità, che sta mettendo a rischio la vita della popolazione palestinese.

A questo si è aggiunta, dal 27 ottobre scorso, la totale interruzione delle vie di comunicazioni su Gaza mentre le truppe israeliane cominciavano a fare ingresso via terra nella striscia e un’enorme sproporzione tra la quantità di convogli umanitari che è stata fatta entrare nella striscia rispetto alle necessità reali.

Anche in questo caso, se le condotte venissero confermate dagli elementi di prova, si avrebbe la messa in atto di una strategia di guerra vietata dal diritto internazionale umanitario, costituente un crimine di guerra dettagliato all’art. 8 lett. b n. 25 dello Statuto della Corte Penale Internazionale e che è noto con il nome di starvation. Esso consiste appunto nell’affamare la popolazione civile, nel creare una condizione di carestia che mette seriamente a rischio la sopravvivenza dei civili e nell’ostacolare le forniture di soccorso, richiamando le Convenzioni di Ginevra.

Configurano violazioni del diritto internazionale umanitario, e pertanto crimini di guerra, anche le condotte di bombardamenti contro ospedali di Gaza come Al Ahli e Al-Shifa, di cui abbiamo ricevuto informazione così come di bombardamento contro scuole e contro i luoghi in cui lavorano organizzazioni umanitarie.

Il fatto che esponenti di Hamas si nascondano negli edifici civili residenziali oppure in luoghi protetti, non trasforma automaticamente questi luoghi in obiettivi militari che si possono colpire indiscriminatamente e senza prendere le adeguate precauzioni.

Anche l’attacco al campo profughi di Jabalia nel quale sono morte oltre 50 persone, che è stato ritenuto da Israele operazione di successo perché ha portato all’eliminazione di uno dei leader di Hamas, Ibrahim Biari, così come l’avvertimento dato alla popolazione di evacuare i loro luoghi e di lasciare le loro abitazioni con un termine strettissimo di 24 ore prima di colpirle, o l’ammonimento dato al personale medico di evacuare l’ospedale Al-Quds di Gaza City sono stati criticati da esponenti dell’Alto Commissariato dei Diritti Umani dell’ONU, che hanno espresso pubblicamente il timore che questi attacchi sproporzionati possano configurare crimini di guerra e che si possa registrare una deportazione collettiva.

Sono state, in generale, ritenute le conseguenze di questi avvertimenti come molto gravi, perché hanno provocato l’evacuazione forzata di circa 1 milione di persone, senza un trasporto organizzato, né una forma di assistenza, o un’indicazione precisa di luogo in cui trovare riparo.

Il 30 ottobre, la stampa israeliana  ha reso noto un documento del Ministero dell’Intelligence, nel quale si ipotizza il trasferimento di una parte della popolazione palestinese di Gaza nei campi profughi nel Sinai, in Egitto. Si è minimizzato sul fatto che uno scenario del genere potrebbe configurare un “trasferimento forzato di civili”, senza considerare che anche questa è una condotta penalmente rilevante, che potrebbe essere qualificata sia come crimine di guerra, sia come crimine contro l’umanità.

L’art. 8 n. 2 b. 8 dello Statuto di Roma vieta la deportazione (che avviene quando la popolazione civile viene spinta oltre i confini del territorio occupato verso un altro Stato) o il trasferimento di tutta o parte della popolazione del territorio occupato, all’interno o all’esterno di questo territorio. Entrambe queste condotte, se commesse nel contesto di un attacco esteso o sistematico nei confronti della popolazione civile, configurano anche contro crimini contro l’umanità ai sensi dell’art. 7 par. 1 lett. d dello Statuto di Roma.

Crimini di guerra potrebbero inoltre sussistere in relazione al tipo di armi utilizzate, dal momento che l’impiego di armi proibite, come quelle incendiarie o quelle chimiche, possono determinare condotte illecite.

Nel caso di specie, fonti di informazioni hanno riferito del potenziale uso di munizioni a fosforo bianco negli attacchi su Gaza City, che, secondo le convenzioni internazionali, non possono essere utilizzate in maniera indiscriminata su civili e che potrebbero configurare, quindi, un crimine di guerra.

Quanto alla sussistenza del crimine di genocidio, sebbene alcuni esperti delle Nazioni Unite lo ritengano plausibile, occorre constatare la difficoltà di provare quella che dovrebbe essere la mens rea, ossia l’intento di distruggere in tutto o in parte un determinato gruppo nazionale, etnico, razziale, religioso in quanto tale. Diversamente, le condotte che mirano a colpire un certo gruppo con l’intento discriminatorio potrebbero portare alla configurazione del crimine contro l’umanità di persecuzione, previsto all’art. 7 dello Statuto della Corte Penale Internazionale.

Conclusioni

Quanto analizzato, dimostra che, se le informazioni verranno confermate dalle indagini e dalla raccolta di elementi di prova, da ambo le parti potrebbero essere stati compiuti tanto crimini di guerra quanto crimini contro l’umanità, dal momento che le condotte sono state eseguite nel contesto di un attacco esteso o sistematico nei confronti di una qualsiasi popolazione civile.

Nel caso di specie, poi, lo Stato di Palestina, dapprima con una dichiarazione del 21 gennaio 2009  e poi con l’adesione allo Statuto e l’invio di una seconda dichiarazione del 31 dicembre 2014 , ha manifestato l’intenzione di accettare la giurisdizione della Corte Penale Internazionale, in base al meccanismo previsto dall’art. 12 par. 3 dello Statuto di Roma.

La Corte, quindi, può attivarsi sul caso di specie e, infatti, il procuratore della Corte Penale Internazionale, Karim Khan, ha recentemente dichiarato di voler portare avanti le indagini per verificare la potenziale commissione di crimini internazionali sotto la giurisdizione della Corte.

L’auspicio è che la conduzione di indagini indipendenti e imparziali possano portare ad individuare le responsabilità e ad una giusta repressione dei crimini commessi ma, ancor di più, la speranza è che possano cessare presto le armi perché, a pagare maggiormente degli scontri e della violenza inasprita dall’odio, sono sempre i civili che invece anelano la pace.

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